Rapporto di MSF sul lavoro stagionale al Sud – Intervista ad A.Oglino

Un
viaggio nelle campagne del Sud tra sfruttamento ed accoglienza inesistente:
dignità violata per i migranti.  [intervista tratta da Meltingpot]

migrante al lavoroUna
stagione all’inferno
, così titola il rapporto redatto da Medici Senza
Frontiere e diffuso nei giorni scorsi, un viaggio tra gli stranieri impiegati
nell’agricoltura nel Sud Italia, un rapporto che da visibilità a questa
manodopera sfruttata e spesso invisibile che sta dietro alla raccolta di frutta
ed ortaggi in bella mostra nei nostri mercati. Proprio in questi giorni, il 1
febbraio, hanno preso il via le operazione per il Decreto Flussi per lavoro
stagionale emanato nelle scorse settimane dal Governo per l’assunzione di
lavoratori da impiegare appunto in lavori stagionali. L’altra faccia dell
amedaglia ci racconta di una realtà drammatica: le cifre del dossier parlano di
un 65% di migranti che vivono in strutture abbandonate, di un 62% che non
dispone di servizi igienici, di un 64% che non ha accesso all’acqua corrente,
di un 69% che non dispone di luce elettrica, di un 92% che vive in alloggi
privi di riscaldamento.
Baracche fatiscenti, fredde, sovraffollate, giornate di lavoro sottopagate, gli
immigrati sono lavoratori invisibili che garantiscono il funzionamento di un
sistema di produzione che si basa su manodopera sottopagata.
Abbiamo intervistato Alessandra
Oglino, di MSF curatrice del rapporto “una stagione all’inferno”
.
D: Una breve descrizione del
rapporto: di cosa si tratta?

R: Si tratta di un viaggio nell’inferno delle campagne del Sud Italia,
non a caso il titolo del rapporto è “una stagione all’inferno”, MSF da luglio a
novembre 2007 ha
viaggiato con una clinica mobile visitando ed intervistando oltre 600
immigrati.Dai dati che abbiamo raccolto, dalle interviste effettuate, emerge un quadro
scioccante: gli stranieri vivono in condizioni drammatiche, sono sfruttati nei
luoghi di lavoro, e proprio per questi due elementi, per le condizioni di vita
e per le condizioni di lavoro, si ammalano e quindi vedono compromesso il loro
stato di salute.

D: Una stagione all’inferno è quella che vivono migliaia
di immigrati nel nostro paese impiegati in larga parte, al sud, in lavori
stagionali.

R: Certo, si tratta soprattutto di lavori stagionali, di stranieri che
si muovono tra le regioni del Sud Italia per essere impiegati nella raccolta di
primizie. Noi siamo partiti dalla Campania dove si inizia con la raccolta di
fragole, di asparagi e di carciofi, per poi andare, nel cuore dell’estate, tra
luglio ed agosto, nel foggiano dove si concentra la raccolta del pomodoro. Abbiamo
continuato in Sicilia, nella Valle del Belice, dove a settembre c’è la
vendemmia ed in fine abbiamo concluso la nostra indagine ancora in Campania,
nella Piana di Gioia Tauro dove c’è la raccolta delle arance, che talaltro sta
finendo proprio in queste settimane. Oltre a questo tipo di lavori,
caratterizzati da una forte stagionalità, ci sono anche degli stranieri che
dedicano il loro lavoro a colture più intensive, quindi gruppi di stranieri più
stanziali che lavorano soprattutto in serre ed in produzioni intensive che si
estendono nell’arco dei dodici mesi, per tutto l’anno.

D: Viene riportata quindi la situazione di un meridione
che assomiglia ad una sorta di far west senza leggi per quel che
riguarda le condizioni di lavoro. Da una parte quindi condizioni di lavoro in
scioccanti, situazioni di vero e proprio sfruttamento in termini di paga, di
orari, di mancanza di diritti, dall’altra questo rapporto entra nel merito
anche delle condizioni di accoglienza in cui sono costrette a vivere queste
persone.

R: Diciamo che manca qualsiasi standard minimo di accoglienza, noi non
chiediamo che gli stranieri vengano ospitati in hotel di lusso, chiediamo però
che abbiano almeno l’acqua, il bagno, la luce elettrica e un giaciglio per la
notte, un riparo caldo dove poter riposare dopo queste estenuanti giornate di
lavoro. Una delle richieste che noi facciamo ad autorità locali e nazionali, a
tutti insomma gli attori coinvolti nel fenomeno, è che vengano immediatamente
garantiti standard minimi di accoglienza per queste persone che contribuiscono
in maniera fondamentale nel settore economico dell’agricoltura nel Sud Italia
ed hanno diritto a non vedere lesa la loro dignità umana Piana di Gioia Tauro. Quello
che abbiamo rilevato viaggiando in queste regioni è proprio questo: la loro
dignità non viene rispettata.

D: Risultati allarmanti quelli di questo rapporto per
quanto riguarda la vita e le condizioni di lavoro di questi stranieri impiegati
come stagionali nel sud Italia. Ma MSF già nel 2004 aveva redatto un rapporto
analogo e da allora molto poco sembra essere cambiato.

R: Effettivamente noi non abbiamo registrato alcun positivo cambiamento
rispetto alle precedente rilevazione già fatta nel 2004 nonostante il
cambiamento nel panorama politico. Vi sono stati anzi peggioramenti e
riguardano soprattutto le realtà dove le autorità locali hanno messo in piedi
centri di accoglienza e quindi dove c’è stata, se vogliamo, una risposta delle
autorità locali. Queste risposte sono state assolutamente discriminatorie nel
senso che, paradossalmente, questi centri sono stati aperti solo agli stranieri
con un regolare permesso di soggiorno, pur sapendo tutti che la stragrande
maggioranza di queste persone non ha un permesso di soggiorno. In queste
località, gli irregolari e quindi la maggioranza dei lavoratori, non hanno
nemmeno la possibilità di occupare fabbriche o case abbandonate e quindi si
ritrovano a vivere nelle piazze, nelle strade o addirittura nelle stesse
campagne, senza avere nemmeno un tetto o quello che rimane di un tetto sopra la
loro testa.

D:Gli irregolari: si tratta di oltre il 70% degli
intervistati tra le circa 600 persone che avete raggiunto. A fronte della
centralità del loro lavoro, nemmeno uno straccio di diritto, un permesso di
soggiorno.

R: Sbarcati al Lampedusa, o entrati dalle altre diverse frontiere
italiane, si trovano spesso colpiti da un provvedimento di espulsione. Ma
l’intimazione a lasciare il territorio nazionale entro 5 giorni non viene quasi
mai rispettata e quindi in migliaia entrano in questo percorso di irregolarità
in cui per sopravvivere si viene catturati in questo circuito dei lavori
stagionali. Gli irregolari rappresentano una forza lavoro facilmente
ricattabile, sfruttabile, che non ha diritti e che di fatto non esiste, queste
persone sono invisibili, sono fantasmi, non avendo un permesso di soggiorno.
E’ una forza lavoro a basso costo fondamentale per l’agricoltura nel Sud Italia
e che nonostante questo non viene riconosciuta. E’ molto semplice non pagarli,
abbiamo ascoltato storie di persone che si erano lamentate del mancato
pagamento avvenuto da parte del datore di lavoro, dei caporali e che non solo
avevano paura a denunciare la situazione non avendo il permesso di soggiorno,
ma addirittura erano stati picchiati o minacciati a modo dimostrativo per
incutere timore anche in altri, per evitare che qualcun altro osasse ribellarsi
a questo status quo di sfruttamento.

D: Seicento interviste, seicento racconti di vita,
seicento persone, dietro ad ognuna di esse, la storia di una fuga, di una
sfida, di un viaggio attraverso i confini dell’Europa

R: Quello che ci colpisce è che si tratta di persone che fuggono da
guerre e persecuzioni, non dimentichiamo che una parte di queste persone ha un
pds per richiesta asilo ed è in attesa quindi di ottenere lo status di
rifugiato. Si tratta di persone che sono scappate ed hanno attraversato il
deserto, sono arrivate in Libia, si sono imbarcate ed hanno fatto un altro
viaggio drammatico attraversando il mediterraneo per poi sbarcare a Lampedusa.
Queste persone, una volta arrivate in Italia, vedono poi infranto il loro
progetto migratorio, il loro desiderio di trovare protezione o comunque di
migliorare le loro condizioni, proprio perché si trovano intrappolate in questo
circuito.
Tra le tante storie che abbiamo potuto ascoltare, ricordo particolarmente
quella di un giovane ragazzo del Darfur, dove ricordo è in corso una delle
peggiori crisi umanitarie, scappato da quell’inferno e catapultato nell’inferno
delle campagne italiane.
Diceva, “io non posso credere che questa sia l’Italia, non posso credere che
questa sia l’Europa, quello che io mi immaginavo di trovare qui è esattamente
il contrario”
. Nei suoi occhi e nella sua voce c’era lo sconcerto, ci ha
lasciato davvero sconvolti anche perché noi, con MSF, operiamo nel Darfur e
sappiamo bene quale sia la situazione, da che tipo di persecuzioni queste
persone scappano.

Questo il prezzo che l’Europa chiede di pagare a sui
“ospiti”, questo il prezzo da pagare per chi sfida i confini del vecchio
continente.

 

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