Migranti – Nuove forme di sfruttamento e nuove modalità di lotta

Dal rapporto di MSF sulle
condizioni di lavoro stagionale ai licenziamenti ai danni di un centinaio di
lavoratori delle cooperative da parte della multinazionale TNT. Lavoro,
immigrazione, sfruttamento, intorno a questo nesso una interessante chiave di
lettura del presente. Abbiamo intervistato Sandro Chignola, docente presso la
facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova. Intervista  di
Meltingpot

Lotta dei migranti delle coopLa cronaca di questi giorni riguarda soprattutto il
padovano ed in particolare il licenziamento di un’ottantina di lavoratori,
quasi tutti stranieri, che lavoravano per il colosso TNT, lavoro appaltato
tramite il sistema delle cooperative.

[Vai allo speciale Padova – Serrata del colosso TNT. Cento lavoratori
licenziati, quasi tutti migranti]

D: Immigrazione e sfruttamento: da un lato la legge Bossi-Fini, dall’altro
la legge 30, consentono di fatto lo sfruttamento degli stranieri, regolari e
irregolari, sia da parte delle cooperative modello Nord-Est sia nel lavoro
stagionale nelle campagne del Sud Italia, come sottolineato dal rapporto
presentato in questi giorni da Medici Senza Frontiere (MSF). Io partirei
proprio da qui, dal tratteggiare in modo sintetico questo quadro.

R: Mi sembra che i due dati che
proponi nella discussione colgano perfettamente questo fenomeno, nel senso che,
se si guarda anche la stampa mainstream, il rapporto di MSF riferito a questa
condizione di semi schiavitù dei lavoratori stagionali nelle campagne del Sud
Italia sembra marcare un’eccezione, come se quello fosse un caso limite
rispetto alla procedura di integrazione dei migranti che sono quelle sulle
quali poi vengono costruite le retoriche sui clandestini immigrati regolari. Io
mi chiedo invece se il rapporto di MSF non rappresenti semplicemente l’altro
lato di una specie di integrazione impossibile che è evidenziata esattamente da
questo caso emblematico delle cooperative del subappalto della TNT.

Io mi chiedo, appunto, visto questo episodio che tu
giustamente riferisci a Limena e Padova ma in realtà è diffuso in tutto il Nord
Est visto che, ad esempio, TNT gioca a spostare i propri magazzini, le proprie
catene di sfruttamento, tra Vicenza e Padova e Verona a seconda di dove sia
possibile forzare i limiti dell’auto-organizzazione dei migranti, ecco, mi
chiedo se questo tipo di integrazione, fatta di meccanismi di ricatto come
quelli che legano il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, come la
legge 30 e la precarietà, non rappresentino invece altrettante forme di
invisibilizzazione, di meccanismi di filtro e di sfruttamento che rendono molto
meno giustificabile una, per così dire, apologia dei meccanismi di
integrazione: qui si tratta appunto di migranti che hanno un lavoro
ufficialmente regolare e che vengono incatenati a meccanismi di sfruttamento
semi-schiavile.

Quello che trovo emblematico a proposito di questo caso
della TNT non è, semplicemente, la commistione tra post-fordismo e
organizzazione del lavoro iper-flessibile e moderna così, come si evidenzia
dentro catene che hanno a che fare con il logistico, i magazzini e la
circolazione delle merci e delle informazioni, che questo tipo di
organizzazione post-fordista mantiene in condizioni di sfruttamento bestiali,
ciò che trovo emblematico è che là dove i migranti si auto-organizzano, si
strutturano attraverso una presa di parola che reclama diritti, si
auto-organizzano autonomamente al di fuori della rappresentanza sindacale, lì,
diventa fortissimo l’attacco, come se, appunto, i meccanismi di integrazione
fossero possibili soltanto passivizzando i migranti e non riconoscendo mai il
dato di soggettività che si esprime attraverso il lavoro.

D: Certo, tu parlavi di forme auto-organizzazione, mobilitazione e
iniziative e mi sembra che nell’ultimo periodo stiamo assistendo ad una presa
di posizione molto forte da parte di cittadini stranieri nei nostri territori:
penso allo sciopero a Brescia per quanto riguarda il permesso di soggiorno,
penso alle manifestazioni alle mobilitazioni e penso anche a questa iniziativa
di Limena: andando al presidio permanete davanti alla TNT si vede una forte
presa decisionale da parte di questi cittadini migranti che non accettano
nessun tipo di ricatto. E’ il segno di qualcosa che sta cambiando?

R: E’ probabilmente un segno di
qualcosa che sta cambiando sulle forme organizzative, ma diciamo così che, fin
dall’inizio, dal modo nel quale si è provata a decifrare la questione del
lavoro migrante, in qualche maniera, si è contrapposto questa retorica
caritatevole e passivizzante, che trattava la migrazione come semplicemente un
problema sociale a, invece, una interpretazione del diritto di fuga che si
esprime attraverso i migranti, ovvero la loro soggettività che è quella di
sottrarsi alle condizioni di sfruttamento nei paesi d’origine e la mobilità
fortissima che caratterizza la loro permanenza sul nostro territorio: insomma
il migrante è di per se, da sempre, un soggetto in esodo, in fuga dalle
condizioni di sfruttamento ed esattamente quello che mi mi sento di dire è che
questi strumenti legislativi che sono stati messi in essere, la legge
Turco-Napolitano, la legge Bossi-Fini e così via sono tentativi proprio di
imbrigliare, di tenere e inchiodare a regimi di sfruttamento il lavoro di tipo
migrante. Quel sistema di ricatto a cui accennavo poco fa, il legame tra
permesso di soggiorno e contratto di lavoro è solamente uno di questi
meccanismi.

Quello che sta cambiando, secondo me, da alcuni anni, a
partire dai nostri territori, tu giustamente citi la manifestazione di Brescia,
le cose successe a Padova, Verona e Treviso negli ultimi tempi e così via, è,
diciamo così, questo attraversamento diverso delle formule organizzative,
sindacali e politiche, che i migranti si sono dati: c’è una specie di diritto
di fuga che viene esercitato anche nei confronti delle organizzazioni sindacali
ufficiali spesso complici, come mi sembra di capire anche in questo caso della
TNT, di meccanismi vischiosi, lobbistici di sfruttamento dei migranti, un esodo
ovviamente anche dalla forma di rappresentanza partitica ufficiale, visto che
gli immigrati non hanno diritto di voto e, come dire, vengono sfruttati
solamente per garantire legittimità e presentabilità al centro sinistra
rispetto al centro destra in consulte fantasiose che vengono messe in piedi dai
governi di centro sinistra cittadini.

Dicevo un diritto di fuga che si esprime attraverso una
soggettività delle pratiche di movimento che mi sembra straordinariamente
innovativo nelle pratiche di autorganizzazione dei migranti negli ultimi anni:
nella lotta contro i CPT, nelle lotte sul posto di lavoro, nelle lotte sui
diritti di cittadinanza, i migranti si sono, sempre più spesso, avvicinati alle
pratiche di movimento e soprattutto hanno portato un arricchimento
significativo nella stessa agenda di lotta dei movimenti.

A me sembra che il dato più significativo degli ultimi
anni è esattamente questa dimensione di autorganizzazione, di attraversamento
delle strutture di movimento, dei centri sociali, del sindacalismo di base che
gli immigrati hanno praticato come forma di una presa di parola che si sta
manifestando ormai incomprimibile.

D: Quando si parla di migranti, necessariamente, si parla di confini.Siamo
di fronte a un duplice processo: da una parte, appunto, una messa a punto di
politiche di esternalizzazione di questi confini, si parla di confini materiali
ovviamente, dall’altra invece assistiamo a processi di flessibilizzazione e
inclusione differenziale, sia dal punto di vista del diritto di cittadinanza,
sia dal punto di vista del lavoro, in Italia, come in Europa. Cosa significa e
cosa implica questo tipo di stratificazione sia della cittadinanza sia del
lavoro?

R: Secondo me significa due cose
essenzialmente, la prima riguarda gli spazi e i tempi del nostro agire politico
e dei modi attraverso i quali vengono riarticolati i processi di cittadinanza.
Prima accennavo al fatto che una delle trasformazioni fondamentali del
capitalismo e dell’accumulazione nei nostri territori è rappresentato
fondamentalmente da questa abolizione o quasi dei magazzini, da questa
esternalizzazione, che organizza diversamente i circuiti della messa a valore,
di un capitalismo che sempre più è fatto di mobilità delle merci, cosa che tra
l’altro è dimostrata anche da quello sciopero clamoroso dei camionisti di
qualche mese fa, che con un blocco di fatto della circolazione hanno ottenuto
tutto quello che volevano. Un capitalismo che si fa attraverso i flussi di
informazione, l’organizzazione sincronica della circolazione delle merci e al
fianco di questo, attraverso produzione semi-schiavile, come quella del
facchinaggio che è quella che gli immigrati svolgevano attraverso queste
cooperative alla TNT. Lavoro notturno, turni pazzeschi e assenza di diritti,
ecco, io credo che anche questo sia proprio uno dei modi attraverso i quali si
esemplifica la riorganizzazione dei confini nei nostri territori, in Europa e
su scala globale.

Il confine noi siamo abituati a pensarlo come una barriera
che identifica in modalità binaria chi è dentro e chi è fuori, invece dobbiamo
cominciare a ragionare su spazi e tempi dell’organizzazione politica delle
nostre iniziative per cui i confini sono mobili, sono forme attraverso le quali
si organizzano meccanismi di filtro dell’erogazione dei diritti di cittadinanza
e del salario, che in qualche maniera prevedono l’organizzazione di tempi e di
spazi differenziati. Si tratta di capire come dobbiamo riformulare le nostre
agende politiche all’interno di questi ragionamenti sui confini che sono
mobili, che non prevedono più un dentro o fuori lineare: un CPT è una forma di
confine, il problema è per esempio capire se un CPT è quell’attrezzo murato,
orribile, che abbiamo visto a Gradisca o a Bologna, o se invece un CPT non
siano anche queste forme di sfruttamento, di restringimento di erogazione dei
diritti che fanno di un CPT una struttura mobile non solo perché esternalizzato
al di fuori dell’Europa, ma anche nelle nostre città.

Ci sono quartieri interi che sono come CPT, grandi zone
d’attesa, come quelle che vedevamo una volta negli aeroporti internazionali,
che sono quelle zone di attesa per lavoratori senza diritti in molte delle
nostre città dove i caporali vanno a prendere i migranti per farli lavorare, o
dove vanno a prendere i clandestini per i cantieri edili come ha mostrato una
lotta molto significativa negli ultimi anni a Reggio Emilia.

Io credo che, appunto, questo ragionamento sui confini,
sugli spazi e sui tempi differenti, sull’inclusione differenziata ci debba
servire per far partire grandi meccanismi di inchiesta con i migranti, per
comprendere come funzionano i nuovi regimi di sfruttamento, come funzionano i
nuovi regimi di restringimento o di allargamento, a seconda delle condizioni,
dei diritti di cittadinanza a e per comprendere quali siano i punti per
attaccare questa logica di gerarchizzazione che, secondo me, riproduce spazi
coloniali dentro le nostre città, dentro i nostri territori.

Ragionare sugli spazi e sui tempi significa differenziare
le nostre agende di lotta e renderle più flessibile, cercare di comprendere
dove si può colpire per fare male perché, secondo me, c’è un male più grande
che dobbiamo evitare che non è semplicemente il razzismo esplicito delle
retoriche securitarie ma questo razzismo più "soft" che permette la
ridescrizione di spazi coloniali dentro le nostre città.

Vedi anche:
Padova – Autorganizzazione e solidarietà tra
lavoratori migranti

Chi sono i migranti
sfruttati nelle cooperative? – Prima parte
Irene, con le mani nei rifiuti sotto il ricatto
del rinnovo del permesso

Ciclo di interviste a lavoratori che non smettono di lottare

Padova – Serrata del
colosso TNT. Cento lavoratori licenziati, quasi tutti migranti


 

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