L’ Avv. Laura Tartarini commenta la sentenza di Genova

La giustizia di Diaz di Mauro Biani[fonte: http://www.dirittinrete.org]
I
eri il tribunale di Genova ha condannato 24 attivisti per
i fatti di piazza del luglio 2001
a quasi 100 anni di carcere.
Di certo non si può dire che il tentativo della procura di
uniformare ad uno standard di gravità unico e altissimo qualunque episodio
accaduto e le persone che lo avessero commesso (o anche vi avessero solo
assistito) abbia avuto successo. Sui 25 tratti a giudizio abbiamo “solo” dieci condanne per
devastazione e saccheggio, mentre per gli altri i reati attribuiti vanno dal
danneggiamento alla resistenza aggravata. Per alcuni appartenenti alle tute
bianche (3 in
tutto), la resistenza è addirittura stata considerata insussistente. Mentre con
ogni evidenza si è giudicata inattendibile la ricostruzione della prima carica
sul corteo da parte dei cc, 4 dei quali verranno indagati per falsa
testimonianza. Ma questo può bastare di fronte a tutto ciò che abbiamo
visto accadere nelle giornate di Genova? Può veramente essere sufficiente a
liquidare le responsabilità del complesso delle forze dell’ordine e del governo
su quelle giornate? Certamente no. E il fatto che l’imputazione di devastazione
e saccheggio non sia caduta per tutti, o che la resistenza a P.U. sia stata
considerata sussistente nella quasi totalità dei casi, dovrebbe ricordarcelo ed
impedirci di essere soddisfatti perchè la prima carica contro il corteo del
Carlini è stata considerata illegittima.

Proprio questo limite così preciso ci consegna la
diversità della lettura integrale dei fatti da parte del tribunale che, con
ogni evidenza, riconosce invece come del tutto legittimo il complesso dei
comportamenti delle FFOO di quei giorni, attribuendone gli eccessi o gli errori
ai manifestanti accusati di aver messo in crisi l’ordine pubblico a Genova.

E pertanto, passato il breve sollievo dovuto all’essere
riusciti a ridurre di molto le condanne per devastazione e le pene conseguenti
ed aver quindi constatato che non ha stravinto la lettura che poneva qualsiasi
comportamento di piazza in quella dimensione in modo quasi automatico, occorre
dire che questa decisione è comunque inaccettabile.

Perché proprio quel disegno, che voleva le responsabilità
individuali disciolte in un teorema in cui tutti i presenti fossero colpevoli,
quantomeno per concorso morale, è passata su una parte degli imputati, ovvero
coloro che sono stati considerati appartenere all’area dei “cattivi”, dei
violenti, dei devastatori. La lettura politica di questa decisione del
tribunale non può che essere questa: c’è una modalità della manifestazione del
proprio pensiero e delle conseguenti pratiche di piazza che è considerata
accettabile (e che eventualmente porterà a rispondere di comportamenti di
resistenza con le regole consolidate che questo comporta) ed un’altra modalità
che invece non può essere agita. Il danneggiamento della proprietà, dei beni
mobili e immobili è pertanto qualcosa che deve essere sanzionato pesantemente
(qualora avvenga in situazioni collettive e di piazza) e sul quale si
sperimentano nuove fattispecie penali e nuove forme di attribuzione della
responsabilità in concorso di persone.

Questo è il paradigma, tutto politico, impostato dalla
procura, non solo a Genova, e che non è stato smontato ma semmai confermato. E
il fatto che la conferma sia avvenuta solo su un gruppo di imputati, e non su
tutti, non lo rende di certo meno grave. Ciò che avviene è, al contrario,
l’identificazione precisa di modalità di conflitto, e di attori del medesimo,
rispetto ai quali le normali regole della congruità della pena inflitta, della
responsabilità personale e così via, non valgono. Come accade spesso in questi
ultimi anni, il senso politico della sentenza di Genova è la riaffermazione di
quelle “classi pericolose” sulla quale si fondano tutti gli interventi recenti
in campo legislativo o giudiziario, dal decreto stadi al decreto sui cittadini
rumeni, alla legge sull’immigrazione. Tutte norme che giudicano, prima dei
comportamenti reali e materiali, l’appartenenza ad un gruppo ben definito di
soggetti, cui sono negate le garanzie fondamentali, e che al contrario possono
essere indicate alla collettività come nemico pubblico. Unendo peraltro l’utile
al dilettevole: rassicurare la cittadinanza trovando un colpevole, bersaglio
facile per l’insicurezza e la rabbia diffuse, e tentare di eliminare alla
radice ogni forma di conflitto o modo di vivere diverso da ciò che è considerato
“accettabile”.

Questo è il campanello di allarme rispetto alla sentenza
di Genova. Va suonato forte e chiaro, perché il rischio non è solo la
riscrittura della storia delle giornate di Genova, ma la libertà collettiva di
espressione del dissenso, nelle sue forme articolate e diverse, che è l’unica
garanzia di conservazione delle libertà civili e democratiche in questo
paese. 

Laura Tartarini (del Genoa Legal Forum)

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