“Disintegrati” un libro di Ahmed Djouder

Disintegrati
Storia
corale di una generazione di immigrati

di Alexandre Calvanese – fonte Peacereporter

Disintegrati"Quando la smetterete di guardarci come immigrati, come stranieri, come
ladri, come terroristi? Provate a immaginare un mondo in cui si parli di voi
solo in termini di percentuali, di integrazione, di immigrazione, di
emarginazione, di criminalità, di reati, di insicurezza…Provate a immaginare un
mondo così, voi, i sostenitori dei diritti dell’uomo".

L’integrazione ‘ridicola’. Ahmed Djouder ha 34
anni, vive a Parigi e lavora per il gruppo editoriale Flammarion. Disintegrati
(Storia corale di una generazione di immigrati) è stato scritto di getto
nell’autunno del 2005 mentre la
Francia assisteva sgomenta alla rivolta delle banlieues. E’
un testo che scaturisce dunque da un’urgenza profonda: non ha il rigore dello
studio sociologico né, del resto, ha la pretesa di esserlo. Sembra anzi
evidente che la forza radicale di questo pamphlet promani proprio dal suo tono
di schietta rivendicazione, dalla prospettiva orgogliosamente parziale di chi
vuole leggere il presente senza dimenticare niente del passato: in primo luogo
quello del proprio paese (in questo caso l’Algeria) e della propria famiglia.
Non c’è nessuna aspirazione, da parte di Djouder, ad interpretare la parte del
bravo ragazzo; nessun tentativo di esibire la propria riuscita, il proprio
inserimento nella società francese. Perché ad essere messa in discussione, qui,
è la nozione stessa di integrazione, quantomeno nella versione standard
declinata dai paesi che in questi anni hanno assorbito importanti flussi
migratori: per essere integrato devi diventare come noi: "Detto fra noi, i
francesi amano questa parola, ‘integrazione’, perché fa credere loro di essere
in grado di addomesticarci. Ma noi non siamo animali selvaggi. Lo sapete?"
Il linguaggio che adoperiamo smaschera i pregiudizi della nostra cultura. Come
quello che ci fa parlare di extracomunitari nord-africani, ma mai di
extracomunitari nord-americani: "La vostra ‘integrazione’ ci fa ridere. È
una parola tremenda. Non ci interessa. Noi non ci dobbiamo integrare. Non ci
integreremo. Aspetteremo che voi reagiate, che ci vediate come chiunque altro,
come uno straniero qualunque, come un francese qualunque".

Disintegrati, concepito come monologo di un
‘noi’ che si rivolge ad un ‘voi’, ha una struttura bipartita. La prima parte si
configura come un album di famiglia: c’è, in primo piano, il ritratto – anche
rabbioso, a volte, come a rimproverare di aver sopportato troppo e troppo a
lungo – dei genitori, cioè di quella prima generazione di immigrati giunti in
Francia subito dopo la
Seconda Guerra Mondiale, seguiti da una seconda ondata
seguente all’indipendenza del paese. I genitori sono quelli che "non
giocheranno mai a tennis, a badminton, a golf, non andranno mai a sciare, non mangeranno
mai in ristoranti raffinati", che "credono solo nella famiglia, nel
peccato, nei soldi, nel risparmio, nei vestiti, nelle cose, in Allah, nel
dolore", e che "oggi, sono terrorizzati da tutto". E intorno a
questo ritratto ci sono le tante istantanee di un’esistenza segnata dalle
inevitabili contraddizioni di chi si chiude nel guscio dei propri valori – la
famiglia, la religione, l’appartenenza alla comunità – per non andare alla
deriva in un paese dove "nessuno gli ha insegnato a desiderare. A sapere.
A conoscere".

Ammettere
i propri errori.
Ma è soprattutto nella seconda parte che il libro prende quota,
quando il ‘voi’ (i francesi) viene convocato con sempre maggior insistenza a
prendere atto delle sue responsabilità, che, risalendo indietro nel tempo,
hanno una data d’inizio: "I francesi arrivano in Algeria nel 1830".
C’è un’immagine ricorrente in cui si sostanzia la sorte del migrante
proveniente da un’ex colonia: quella di un corpo sfruttato, abusato,
violentato, e poi gettato via. E c’è lo stato d’animo che abita quel corpo:
"È vero, noi abbiamo l’odio dentro. Un odio che è il risultato di una
violenza che ci è stata fatta e che voi vi ostinate a non voler vedere o a
minimizzare". Una violenza ripetuta ogni volta che l’immigrazione viene
derubricata a dato statistico di tabelle sulla criminalità o a pretesto per
attaccare il proprio avversario politico. Ogni volta che la miseria viene
scambiata per "miserabilismo" e il dolore per "dolorismo".
"Riuscite a capire che c’è logica nell’insultare il pedofilo da cui si è
stati violentati, anche se sono passati quarant’anni?" Ma c’è anche, in
conclusione, uno sguardo maturo e realista capace di andare oltre quella
rabbia: "Sì, i francesi di oggi non hanno nessuna responsabilità. Perché
mai i figli dovrebbero pagare per le colpe dei padri, dei nonni o degli
antenati? Ma in quanto persona morale, la Francia ha un onore da salvare, e potrà farlo
solo ammettendo i propri errori, il proprio oblio e le proprie manchevolezze,
correggendo il tiro".

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