Una questione di razza

Attorno alla storia
dei Jena Six, negli Usa torna il movimento per i diritti civili dei neri

di Alessandro Ursic – fonte PeaceReporter

Free Jena SixStudenti bianchi e neri con vite separate, cappi che
penzolano dai rami a mo' di minaccia, pestaggi organizzati degli appartenenti
all'altra razza, giurie monocolore che emettono sentenze controverse. Nell'abisso
tra le due verità – una bianca e una nera – in cui è sprofondata Jena, 3.500
abitanti tra i boschi della Louisiana, gli Stati Uniti stanno rivivendo le
atmosfere degli anni Sessanta e le battaglie del movimento per i diritti civili
degli afroamericani. Un clima culminato ieri in una manifestazione di decine di
migliaia di persone, calate su questa piccola città del “profondo Sud”
statunitense per chiedere una giustizia equa, a prescindere dal colore della
pelle.


Free Jena SixL'albero dei bianchi.
Al centro della storia ci sono sei
studenti di liceo afroamericani. Lo scorso 4 dicembre, i ragazzi hanno
picchiato uno studente bianco che aveva preso in giro uno di loro, vittima
qualche giorno prima di un pestaggio da parte di altri bianchi. Le tensioni a
Jena erano alte dall'inizio di settembre, quando alcune matricole afroamericane
della Jena High School “osarono” sedersi all'ombra di un albero dove per
tradizione si riunivano solo gli studenti bianchi. Il giorno dopo, dai rami di
quell'albero penzolavano tre cappi. Il preside della scuola raccomandò
l'espulsione dei tre ragazzi bianchi autori del gesto, ma il consiglio
scolastico non lo ascoltò e chiuse il caso sospendendo i responsabili per tre
giorni. Gli studenti afroamericani protestarono e si rivolsero al procuratore
distrettuale Reed Walters, che non gradì il clamore intorno a quella che definì
“una bravata innocente”. E agli studenti riuniti – secondo i neri rivolgendosi
a loro – disse: “Vedete questa penna? Con un colpo di questa posso porre fine
alle vostre vite”.

Free Jena SixTensione alle stelle. Caso chiuso ma solo sulla carta,
mentre a scuola la vita procedeva tra sguardi in cagnesco e provocazioni
sparse, con studenti bianchi e neri sempre più divisi, in una città popolata
all'85 percento da bianchi. Il 30 novembre, le fiamme appiccate all'edificio
principale della high school invelenirono ulteriormente il clima; ancora oggi
non si conosce il colpevole, ma tutti pensano che sia stato “l'altro”. La sera successiva,
due zuffe tra bianchi e neri si svilupparono all'esterno di una festa. Il
giorno dopo, nel negozio di un distributore di benzina, scoppiò una lite tra un
bianco presente a quel party e un gruppo di studenti neri. Il ragazzo tirò
fuori un fucile dalla sua auto e minacciò gli afroamericani. Nella
colluttazione uno di loro, Robert Bailey, riuscì a impossessarsi del fucile e
se lo portò a casa. La polizia locale indagò sulla zuffa. Come risultato,
Bailey fu accusato di furto d'arma, rapina e disturbo della quiete pubblica; il
ragazzo bianco fu prosciolto. Un altro fatto vissuto come un'ingiustizia.

Free Jena SixIl pestaggio. Così, quando lo studente Robert
Barker – non uno di quelli che appese i cappi all' “albero dei bianchi” – si
prese a male parole con altri sei afroamericani della high school, per lui finì
male. Quelli che poi sarebbero diventati i Jena Six lo lasciarono agonizzante
sul terreno. Fu portato in ospedale e dimesso dopo due ore, con la faccia
gonfia ma capace di tornare a casa con le sue gambe, tanto che poi alla sera
partecipò a una riunione a scuola. Inizialmente, i sei assalitori furono
accusati di semplice aggressione. Ma poi il procuratore Walters alzò il tono,
trasformando i capi di imputazione in “tentato omicidio”: un'accusa che
potrebbe tenerli in carcere per oltre trenta anni. E' iniziata così una
battaglia legale ancora in corso: i Jena Six erano tutti minorenni al momento
del pestaggio, ma per la legge della Louisiana i maggiori di 15 anni vanno
processati come gli adulti per questo tipo di reato. Mychal Bell, l'unico dei
Jena Six con precedenti penali, è stato trovato colpevole – da una giuria di
sei persone tutta composta da bianchi – di “aggressione aggravata” (cioè quella
perpetrata con un'arma, nel suo caso le scarpe da tennis usate per dare calci a
Barker), e ieri avrebbe potuto essere condannato a 22 anni di reclusione.
Avrebbe, perché nel frattempo è intervenuta una corte di appello che ha
bloccato tutto, sostenendo che il ragazzo dovrebbe essere giudicato da un
tribunale minorile.

Il dibattito. A livello giudiziario, il caso non
è finito. La serie di ricorsi, ultimo quello del procuratore distrettuale,
continuerà a lungo. Ma la storia è diventata un caso nazionale. Jesse Jackson e
Al Sharpton, i due reverendi icone dei diritti degli afroamericani, l'hanno paragonata
alle marce per i diritti civili in Alabama. Sono nati movimenti popolari per
chiedere la fine delle discriminazioni razziali nel sistema giudiziario. La
campagna per i Jena Six è fatta anche di video su YouTube, e la petizione a
loro favore ha raccolto 345mila firme. Il cantante David Bowie ha donato 10mila
dollari per le spese legali dei sei ragazzi. Sui blog gli americani si
dividono, facendo riemergere rancori e stereotipi: a chi protesta contro la
mano pesante della giustizia nei confronti dei neri, alcuni rispondono facendo
notare che dopotutto un'aggressione organizzata rimane un atto grave, e il “sei
contro uno” sarebbe un indice della “mentalità da gang” degli afroamericani. Il
posto dove è iniziato tutto, “l'albero dei bianchi”, non c'è più, è stato
tagliato. Ma a Jena, e non solo, i semi dell'odio girano ancora.

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