Bari: rivolta e fuga dal Cpt

La rivolta e la fuga dal Cpt di Bari
Fonte: Redazione Melting Pot

cpt di Bari

Il 29 luglio più di cento immigrati detenuti
nel Centro di Permanenza Temporanea di Bari Palese hanno attuato una vera e
propria rivolta protestando contro l’”accoglienza” che l’Italia garantisce
loro.
Di fatto il Cpt barese, insieme a quello di Gradisca d’Isonzo, è
diventato il principale luogo di smistamento dei migranti sbarcati in Italia,
innanzitutto in Sicilia.

Il
risultato della protesta è di
32 persone fuggite (di cui tre poi ritornate), 4
arrestati
per violenza a pubblico ufficiale e danneggiamento, 8 feriti tra i
manifestanti e una decina di feriti tra agenti delle forze dell’ordine e
dipendenti dell’ente Operatori Emergenze Radio (O.E.R.)
che da marzo gestisce
il centro.

Non possiamo dire con certezza, come fatto
dalla Questura barese, che i fuggitivi siano tutti di nazionalità egiziana e
che abbiano voluto fuggire per paura di essere sicuramente reimpatriati. Anzi,
pare dubbio che persone rinchiuse in quello che non stentiamo a definire un
moderno lager abbiano conoscenza degli accordi di reimpatrio che l’Italia
stipula con altri Paesi del mondo.

Molto spesso, anzi, le persone detenute nel
Cpt non sanno né perchè, né per quanto tempo, né con quali esiti avviene la
detenzione stessa.

Se anche lo fossero ci sarebbe da ricordare al
Governo italiano (che stipula tali accordi di riammissione) l’intervento della
polizia egiziana nel 2006 contro l’accampamento dei rifugiati e richiedenti
asilo davanti alla sede del Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Quell’intervento portò alla morte di 25 persone ed al ferimento di centinaia.

Quello che conta, tuttavia, è la fuga, la
rivolta che la ha resa praticabile, il livello di autorganizzazione
sviluppatosi.

Da notizie che si sono apprese attraverso le
poche testimonianze trapelate e dalla ricostruzione fatta dai giornali locali e
nazionali appare un quadro descrittivo di una situazione che non necessariamente
possiamo dire casuale o estemporanea.
Sappiamo da tempo che nel Cpt di Bari (come in tutti gli altri) il ricatto,
l’uso indiscriminato di psicofarmaci, la detenzione di minorenni, il mancato
rispetto delle norme internazionali a tutela dei richiedenti asilo, le forme di
pressione fisica e psicologica sono prassi consuete.

Da tempo sappiamo e denunciamo, altresì, i
casi di autolesionismo e di fuga che si sono avuti in passato. In alcuni casi
le morti. Nel mese di luglio, tuttavia, nel solo centro di Bari Palese sono
state segnalate due rivolte e due tentativi di fuga andati a buon fine, 7
persone nella prima, 32 nella seconda.

Come a Gradisca d’Isonzo,
inoltre, anche a Bari il Centro di Permanenza Temporanea ha sin dalla sua
apertura (marzo 2006) trattenuto una media di persone non superiore a 50.

Con i massivi sbarchi dell’ultimo mese,
tuttavia, entrambi i centri hanno moltiplicato per tre il numero dei
trattenuti.
Questo è sicuramente un dato su cui riflettere, visto che gli operatori dei
centri sono sempre gli stessi e visto che l’organizzazione complessiva dei
centri è, per così dire, “tarata” su un numero di detenuti inferiore a quello
attuale.
Nel momento in cui il numero complessivo dei trattenuti cresce esponenzialmente
è di tutta evidenza come questo possa creare disservizi, da un lato, e maggiore
conoscenza e comunicabilità tra i rinchiusi, dall’altro.

D’altro canto le modalità dell’ultima rivolta
con fuga portano ad immaginare un livello di autorganizzazione tra i migranti
di non poco conto.

La dinamica degli accadimenti ha visto,
infatti, un corposo numero di persone, circa un centinaio, protestare cercando
di guadagnare l’uscita principale del Cpt. Contemporaneamente altri hanno divelto
le telecamere a circuito chiuso interne al Centro ed hanno utilizzato i cavi
come corde idonee a superare l’alto muro di cinta che separa i migranti
rinchiusi dalla campagna del quartiere San Paolo.

Nella fuga del 25 luglio scorso, invece, il
malore di un immigrato (non sappiamo se vero o meno) ha costituito il pretesto
per distogliere l’attenzione di operatori e forze di polizia dal gruppo di 7
che poi è effettivamente fuggito.

Nonostante la temporaneità della presenza
delle persone nei Cpt è indubbio che chi scappa dalla miseria, dalla precarietà
o dalle guerre o anche chi vuole realizzare un proprio desiderio di libertà
lasciando la terra natia non può comprendere una carcerazione sapendo di non
avere commesso crimini.

Ed è anche probabile che il meccanismo di
doppia detenzione che spesso vivono i migranti (o perchè all’uscita dal carcere
vengono portati nel Cpt o perchè non essendo reimpatriati rimangono in Italia
da irregolari e sono esposti alla reclusione continua nei Cpt) porti alla
diffusione di pratiche di resistenza alla detenzione amministrativa ed alla
messa in pratica delle stesse.

I Cpt italiani sono stati pieni di fughe e di
rivolte: dal Serraino Vulpitta al centro di Via Corelli a Milano gli esempi non
mancano. Ed è evidente che fino a quando la libertà delle persone non sarà
messa al centro delle politiche sull’immigrazione in Italia ed in Europa casi
come questi si ripeteranno sempre più frequentemente.
Magari assurgendo all’onore delle cronache solo in presenza di una fuga tanto
evidente da dovere fare correre ai ripari anche le stesse forze di polizia.

Ma l’autonomia dei movimenti migratori non può
certo fermarsi perchè esistono i centri di permanenza temporanea e la
privazione della libertà di persona.

Redazione Melting Pot

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