Don Gallo nella Genova degli Invisibili

Il prete di strada
tra gli ultimi della Coscia: "La
Pira occupò le case vuote dei borghesi, e noi stiamo solo a
guardare. Prefetto, dobbiamo fare qualcosa"
  di Wanda Valli, fonte genova.repubblica.it [19.02.08]

Don Gallo nella Genova degli invisibili


Una poltrona che vorrebbe sembrare antica, in velluto
giallo, i braccioli in legno, è appoggiata al muro. A fianco, il cemento ha
chiuso il buco da dove, ogni sera, fino a venerdì, disperati dell´Est o forse
rumeni e Rom, venivano a dormire. Dentro un palazzo abbandonato di cinque piani,
senza più portone, con le finestre ridotte a buchi neri, qualcuna coperta con
grate di ferro arrugginito, qualche altra mimetizzata da persiane in legno
sghembe, sopravvissute al degrado più assoluto. Di fronte officine dove la
gente lavora. È via Balleydier, alle spalle del Wtc, uno dei simboli della
Genova che cambia, a Sampierdarena, nella zona che un tempo chiamavano la
"Coscia". Da quel buco vicino alla poltrona finto antico, è entrata
la donna che, venerdì notte, ha partorito un bimbo di nove mesi, morto. Di
stenti, comunque sia andata. Lì vicino, al Matitone, sede di uffici del Comune,
il 13 gennaio è morto un nordafricano, precipitato a terra, mentre tentava di
avvicinarsi a una condotta dell´aria per riscaldarsi. Storie di ultimi, i
prediletti di don Andrea Gallo, che esorta la città a muoversi. A salvare chi
ha meno di nulla. In via Balleydier, intanto, sono arrivate le transenne della
polizia, il cemento a chiudere i buchi, i divieti di ingresso, perché la
magistratura sta indagando. Intanto, quell´umanità è scappata via dai tuguri
dentro il palazzo, diventati la loro casa. Scappati per paura. Don Andrea
Gallo, conosce bene via Balleydier, la galleria sotto lo svincolo
dell´autostrada, dove altre donne si ritrovano la sera per vendersi, dove altri
disperati arrivano a cercare un rifugio. Lui passa molte notti da quelle parti,
con le Unità di Strada, adesso guarda e pensa che non deve più accadere. Con il
sigaro in bocca, cita Giorgio La
Pira, «il sindaco santo di Firenze», come lo chiama lui. Dice:
«La Pira scrisse
un libro "L´attesa della povera gente" e lui, professore di diritto,
riuscì a scovare un cavillo giuridico, andò oltre Arno e occupò le case vuote
della borghesia. Hanno fatto lo stesso a Roma al X e XI Municipio. E allora, a
Genova no?». Poi torna al suo incontro con il nuovo prefetto, Anna Maria
Cancellieri: «perché non ci convoca tutti? Noi abbiamo una piccola comunità, la
gestiamo insieme con il Ceis, sono 14 posti, ma ci sono altri come noi, non
possiamo star a vedere, qui abbiamo come minimo il 3 per cento di senza
dimora». Si accalora, il "prete degli ultimi": «questo entra nella
sicurezza o no?, non sappiamo nemmeno bene di chi è il terreno, ma la Derna ha costruito a due
passi, non poteva prendersi anche questo pezzetto?». Una volta alla Coscia
abitavano famiglie di pescatori, ricorda don Gallo, poi ti prende per un
braccio, mostra un orizzonte coperto da serbatoi: «laggiù si arrivava al mare,
io sono di queste parti, me lo ricordo bene». Tanti anni fa, in altro secolo,
in un´altra città. Che qui, non è cambiata. Si è come illividita e ingessata,
con il palazzo – tugurio, requiem alla civiltà. Giovanni ha l´officina proprio
di fronte, quei disperati li incrocia, ogni tanto: «Devono essere ben
disgraziati, perché come si può pensare di vivere là dentro? Mi domando quanta
sia la povertà al loro paese, se accettano di vivere qui, se qualcuno arriva a
chiedere dove stanno gli altri». I disperati della Coscia, Giovanni è convinto
che arrivino dall´Est, Albania, Romania, qualche Rom; poco più avanti due
immigrati, un algerino e un magrebino, sono di altro parere: rom, nessun
sudamericano, nessuno dall´Est. Don Gallo ascolta tutti, cammina, una donna lo
ferma:»Andrea, ti ricordi di me? Mi hai sposato», più avanti sotto lo svincolo
autostradale, nel piccolo posto di ristoro, una ragazza lo vede, esce: «Andrea
sono io». Lui l´accarezza, «ora stai bene? « «Sì». Che cosa fai qui? «Cosa vuoi
che faccia Andrea?». Più indietro, nel palazzo dei disperati, qualcuno ha già
buttato giù i mattoni che coprivano un altro buco di ingresso, sulla facciata
laterale. Da una finestra spunta una tendina bianca, da un´altra si intravede
una porta spalancata, con il vetro. Case, le chiameranno così i disperati? A
fianco del palazzo altri cancelli chiudono una mini discarica a cielo aperto,
spazzatura accumulata nei giorni, nei mesi, negli anni. Eppure lì, a cento
passi, c´è una sfilza di bidoni. Nessuno ha mai pensato di usarli. Don Gallo,
prete degli ultimi, cammina, guarda quel buco di cemento, insiste: «prima non
c´era niente, l´entrata è attaccata al palazzo, hanno tagliato la rete per
entrare». Poi si sposta nel giardino incolto che sta lì di fronte: «Una volta,
sotto c´erano le trattorie, adesso è rimasto questo schifo, d´estate arrivano
anche qui, con la tenda». Pensa ancora a quel bambino morto di stenti: «perché
è rimasta la mamma?, poteva andare in ospedale. Avrà avuto paura del permesso
di soggiorno, della polizia». E scuote la testa, don Andrea, cupo ma deciso a
non arrendersi.
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