Ventiquattro no
global condannati a 108 anni di carcere per i fatti di Genova. Pene durissime,
anche se dimezzate, per i «cattivi» del G8, puniti anche per «concorso morale».
Saranno gli unici a pagare per il massacro di quei giorni. La destra esulta: giustizia
è fatta. La sinistra protesta
Arriva la prima
sentenza per i fatti del 2001. Condannati in 24, dimezzate le richieste dei pm.
Pene dai sei mesi
agli undici anni, riconosciuto il «concorso morale» per i presunti black bloc,
ma anche l’irregolarità delle cariche di via Tolemaide
Simone Pieranni – Il manifesto 15.12.07
Dopo una camera di consiglio durata sette ore, è arrivato
il verdetto del tribunale genovese: 110 anni di condanna per 24 imputati e una
sola assoluzione per i fatti di Genova del luglio 2001. Tanti anni di carcere,
nonostante i pm Anna Canepa e Andrea Canciani ne avessero chiesto più del
doppio, un mese fa, nella loro requisitoria finale. L’accusa generale della
procura, la devastazione e saccheggio, ha retto solo a metà, nell’ambito di una
sentenza che, pur smentendo gran parte della accuse dei pm, effettua una
distinzione piuttosto netta e rischiosa tra gli imputati considerati
devastatori e saccheggiatori, puniti in modo esemplare, e quanti, secondo il
tribunale, hanno solo effettuato danneggiamenti, a seguito di una carica
arbitraria dei carabinieri in via Tolemaide. La corte, composta dal presidente
Devoto e i giudici a latere Gatti e Realini, ha condannato dieci imputati per
il reato di devastazione e saccheggio, con pene dai 6 agli 11 anni, mentre per
14 imputati le condanne – da 5 mesi a 2 anni e 6 mesi, con una condanna a 5
anni per lesioni a Filippo Cavataio, autista del Defender di Piazza Alimonda,
in occasione dell’omicidio di Carlo Giuliani – sono state comminate per il
reato di danneggiamento aggravato.
Per questi ultimi manifestanti è dunque caduto non solo il
reato di devastazione e saccheggio, il famigerato articolo 419, ma anche quello
di resistenza, al contrario di quanto avevano chiesto in sede di requisitoria i
due pm Anna Canepa e Andrea Canciani. Per il tribunale la reazione dei
manifestanti avvenne a seguito di un atto arbitrario, la carica dei carabinieri
in via Tolemaide, e non costituisce pertanto reato. Segnale dell’attenzione
della Corte nei confronti delle cariche al corteo sceso dal Carlini e
sviluppatosi tra corso Europa e via Tolemaide è anche la richiesta di
trasmissione degli atti per falsa testimonianza di alcuni funzionari delle
forze dell’ordine: il capitano Antonio Bruno, a capo del contingente che caricò
i manifestanti, il tenente Paolo Faedda e per i due primi dirigenti della
polizia Angelo Gaggiano e Mario Mondelli, il funzionario a seguito del
battaglione dei carabinieri protagonista della carica, dei pestaggi nelle vie
limitrofe e dell’uso di spranghe di ferro anziché i manganelli in dotazione.
La sentenza è arrivata dopo quattro anni di processo,
centinaia di testimonianze, ore di video e migliaia di foto, in un tribunale
presidiato militarmente fin dal mattino da parte delle forze dell’ordine. Il
dispositivo dei giudici genovesi costituisce una delle possibili soluzioni
paventate in questa settimana di attesa. Mano pesante nei confronti dei
manifestanti ritenuti appartenenti al cosiddetto blocco nero, rei di avere
messo in crisi l’ordine pubblico di quei giorni, attraverso devastazione e
saccheggi: per loro la Corte
ha accolto totalmente la tesi della procura, compresa quella, tanto bizzarra
quanto pericolosa, del concorso morale. In questo modo alcuni imputati che
semplicemente si sono trovati nei pressi dei disordini hanno pagato solo per la
propria presenza, il proprio concorso, ai fatti. Poco conta quanto si è fatto e
quanto è stato provato in aula. Per quattro dei condannati per devastazione e
saccheggio la Corte
ha stabilito anche la sospensione perpetua dai pubblici uffici e tre anni di
libertà vigilata, una volta scontata la pena.
Il tribunale, invece, ha rivoltato completamente la
lettura della procura per quegli imputati le cui posizioni facevano riferimento
alle cariche di via Tolemaide. I pm Canepa e Canciani avevano chiesto pene
pesanti anche per loro, in totale 225 anni di carcere, sottolineando i loro
intenti violenti. Il tribunale di Genova invece ha riconosciuto l’irregolarità
della carica, derubricando non solo il reato di devastazione e saccheggio, ma
anche quello di resistenza. Per tutti i condannati, infine, a parte il
pagamento delle spese processuali e di alcuni danni nei confronti di istituti
bancari, l’ammontare dei danni patrimoniali è stato sospeso e affidato a un
giudizio civile. Nella medesima sede si stabiliranno anche i risarcimenti non
patrimoniali (due milioni di euro), richiesti dallo stato italiano per i danni
all’immagine.
Esulta il
centrodestra. Per la sinistra «brutta pagina. Ora la Commissione»
Una decisione che
divide: soddisfatti avvocati e alcuni imputati.
Rabbia di Supporto Legale
Alessandra Fava – Il manifesto 15.12.07 15.12.07
Facce serene come quella di un imputato che da otto anni e
mezzo chiesti dalla Procura passa a sei mesi in primo grado. Rabbia per le
dieci condanne di devastazione e saccheggio che individuano un blocco di
cattivi. Abbracci anche tristi, perché comunque è finita. Da Roma cominciano a
piovere i commenti di «condanne incomprensibili», parla il capogruppo al senato
del Prc Giovanni Russo Spena mentre la senatrice Haidi Giuliani si definisce
«sconvolta» e chiede che al più presto venga varata la Commissione
d’inchiesta in parlamento. Al contrario, occasione ghiottissima per la destra:
«La sentenza rende giustizia a una città assediata e a una polizia
criminalizzata – commenta il forzitaliota Fabrizio Cicchitto – e dimostra
l’inutilità di costituire una Commissione d’inchiesta».
Intanto, a Genova, si mescolano sensazioni e punti di
vista alla lettura della sentenza del Tribunale. Alla fine sembrano soddisfatti
sia la Procura
che gli avvocati difensori, anche perché se si parte dalla matematica, vale a
dire le pene richieste dalla Procura di pene dai 6 ai 12 anni per un totale di
224 anni, contando nella sentenza 110 anni di carcere, è evidente che per i
legali è già una vittoria. Soddisfazione che arriva da un primo dato, lo
smontaggio sistematico da parte del Tribunale presieduto dal giudice Marco
Devoto della tesi dei pm Anna Canepa e Andrea Canciani che accomunava violenti
e pacifici in un unico intento e cioè quello della devastazione: «E’ stata
disattesa la tesi della procura di una devastazione generalizzata – è il
commento dell’avvocato Emanuele Tambuscio – sono state assolte le tute bianche
dal reato di devastazione ed è stata riconosciuta l’arbitrarietà
dell’intervento dei carabinieri sul corteo perché è stata applicata la
discriminante della reazione all’atto arbitrario per tutti gli imputati che
avevano l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Insomma la devastazione è
stata data solo agli imputati del cosidetto blocco nero».
Tra gli imputati più mediatizzati, quelli intorno al
defender accanto a Carlo Giuliani, per i quali comunque sono state mantenute
pene alte dai 10 ai 5 anni. L’avvocato Alessandro Famularo che difende uno di
loro dice che «la contestazione del reato di devastazione e saccheggio è stato
derubricata a danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale, come d’altronde
avevamo chiesto. Il mio difeso si è sempre posto in un’ottica di
contrapposizione alle forze dell’ordine in alcuni aspetti anche giustificato come
dimostra la trasmissione degli atti alla procura per la falsa testimonianza di
alcuni teste, ma mai nell’ottica di sfasciare tutto e devastazione».
Certo resta per nove imputati il riconoscimento del reato
di devastazione e saccheggio, «una norma indeterminata – come sottolinea ancora
una volta l’avvocato Fabio Taddei – al limite della costituzionalità che
comporta sanzioni che sono forse anche contrarie al principio rieducativo della
pena e vedono un minimo di otto anni sinceramente eccessivo per i reati
contestati». Quindi è scontato il ricorso in appello per tutti. Da parte del
gruppo Supporto Legale che da subito ha seguito gli avvocati della difesa nello
studio del materiale audiovisivo e nelle udienze netta condanna della sentenza:
«il tribunale ha deciso di sentenziare che ci sono forme compatibili di
protesta e forme che vanno punite alla stregua di un reato di guerra». A
sostegno di chi ha ricevuto le condanne maggiori, un gruppo di anarchici si è
data appuntamento in piazza Raibetta, nel centro storico.
Genova. In ogni caso
nessun rimorso. Il Comunicato del Supporto
legale
[14 Dicembre 2007]
«La sentenza del processo contro 25 manifestanti per gli
scontri avvenuti durante le proteste contro il g8 a Genova, ha deciso qual è il
prezzo che si deve pagare per esprimere le proprie idee e per opporsi allo
stato di cose presenti: 110 anni di carcere. Il tribunale del presidente Devoto
e dei giudici a latere Gatti e Realini, non ha avuto il coraggio di opporsi
alla feroce ricostruzione della storia collettiva ad uso del potere che i pm
Andrea Canciani e Anna Canepa gli ha richiesto di avvallare.
Anzi, ha fatto di peggio. Ha scelto di sentenziare che c’è
un modo buono per esprimere il proprio dissenso e un modo cattivo, che ci sono
forme compatibili di protesta e forme che vanno punite alla stregua di un reato
di guerra.
Per completare l’opera ha anche fornito una consolazione a
fine processo per i difensori e gli «onesti cittadini», chiedendo la
trasmissione degli atti per le false testimonianze di due carabinieri e due
poliziotti, un contentino con cui non si allevia il peso della sentenza e il
cui senso di carità a noi non interessa.
Il tribunale di Genova ha scelto di assecondare tutte
quelle forze politiche, tutti quei benpensanti, tutti quegli avvocati,
che–coscientemente–speravano che pochi, ancora meno dei 25 imputati, fossero
condannati per poter tirare un sospiro di sollievo, per poter sapere dove
puntare il proprio dito grondante morale e coscienza sporca. L’uso del reato di
devastazione e saccheggio per condannare fatti avvenuti durante una
manifestazione politica apre la strada a un’operazione pericolosa, che vorrebbe
vedere le persone supine alle scelte di chi governa, inermi di fronte ai
soprusi quotidiani di un sistema in piena emergenza democratica, prima ancora
che economica. Nessuno di coloro che era a Genova nel 2001 e che ha costruito
carriere sulle parole d’ordine di Genova, salvo poi tradirle con ogni voto e
mezzo necessario, ha voluto schierarsi contro questa operazione assurda e
strumentale: nessuno, o quasi, in tutto l’arco del centro sinistra al governo
ha saputo dire che a Genova, tra coloro i quali oggi sono stati condannati ad
anni di galera, avrebbe dovuto esserci tutti quanti hanno partecipato a quelle
giornate.
La stessa cosa è stata portata avanti anche da molti dei
movimenti, e molte delle persone che hanno cercato di sabotare i contenuti
della manifestazione che solo tre settimane fa, il 17 novembre, ha riempito le
strade di Genova: hanno voluto annebbiare le persone su chi fossero coloro che
si battevano per un modello di vita e di società diverso, e chi difendeva il
modello che viviamo sulla nostra pelle tutti i giorni; hanno voluto confondere
le acque, forse perché anche la loro dignità è confusa. E allora decine di
comunicati sulle possibili Commissioni Parlamentari, sulla Verità e sulla
Giustizia, e troppe poche parole su 25 persone che stavano avviandosi a
diventare capri espiatori di un potere che ha avuto paura.
Genova però non si cancella con il revisionismo a mezzo
procura, né con le pelose scelte di comodo e gli scheletri nascosti negli
armadi. Le 80 mila persone che lo scorso 17 novembre hanno sfilato per le vie
di Genova, non chiedevano una Commissione Parlamentare, bensì che 25 persone
non diventassero il paravento dietro cui seppellire un passaggio storico
scomodo, che ha messo in discussione l’attuale sistema di vita e di società.
Siamo convinti che quelle 80 mila persone ci ascoltano e non permetteranno a
un’aula di tribunale di espropriare la propria memoria e devastare le vite di
24 persone.
A maggior ragione oggi, con una sentenza che cerca di
schiacciarci e farci vergognare di quello che siamo stati e quello che abbiamo
vissuto, di dipingere quei momenti di rivolta a tinte fosche anziché con la
luce e la dignità che meriterebbero i momenti più genuini che esprimono la
volontà popolare, noi diciamo che non ripudieremo nulla, che non chiederemo
scusa di nulla, perché non c’è nulla di cui ci pentiamo o di cui sentiamo di
dover parlare in termini diversi che del momento più alto della nostra vita
politica.
Noi pensiamo che tutti coloro che erano a Genova
dovrebbero gridare: in ogni caso nessun rimorso. Nessun rimorso per le strade
occupate dalla rivolta, nessun rimorso per il terrore dei grandi asserragliati
nella zona rossa, nessun rimorso per le barricate, per le vetrine spaccate, per
le protezioni di gommapiuma, per gli scudi di plexiglas, per i vestiti neri,
per le mani bianche, per le danze pink, nessun rimorso per la determinazione
con cui abbiamo messo in discussione il potere per alcuni giorni.
Lo abbiamo detto il giorno dopo Genova, e in tutti questi
anni: la memoria è un ingranaggio collettivo che non può essere sabotato. E per
tutto quello che Genova è stata e ha significato noi non proveremo nessun
rimorso. Oggi, come ieri e domani, ripeteremo ancora che la Storia siamo Noi. Oggi,
come ieri e domani, diremo di nuovo: in ogni caso nessun rimorso».