Percorsi di integrazione a rischio di retorica

Da poco inaugurata,
la Città della storia dell’immigrazione di Parigi si concentra sulle
testimonianze della vita e dell’opera dei lavoratori immigrati oltralpe. Ma
puntando l’attenzione prevalentemente sul passato, tende a trascurare le
tensioni dell’oggi  
di René Capovin

Città della storia dell' immigrazione a ParigiIn Francia i dibattiti quotidiani su identità, banlieue e
integrazione si interrompono solo per lasciare spazio ad altri dibattiti sul
riemergere del passato-presente coloniale: nel giro di pochi giorni si è
passati dagli scontri in un sobborgo di Parigi alla visita di Sarkozy in
Algeria, nella freddezza dell’ex colonia e nel divampare di polemiche in
patria. Per questo, ragionare sul senso e sul futuro della Cité nationale de
l’histoire de l’immigration (www.histoire-immigration.fr), inaugurata in
ottobre nella capitale francese, può rivelarsi utile per toccare un nodo
cruciale della Francia di oggi e della modalità con cui il paese sceglie di
confrontarsi con il resto del mondo. Il fatto, poi, che questo «resto del
mondo» fosse, in tempi ancora relativamente recenti, pieno di italiani (fino
agli anni ’60, la maggioranza relativa degli immigrati d’oltralpe) fa della
Francia, e in particolare della Cité, uno specchio interessante in cui
riflettersi, e su cui riflettere.

Rassicuranti pannelli
Costruito nel 1931 nientemeno che per l’Esposizione
Coloniale, l’edificio che ospita la Cité è stato dapprima sede del Museo della
Francia d’oltremare e in seguito del Museo delle arti africane e d’Oceania, le
cui collezioni sono adesso state trasferite al Musée de Quai Branly. Oggi, la
prima cosa che si presenta al visitatore è il grande bassorilievo esotico
(frutta, oggetti, selvaggi, divinità e via dicendo), che ricopre totalmente la
facciata e che nelle intenzioni del suo autore, Alfred Janniot, doveva
esprimere la ricchezza delle colonie francesi. Lo precedono però numerosi
pannelli, disposti nel giardino antistante, che delineano gli scopi della Cité
e che sembrano, al contempo, voler rassicurare il pubblico («sì, la Città della
Storia dell’Immigrazione in Francia è davvero qui»).

Sono già questi pannelli, così come la brochure di
presentazione, a sottolineare che lo scopo della Cité è «fornire un contributo
al riconoscimento dei percorsi di integrazione delle popolazioni immigrate
nella società francese e all’evoluzione degli sguardi e delle mentalità
sull’immigrazione in Francia». In altri termini, si tratta di inserire, a pieno
titolo e in pianta stabile, la storia dell’immigrazione nella storia della
Francia: la Cité prende parte a questo «lavoro simbolico» estendendo la
definizione del «patrimonio comune» e della «cultura legittima» della
Repubblica fino a comprendere le tracce materiali e le memorie degli uomini e
delle donne immigrate. Il progetto prevede una mediateca (dove fra l’altro
verrà ospitato un archivio orale di storie di vita), un auditorium e una
«galleria dei doni» (oggetti e ricordi lasciati da singoli visitatori), non ancora
attivi. Attualmente, sono aperti al pubblico la «piazza» della Città (un ampio
spazio, al piano terra, in cui i visitatori possono sostare e accedere a un
chiosco informativo, gestito da associazioni) e un museo articolato in una
esposizione permanente (terzo piano) e in spazi per esposizioni temporanee
(secondo e terzo piano), che è già stato visitato, nei primi due mesi di vita
dell’istituzione, da circa sessantamila persone.

Ingrandimenti e
sovrapposizioni

L’esposizione permanente, al momento la parte più
rappresentativa della Cité, è uno spazio di oltre mille metri quadrati scandito
in una serie di aree tematiche (il viaggio, l’accoglienza, le condizioni
abitative, il lavoro…). Oggetti, immagini e racconti di immigrati sono
accompagnati da filmati, installazioni, commenti sonori (canzoni, discorsi o
composizioni di artisti) e da tavole che sintetizzano l’evoluzione dei vari
fenomeni trattati (per esempio, la successione dell’inserimento lavorativo
degli immigrati). La prima parte dell’esposizione si concentra sulle narrazioni
di persone immigrate che hanno consegnato al museo, in via temporanea, oggetti
per loro significativi – fotografie, vestiti, perfino una fisarmonica e una
maglia da portiere di calcio – esposti dentro teche colorate. A mano a mano che
si procede nella visita, appare tuttavia chiaro che le orecchie sono
sollecitate quasi quanto gli occhi: il passaggio da un tema all’altro è anche
un passaggio tra diversi spazi sonori (non mancano le sovrapposizioni), e le
cuffie distribuite all’ingresso sono una dotazione assolutamente indispensabile
per seguire il percorso espositivo. È interessante però notare come l’unica
lingua udibile, a parte alcuni canti da stadio inglesi nella parte dedicata
allo sport e pochi altri inserti del genere, sia il francese, e non sia
disponibile nessuna traduzione.

Particolarmente coinvolgenti, per la ricca documentazione
fotografica e per la qualità delle installazioni artistiche, sono le parti
dedicate all’abitazione e al lavoro. Per quanto riguarda la casa spiccano fra
l’altro un letto a castello a sei piani pieno di borse da viaggio e diverse
fotografie di automobili stracariche di motorini, biciclette, mobili di cucina,
sorta di «macchine-casa» in equilibrio tra rappresentazione artistica e realtà.
Al lavoro è invece dedicato un accurato gioco di ingrandimenti e
sovrapposizioni di una serie piuttosto ampia di immagini d’epoca, che
documentano un lavoro quasi esclusivamente maschile e sono caratterizzate da
una retorica piuttosto rétro. Se non di epica, è certo possibile parlare di
realismo solenne, che è certo «dentro» le fotografie, ma anche, forse
soprattutto, nel modo in cui vengono presentate.

Il tema del lavoro è, in effetti, uno dei fulcri del
progetto della Cité: l’idea di mostrare il contributo degli immigrati alla
costruzione della Francia, in questo senso, va intesa come il tentativo di
mettere in primo piano l’opera degli immigrati che hanno scavato, tornito,
saldato, edificato.

Per quanto possa apparire riduttivo, non è azzardato
analizzare questa «città» in larga parte ancora da terminare partendo dal suo
museo: in fondo, la Cité nasce proprio da un’associazione per un museo
dell’immigrazione, costituita nel 1992 da un gruppo di storici e militanti,
idea raccolta e rideclinata a livello politico dal socialista Jospin, e infine
rilanciata e realizzata dal conservatore Chirac. Al di là delle sue soluzioni
estetiche, al di là della storia che non racconta (la storia della Francia
coloniale – quanto scindibile da quella degli immigrati dalle colonie in Francia?
– di cui il fantasmagorico Musée du quai Branly rischia di essere il surrogato
stabile), il museo della Cité pare dichiarare che il punto focale si situa nel
rapporto tra pluralità delle storie migratorie e unità di una storia
dell’integrazione in Francia.

Una storia unitaria
In particolare, il rischio (o forse la tendenza, se si
considerano con attenzione alcuni passaggi dei materiali di presentazione) pare
consistere nella costruzione di una «città» che si limiti a «citare» la
pluralità e le tensioni delle storie migratorie (immigrati e rifugiati
italiani, centinaia di migliaia di esuli della Spagna franchista, ex
colonizzati dall’Africa e dall’Oceania, fino ai clandestini e «immigrati
scelti» di oggi), enfatizzando il risultato finale di una Repubblica dal
passato mosso, ma dal presente quasi pacificato.

A questo riguardo, va ricordato che l’obiettivo di
contribuire «all’evoluzione degli sguardi e delle mentalità sull’immigrazione
in Francia», se focalizzato prevalentemente sul passato, ha un inconveniente
considerevole: tale riconoscimento può benissimo coesistere con uno sguardo e
una mentalità «bloccata» sull’immigrazione di oggi. Sia chiaro, è del tutto
comprensibile che questa «città» nazionale (e questo museo statale) siano
orientati a inscrivere le memorie individuali e di gruppo in una storia
unitaria, allargata e per questo legittima: questa, del resto, pare essere
stata l’intenzione originaria, tutta francese, delle associazioni e degli
storici che hanno per primi promosso il museo. Nondimeno, tenere viva una
tensione verso il presente della Francia, e verso il presente degli immigrati
in Francia, pare condizione necessaria per un futuro vitale, e non puramente
«museificato», della Cité. Diversamente, il rischio è quello di trasformare la storia,
intesa come sintesi di memorie e lavoro scientifico, in epopea.

Il Manifesto -14.12.07 

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