Mussie Zerai, eritreo
che vive a Roma da più di 15 anni, è il responsabile dell’ong Habesha,
un’associazione che si occupa di accoglienza dei migranti africani. Dal viaggio
alla casa al lavoro ai documenti, Mussie racconta le difficoltà di una persona
che arriva in Italia dall’Africa. Nel suo racconto il dramma dei
migranti eritrei e, una volta di più, le gravissime responsabilità della
Fortezza Europa e dell’ Italia. «L’Europa sta costruendo un muro, e così
facendo è diventata complice delle violazioni dei diritti umani di tutti quei
paesi che si affacciano sul Mediterraneo», conclude Mussie
L’Europa costruisce muri, e
l’Italia è la prima a mettere mattoni
di Marzia Coronati
– fonte: Amisnet [sul sito sono presenti i contenuti audio]
Mussie Zerai, dell’ Associazione Habesha, è a Roma dal
1992. Quando è arrivato in Italia dal suo paese, l’Eritrea, possedeva un visto
regolare e il viaggio lo ha fatto a bordo di un aereo. Se volesse venire opggi
in Italia, dovrebbe prima di tutto attraversare la frontiera tra Eritrea e
Sudan. «La legge in Eritrea prevede che chiunque al di sotto di 50 anni per gli
uomini e 40 anni per le donne non possa lasciare il paese, per cui si è
costretti a fuggire di nascosto, spesso corrompendo le guardie, perchè l’ordine
del governo è quello di sparare a chi tenta di superare la frontiera», ci dice
Mussie. Una volta in Sudan, gli eritrei si ritrovano abbandonati a
se stessi. Possono solo sperare che chi è partito prima di loro li ospiti sotto
un tetto così da racimolare qualche soldo per continuare il viaggio. Spesso il
governo sudanese, di concerto con quello eritreo, organizza delle retate per
rimpatriarli. Le persone in Sudan non si sentono sicure e sono incentivate a
proseguire il viaggio verso Nord. «Se ci fossero la possibilità di presentare
la richiesta d’asilo in Sudan, con un programma di rinsediamento nei paesi
europei, tanti rischi si eviterebbero», continua Mussie. Dopo il Sudan, c’è il deserto. «Un’insidia
gigante–racconta Mussie–Paghi per andare dal Sudan alla prima città che si
incontra, Cufra per esempio, però poi a metà strada l’autista che hai pagato ti
fa scendere e tu dovrai pagare di nuovo a un secondo autista, se non hai i
soldi rimani lì, nel deserto». Molti vengono presi dai militari e trattenuti in
una delle 21 carceri della Libia, finanziate anche dal governo italiano, dopo
essere stati ripuliti di tutto quello che hanno. Anche qui si conta sulla
solidarietà di parenti e amici per farsi finanziare la liberazione e il
proseguo del viaggio. Cioè la traversata del Mediterraneo. In Italia, il primo trauma è l’impatto con i Cpt, Continua a leggere→