Accordo Italia Libia sui migranti / Gli accordi con i dittatori non pagano

Estrema preoccupazione per
l’annunciato accordo italo-libico espressa dall’Associaizone Studi Giuridici
sull’Immigrazione.
[
A seguire, dopo il comunicato dell’ ASGI, un interessantissima analisi sullo stesso argomento di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo, dal titolo  "Gli accordi con i dittatori non pagano]

L’ASGI esprime estrema preoccupazione per l’ accordo
raggiunto, dopo trattative coperte dal più stretto riserbo, tra il Governo
italiano ed il Governo libico in materia di contrasto all’immigrazione
irregolare, accordo di cui il Ministero dell’Interno ha dato notizia con un
laconico comunicato emanato il 29 dicembre 2007. La condizione dei migranti
irregolari, arrestati o detenuti in Libia, denunciata da diverse agenzie
umanitarie, e testimoniata da coloro che, giunti in Italia, hanno avuto accesso
alla procedura di asilo, rimane ben lontana dall’effettivo rispetto dei diritti
fondamentali della persona. I futuri tentativi di respingimento in mare,
attuato con il pattugliamento congiunto italo libico delle acque prospicienti
quel paese, potranno essere causa di ulteriori tragedie, aumentando il numero
già impressionante delle vittime.

L’ASGI ricorda che gli accordi bilaterali di riammissione
dei migranti irregolari non possono limitarsi ad intese operative a livello di
forze di polizia o di rappresentanze diplomatiche, sottratte come tali alla
verifica del Parlamento, né possono risultare in contrasto con il diritto
internazionale del mare universalmente riconosciuto o con le norme di diritto
interno ed internazionale relative alla protezione dei rifugiati. In
particolare nel caso di interventi di pattugliamento in alto mare o nelle acque
territoriali dei paesi di transito dei migranti occorre sempre dare scrupolosa
attuazione alle norme che garantiscano l’accesso effettivo dei potenziali
richiedenti asilo al territorio dei paesi che aderiscono alla Convenzione di
Ginevra.

La Convenzione Internazionale per la sicurezza della vita in
mare del 1974 (Convenzione SOLAS) impone un preciso obbligo di soccorso e
assistenza delle persone in mare “senza distinguere a seconda della nazionalità
o dello stato giuridico”, stabilendo altresì, oltre l’obbligo della prima
assistenza anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un “luogo sicuro”. In
base al diritto internazionale marittimo un luogo sicuro è non solo una
località dove la sicurezza dei sopravvissuti e le necessità umane primarie
(come cibo, alloggio e cure mediche) possano essere soddisfatte, ma è anche un
luogo nel quale i richiedenti asilo presenti tra i migranti irregolari possano
godere di un accesso pieno alla procedura di asilo prevista dalla Convenzione
di Ginevra del 1951, nel rispetto rigoroso del principio di non refoulement
sancito all’art. 33 della stessa Convenzione.

L’ASGI ricorda che la Libia è un paese che non ha neppure ratificato la Convenzione di Ginevra
sui rifugiati e che pertanto l’esercizio del diritto d’asilo in Libia è
impossibile. Parimenti la Libia
è ancora caratterizzata da un regime dittatoriale, responsabile tanto in
passato che ancora oggi, di gravissime violazioni dei diritti fondamentali
della persona. Centinaia di potenziali richiedenti asilo, tra i quali molti
eritrei, e soggetti vulnerabili come donne e minori, sono ancora rinchiusi nel
carcere di Misurata ed in altri centri di detenzione in Libia, dove subiscono
quotidianamente gravissimi abusi.

L’accordo italo-libico, per quanto è dato desumere dalle
notizie ufficiali diramate dal governo, mancherebbe di ogni effettivo elemento
di controllo e di garanzia sulla sorte dei migranti che verranno intercettati e
rinviati in Libia. In tal modo, al di là delle dichiarazioni espresse dal
Governo italiano relative alle finalità meritorie del contrasto del tragico
traffico degli esseri umani, l’accordo pone oggettivamente l’Italia in un
pericolosissimo vortice di gravi responsabilità dirette per le violazioni dei
diritti fondamentali della persona che in territorio libico potranno essere
commesse a danno dei migranti che saranno respinti o arrestati in quel paese.

Di fronte ad una situazione di tale gravità, l’ASGI chiede
al Governo italiano di rendere pubblico il testo dell’accordo, ivi comprese le
modalità operative e l’impegno di spesa a carico dell’Erario, e comunque di
rinviare con immediatezza la intera tematica al Parlamento, come sarebbe
peraltro richiesto dall’art. 80 della Costituzione per i trattati
internazionali “che sono di natura politica” o che importano “oneri alle
finanze”, al fine di potere individuare nelle opportune sedi, e con la dovuta
trasparenza, le iniziative da attuare sul piano internazionale rivolte al
contrasto del traffico degli esseri umani nel pieno rispetto dell’insieme delle
norme internazionali sui diritti dell’uomo e del diritto d’asilo in
particolare.

 

Gli accordi con i
dittatori non pagano

di Fulvio Vassallo Paleologo – Università di Palermo  [giovedì 3 gennaio 2008]

Negli stessi giorni in cui in Pakistan veniva imbastita
una montatura di regime da parte di Musharraf per coprire le responsabilità
dell’omicidio politico di Benazir Bhutto, mentre in Kenia si andava preparando
quella bomba ad orologeria che è puntualmente esplosa dopo lo scandalo dei
brogli elettorali, tra la Libia
e l’Italia si è giocata una partita diplomatica che ha finalmente prodotto i
risultati da tempo sperati dai governi italiani, prima da Berlusconi e da
Pisanu, poi da Prodi, D’Alema e Amato. Otto anni dopo l’avvio delle prime
trattative con il colonnello Gheddafi, l’Italia ha finalmente siglato un
accordo per combattere l’immigrazione clandestina. Finora si era trattato solo
di intese operative, a livello di forze di polizia, adesso quelle stesse forze
di polizia ottengono dai politici la formalizzazione e la legittimazione delle
prassi “riservate” seguite fin qui, con l’aggiunta di mezzi e personale che
dovrebbero migliorare “l’efficienza” degli interventi di contrasto. La firma
congiunta sul protocollo è stata apposta dal ministro degli Esteri Abdurrahman
Mohamed Shalgam e dal titolare del Viminale Giuliano Amato, volato in Africa
con il responsabile del suo gabinetto Gianni De Gennaro, vero elemento di
continuità di tutta la trattativa, accompagnato dal capo della polizia Antonio
Manganelli.

Un accordo importante, che coincide con il ruolo assegnato
alla Libia in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dopo che gli
Stati Uniti d’America sono diventati i principali sponsor di un paese che fino
a pochi anni fa era ancora incluso nella lista degli stati canaglia. Ma
l’impegno di Gheddafi nella lotta contro il terrorismo internazionale ( almeno
stando alle sue più recenti dichiarazioni) ha convinto gli americani, a corto
di alleati nella “crociata contro il male”, ad allearsi con la Libia ed a promuovere la
riabilitazione internazionale del regime libico. I paesi europei, l’Italia in
testa, stanno facendo da tempo la fila per guadagnarsi i favori ( economici )
del potente vicino e la sua collaborazione nella “guerra contro l’immigrazione
illegale”, senza preoccuparsi troppo del rispetto dei diritti umani dei
migranti bloccati in Libia o delle vite dei tanti che pur di fuggire da quel
paese sfidano la morte nelle acque del Mediterraneo.

L’Italia è stato il paese europeo che si è maggiormente
impegnato per la rimozione dell’embargo contro la Libia, dimostrando da questo
punto di vista una totale continuità di politica estera, dal Governo D’Alema
nel 1999, al Governo Berlusconi ed al Governo Prodi, poi. La vicenda della
liberazione delle infermiere bulgare e del medico palestinese, nell’estate del
2007, aveva segnato un punto in favore del “concorrente” alleato francese,
scandito anche dalla visita di Gheddafi a Parigi, ma adesso il nuovo accordo
sottoscritto da Amato con il suo omologo libico, con la “benedizione” del
commissario europeo Frattini, rimette in corsa la diplomazia italiana ed apre
nuovi scenari per una più intensa collaborazione economica. Altro che maggiori
prospettive di salvare la vita ai clandestini ! E’ documentato da dati
inoppugnabili come ogni intensificazione delle misure di contrasto
dell’immigrazione clandestina, senza il riconoscimento dei diritti
fondamentali, come il diritto di asilo, e senza l’apertura di canali di
ingresso legali, produca una crescita esponenziale di vittime dell’emigrazione
clandestina.

La stipula dell’accordo tra Italia e Libia purtroppo non
stupisce in un mondo nel quale le ragioni della globalizzazione economica si
affidano sempre più spesso alle armi, alla etnicizzazione dei conflitti e
quindi ai regimi dittatoriali, alle carceri ed alla tortura, piuttosto che alla
emancipazione economica e sociale delle popolazioni autoctone, spesso costrette
alle migrazioni – se non dalla guerra – proprio per la desertificazione
sociale, politica ed ambientale dei territori che abitano. Da una parte
all’altra del mondo, si continua a puntare su regimi privi di una qualsiasi
legittimazione democratica, per “garantire la pace” nelle relazioni
internazionali e la sicurezza interna, oltre, naturalmente, i profitti delle
multinazionali. Con quali risultati è possibile per tutti, oggi, verificare.
L’allarme terrorismo si è da tempo esteso all’Africa settentrionale e ovunque
si registra una alleanza di fatto ( malgrado dichiarino di combattersi a
vicenda) tra le organizzazioni terroristiche e i regimi militari, a danno della
società civile, degli studenti, dei docenti universitari, degli operatori
dell’informazione, degli avvocati, dei magistrati e di tutti coloro (anche
esponenti politici) che in quei paesi lottano ogni giorno per la pace e la
democrazia, attraverso la giustizia sociale, senza aspettare che siano le armi
e le divise ad imporle.

Le pratiche poliziesche di extraordinary rendition con la
esternalizzazione della tortura sono un altra merce di scambio che alcuni paesi
di transito, dal Marocco all’Egitto in Africa, ed altrove, utilizzano per
accreditarsi come partner affidabili, anche quando sono governati da regimi che
sino a qualche anno fa erano percepiti, anche a da parte dell’opinione
pubblica, come partner impresentabili. Il caso della Libia presenta poi aspetti
del tutto particolari, ancora da verificare sotto questo punto di vista perché
la collaborazione con gli Stati Uniti è ancora assai recente. Il nuovo asse tra
Washington e Tripoli brucia i margini di azione di quelle associazioni che,
dall’estero, si battevano per i diritti umani e la democrazia in quel paese, ed
apre scenari imprevedibili per quanto concerne la esternalizzazione della
detenzione amministrativa e delle pratiche di contrasto, tanto del terrorismo
che dell’immigrazione clandestina. Ma la Libia presenta altre particolarità, che non andrebbero
trascurate, perché non si tratta di un paese di emigrazione, ma semmai di
transito, ricco di risorse naturali e finanziarie, in certi periodi anche un
paese che ha bisogno dell’immigrazione, uno stato che, dopo la riabilitazione
americana, e le promettenti offerte della diplomazia europea, può permettersi
di negoziare da posizioni di forza con qualunque interlocutore.

La legittimazione del colonnello Gheddafi dopo il vertice
di Lisbona ed il suo viaggio in Francia e in Spagna, come gendarme di un area
ad alto rischio, facevano facilmente prevedere una intensificazione dei
rapporti già esistenti di collaborazione con i paesi europei nel contrasto
dell’immigrazione clandestina. Già dal 2003, peraltro, l’Italia aveva concluso
e praticato con la Libia
intese operative, come quelle che tra il 2004 e il 2005 avevano supportato le
operazioni di rimpatrio dalla Libia verso numerosi paesi di origine dei
migranti e, tra le altre, le deportazioni collettive da Lampedusa, malgrado la
condanna del Parlamento Europeo e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. E
sono noti da tempo casi ( ancora) isolati di respingimento in mare di
imbarcazioni cariche di migranti, praticato da unità militari italiane, verso i
porti libici. Dopo mesi di trattative riservate condotte dai più alti vertici
del ministero dell’Interno, sulle quali si è taciuto persino in Parlamento di
fronte a diverse interrogazioni parlamentari che chiedevano di fare chiarezza
sui rapporti tra la Libia
e l’Italia, si è così giunti alla firma di uu “protocollo d’intesa” da parte
del ministro Amato e del suo omologo libico. Si istituiscono centrali operative
e sistemi di monitoraggio comuni per contrastare l’immigrazione clandestina,
con il dispiegamento di unità militari italiane in acque libiche a ridosso
della costa, per adesso sei imbarcazioni della Guardia di Finanza, tra le più
avanzate tecnologicamente, che opereranno con equipaggi misti per respingere i
migranti verso i porti di partenza.

Il Protocollo prevede inoltre che l’Italia assuma
ulteriori iniziative a livello europeo per rinforzare i dispositivi di “guerra
all’immigrazione illegale” come l’agenzia FRONTEX. Secondo quanto si apprende
dai giornali che hanno fedelmente riportato le veline dei comunicati ufficiali,
“la direzione e il coordinamento delle attività addestrative ed operative di
pattugliamento marittimo vengono affidati ad un Comando operativo interforze
che sarà istituito presso una «idonea struttura» individuata dalla Libia. Il
responsabile sarà un «qualificato rappresentante» designato dalle autorità
libiche, mentre il vice comandante (con un suo staff) verrà nominato dal
Governo italiano. Tra i compiti del Comando interforze quello di organizzare
l’attività quotidiana di addestramento e pattugliamento; di «impartire le
direttive di servizio necessarie in caso di avvistamento e/o fermo di natanti
con clandestini a bordo»; di interfacciarsì con le «omologhe strutture
italiane», potendo anche richiedere l’intervento o l’ausilio dei mezzi
schierati a Lampedusa per le attività anti-immigrazione”. I termini
dell’accordo, malgrado il riserbo ufficiale appaiono molto chiari. Sappiamo già
cosa significa il “fermo di natanti” in mare, migliaia di morti e ancora
processi per i comandanti delle imbarcazioni non militari, autori di interventi
di salvataggio. Ed è ben nota la condizione dei migranti restituiti alla
polizia libica dopo il respingimento da parte delle autorità italiane.

Il protocollo sottoscritto a Tripoli da Amato e dal
ministro degli interni libico dovrebbe rientrare tra gli accordi che sono
previsti già nel T.U. sull’immigrazione agli articoli 2, 3 e 21, modificati
dalla legge Bossi-Fini, con disposizioni che suscitano ancora gravi sospetti di
incostituzionalità perché si tratta di accordi internazionali di indubbia
valenza politica e di ingente portata economica che sono sottratti alla
ratifica parlamentare prevista dall’art. 80 della nostra Costituzione. Gli
stessi accordi, a seconda del loro contenuto, o delle intese operative che ne
seguono, possono violare principi consolidati di diritto internazionale . La
riammissione, o il respingimento a mare di migranti verso stati che non
garantiscano il rispetto dei diritti umani fondamentali, ovvero nei quali gli
interessati possano essere vittime di trattamenti disumani o degradanti, sono
tassativamente proibiti dall’art. 3 della stessa Convenzione Europea.
Analogamente è vietato il rinvio verso stati nei quali non vi è l’effettiva
possibilità di accedere alla protezione prevista dalla Convenzione di Ginevra
sullo status di rifugiato, convenzione che la Libia non ha ancora sottoscritto.

In questi anni si è avuta notizia di migliaia di casi di
respingimento di potenziali richiedenti asilo da parte delle autorità libiche,
e sono ormai numerose le testimonianze sulla detenzione in condizioni disumane
e degradanti che viene praticata in Libia, come si è verificato nel caso degli
eritrei e degli altri migranti irregolari detenuti nel carcere di Misurata ed
in altri luoghi di detenzione, anche fosse scavate nel deserto. I migranti
irregolari, anche quelli giunti in Libia per lavorare, attratti dagli inviti
del colonnello Gheddafi ai tempi dell’embargo, sono stati poi utilizzati come
merce di scambio e sono stati consegnati dalle autorità di polizia libiche agli
stati dai quali fuggivano, come il Sudan o l’Eritrea, subendo imprigionamenti
arbitrari e torture di ogni genere. Chi è riuscito a salvarsi ha dovuto pagare
somme sempre più elevate alla polizia libica. Con questi leader politici e con
queste forze di polizia adesso l’Italia ha firmato un protocollo per la
“cooperazione contro l’immigrazione clandestina”. Vedremo e documenteremo
attraverso le testimonianze che sarà possibile raccogliere come e quando gli
agenti italiani che collaboreranno con la polizia libica riusciranno a
garantire i diritti umani dei migranti e a contrastare la corruzione diffusa in
Libia a tutti i livelli.

Al di là del giudizio negativo che si può formulare su un
accordo concluso sulla pelle dei migranti, senza alcun riguardo per le
categorie più vulnerabili, come donne, minori, richiedenti asilo, viene forte
il dubbio che i paesi, come la
Francia e l’Italia, che stanno investendo risorse ingenti
attribuendo a regimi dittatoriali compiti sempre più importanti per bloccare
l’immigrazione e per combattere il terrorismo, possano avere fatto male i
propri conti, per la inaffidabilità dei partner che non sembrano certo in grado
di garantire quanto hanno millantato, ma che intanto prosperano sugli aiuti
economici e sulle forniture militari che gli vengono generosamente elargite.
Continuando a governare con la violenza militare e con la repressione di
qualunque forma di dissenso. Violenza militare e repressione che non possono
che alimentare la base delle organizzazioni terroristiche. Malgrado il
”maquillage” democratico consigliato a bassa voce, talvolta appena accennato in
qualche postilla degli accordi, dai partner europei.

Nel corso dei suoi incontri a Parigi, Gheddafi ha
immediatamente smentito Sarkozy quando questi ha affermato di avere trattato,
nel suo colloquio con il leader libico, il dossier sul rispetto dei diritti
umani in Libia. La Libia,
il cui ruolo nella crisi del Darfur, come in altri paesi africani, è ancora
tutto da decifrare, contesta persino il Tribunale penale internazionale, non ha
sottoscritto la Convenzione
di Ginevra sui rifugiati, ma siede a pieno titolo nel Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite. Rimane tutta da provare la sua effettiva capacità
deterrente verso le organizzazioni terroristiche, mentre sta cominciando a
ricevere (dalla Francia) materiali utili per la costruzione di centrali
nucleari, per uso civile, naturalmente, centrali che saranno ubicate a poche
centinaia di chilometri dal territorio italiano.

Non crediamo che i nuovi accordi produrranno gli effetti
auspicati di contrastare l’immigrazione clandestina salvaguardando la vita ed i
diritti fondamentali dei migranti irregolari. Un recente sondaggio condotto dal
Corriere della sera tra i lettori di questo giornale evidenzia come oltre il
70% degli intervistati esclude che i nuovi accordi possano ridurre
l’immigrazione clandestina. Speriamo almeno che i sistemi di sorveglianza delle
installazioni nucleari libiche funzionino e che gli addetti alla manutenzione
siano più diligenti dei loro colleghi che anni fa hanno messo fuori uso in pochi
giorni le prime motovedette vendute loro dall’Italia. E speriamo soprattutto
che una volta riconosciuto il colonnello Gheddafi come leader regionale, non
sia proprio l’Italia, dipendente dalla Libia per le forniture energetiche, a
pagare le conseguenze più amare dei ricatti e dei voltafaccia di questo scomodo
alleato.

Fulvio Vassallo Paleologo

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