disegno di Carlos Latuff
Gerusalemme. Rioccupare Gaza o continuare l’ondata di attacchi aerei di questi ultimi giorni? Su questo interrogativo si spacca l’establishment politico-militare israeliano anche se il partito dell’invasione della Striscia si rafforza sotto la pressione di giornali e televisioni. Si dice che sia rimasto solo il ministro dell’interno Meir Shitrit a respingere con forza l’idea di una rioccupazione militare del lembo di terra palestinese evacuato da Israele nel 2005.
A Gaza in ogni caso le discussioni all’interno dell’esecutivo israeliano contano ben poco, perché il bagno di sangue è immenso e la gente attende il compiersi di un disegno noto da tempo. Tra mercoledì e giovedì almeno 28 palestinesi sono rimasti uccisi nei raid israeliani, 13 dei quali ieri, tra cui altri quattro bambini. Un’escalation che non risparmia la Cisgiordania: ieri altri due militanti dell’Intifada sono stati uccisi a Nablus. Hamas nel frattempo sta dimostrando tutta la sua capacità di reazione. Anche ieri ha sparato razzi artigianali verso i centri abitati del sud di Israele, otto dei quali hanno raggiunto Ashqelon danneggiando una abitazione e colpendo il cortile di una scuola. Uomini politici e persone comuni si sono recati a Sderot a portare la loro solidarietà alla famiglia dello studente ucciso due giorni fa da un razzo.
Israele ormai spara su tutto ciò che si muove lungo la sua frontiera con Gaza e persino con l’Egitto. Ufficialmente, per fermare chi lancia razzi, ma gli effetti sul terreno sono devastanti per i civili palestinesi. Ieri sera un pastore è stato ucciso, a nord della Striscia, da un missile aria-terra sganciato da un elicottero da combattimento. Un paio di ore dopo una ragazzina egiziana di 13 anni è stata ferita alla testa mentre giocava non lontano dal valico di Kerem Shalom, dove si incrociano i territori dello Stato ebraico, di Gaza e dell’Egitto.
Secondo testimoni a centrarla è stato il fuoco israeliano. La famiglia ha riferito che suo cugino, un uomo di 40 anni, aveva subìto la stessa sorte all’inizio di gennaio, nella stessa zona. Il gioco si trasforma in morte. Lo dicono i tre bambini uccisi due giorni fa mentre giocavano a pallone a Jabaliya, lo ribadiscono i tre fratelli Darduna – Deib, Omar e Ali, rispettivamente di 11, 14 e 8 anni – e il loro compagno di partitelle di calcio Mohammed Hammuda, 7 anni, uccisi ieri, sempre nei pressi di Jabaliya, in uno dei tanti attacchi aerei che hanno investito Gaza.
La «colpa» dei bambini palestinesi è quella di non avere una percezione esatta del pericolo, di non capire cosa significhi esattamente una guerra, di non sapere che la morte può arrivare dal cielo, sbucando all’improvviso dalle nuvole. Per loro, che non hanno a disposizione cortili di scuole e campetti ben curati dove tirare calci a un pallone, le campagne alla periferia dei centri abitati e dei campi profughi sono il terreno dove con due grosse pietre si segna una porta e si comincia a giocare. Terreni agricoli che Israele di fatto considera aree proibite e dove prima apre il fuoco e poi si accerta dell’intenzioni di coloro che vi erano entrati. La giustificazione è, sistematicamente, quella di «figure sospette impegnate a lanciare razzi» individuate dai soldati o dall’aviazione. Poi si scopre che in non pochi casi erano bambini o contadini.
Il numero delle vittime aumenta con il passare dei giorni. A morire sono soprattutto i militanti armati o i poliziotti di Hamas. Ieri ne sono stati uccisi nove, in vari attacchi aerei che hanno preso di mira obiettivi non lontano dalla casa del premier del movimento islamico, Ismail Haniyeh. Tra i morti c’è anche Hamza Al-Hayya, figlio del deputato e alto dirigente di Hamas, Khalil al-Hayya. Forte del sostegno espresso dal Segretario di stato Condoleezza Rice e delle ambiguità del Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, soggetto alle pressioni della stampa e dell’opinione pubblica il premier israeliano Olmert esclude l’ipotesi di un cessate il fuoco che pure ieri è stato sollecitato anche dall’Unione europea.
«Prenderemo tutti i terroristi, li attaccheremo, proveremo a fermarli», ha detto Olmert, ormai in pieno accordo con il ministro della difesa Barak, pronto a dare luce verde all’invasione di Gaza.