Lavori in corso… Rosario e gli “altri”

Ci ha lasciati anche
Rosario, nello stesso giorno in cui nell’ Italia dei “pacchetti sicurezza”
altri cinque lavoratori hanno perso la vita sul lavoro in località diverse (uno
alla Fiat di Melfi). La strage continua…

lavori in corsoRogo ThyssenKrupp: morto
sesto operaio

Per il rogo alla ThyssenKrupp di Torino è morto un sesto
operaio, Rosario Rodinò: il 30 ottobre aveva compiuto 26 anni. Dopo tredici
giorni di agonia, poco prima delle 9, è deceduto nel reparto grandi ustionati
dell’ospedale Villa Scassi di Genova. Rosario si va aggiungere alla lista delle
vittime che già contava Antonio Schiavone, 36 anni, Roberto Scola (23), Angelo
Laurino (43), Bruno Santino (26) e Rocco Marzo (54), che è deceduto domenica
scorsa. Resta ricoverato in gravissime condizioni un settimo operaio, il
ventiseienne Giuseppe Demasi, ricoverato al Cto di Torino. [la foto è tratta
dal Blog nomortilavoro ]

vignetta vauro 19.12.07Statistiche…
Scrive
Flavio Aurora sul sito di Medicina Democratica:
Cinque morti sul lavoro in un giorno sono davvero tanti.
Eppure sono dentro la statistica! Forse molti ignorano che la statistica che
parla di una media di quattro morti al giorni per infortunio sul lavoro è
comunque sottostimata. Mancano quei lavoratori, non solo immigrati, che non
sono registrati come tali, mancano quegli altri lavoratori che sono rimasti
vittime di incidenti stradali perché stanti e affaticati dalla guida o dal
lavoro precedente. E muoiono anche altri lavoratori, vittime di esposizione ad
agenti cancerogeni e tossici che quasi mai o a grande fatica riescono a
dimostrare che la causa della loro morte è il lavoro. Ogni giorno, anche nel
2000, si compie una strage di qualche decina di persone per il lavoro tanto più
grave quanto più culturalmente accettata.

L’amaro in bocca resta se pensiamo che le leggi ci sono,
ma che le responsabilità della loro applicazione è ascrivibile a molti, prima
di tutto chi ha il dovere di salvaguardare la salute a norma dell’articolo 2087
del codice civile, e cioè al datore di lavoro e poi a tutti coloro che non
intervengono a vigilare, a denunciare e a condannare. Non solo, ma anche a
produrre coscienza, ad organizzare iniziative e lotte contro questi serial
killer.

Ma non basta: se la causa principale di questa epidemia
che sconvolge migliaia di famiglie è l’organizzazione del lavoro e ciò che vi
sta attorno vediamo come in questi ultimi anni mentre si facevano delle leggi a
migliore tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro si sono fatte altre leggi
si è comunque aperta la strada alla deregolamentazione del lavoro, fino
addirittura con gli incivili referendum proposti dai radicali, a volerlo
completamente liberalizzare. Se questi dovessero passare conteremmo altri
morti, altri feriti, altri disperati.

Partiamo da questa massima espressione di incoscienza e
arretratezza, che comunque sottende grandi interessi economici di chi sa che le
conseguenze degli infortuni e delle malattie professionali vengono fatte pagare
alla collettività e non a chi le ha provocate, e vediamo di rovesciare il
discorso:

Il riconoscimento degli infortuni e delle malattie
professionali deve essere affidato alle A-USL e non più all’ INAIL,
i dati sugli infortuni e malattie professionali devono
essere pubblicati, oltre che tempestivamente, non solo a livello nazionale,
regionale e provinciale, ma anche per A-USL, per comune e per azienda,ogni
giorno i telegiornali devono raccontare la storia di un morto sul lavoro,
spiegando chi fosse, quale lavoro svolgeva, quali sono state le cause immediate
o mediate che ne hanno provocato la morte e cosa questo ha voluto dire per i
famigliari, gli amici i compagni di lavoro.

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