I dittatori non sono tutti uguali: alcuni servono all’Europa. E viceversa.

“Un mercato africano completamente aperto ai
principi della concorrenza e della reciprocità dei prodotti europei
rischierebbe senza alcun dubbio di provocare dissesti e distruzione nella
maggior parte delle fragili economie dei paesi del continente, apportando
vantaggi quasi esclusivamente agli Stati della sponda nord del Mediterraneo
.
“E
le migrazioni, sempre di più, sembrano la moneta di
scambio più duttile e negoziabile nella costruzione e ricostruzione degli
equilibri geopolitici delle diverse aree del pianeta e specificamente di quella
euro mediterranea”

“Le migrazioni come il terrorismo. Le migrazioni
come una vendetta. Senza fronzoli e ipocrisie, Gheddafi lo ha detto. Le immigrazioni
come prezzo da negoziare. Come spauracchio da agitare, come strumento per
intimorire o per contrattare. Il prezzo sono le persone. Lo strumento è la loro
vita, il loro futuro, le loro soggettività, i loro sogni.”

europaRiflessioni
a partire dal Vertice di Lisbona

I dittatori non sono
tutti uguali: alcuni servono all’Europa. E viceversa.
a cura di
Alessandra Sciurba, Melting Pot

Si è concluso il 9 dicembre il vertice tenutosi a Lisbona
tra i 27 Stati dell’Ue e i 52 dell’Unione africana più il Marocco che non ne fa
parte. Si è trattato del II vertice Ue/Africa (dopo quello del 2000) e i temi
trattati in agenda erano quelli dei cambiamenti climatici, delle materie prime
e delle risorse energetiche, della riforma delle istituzioni internazionali e,
ovviamente, della sicurezza e dell’emigrazione, ormai indissolubilmente
connesse in tutte le sedi di dibattito ufficiali e in tutti i documenti
elaborati in queste occasioni.

Le dichiarazioni d’intenti che hanno animato il
vertice sono state tutte ambiziosamente rivolte alla creazione di un
“partenariato strategico tra eguali”, capace di agire nell’ottica del
definitivo superamento della triste pagina postcoloniale che ha segnato fino ad
oggi le relazioni tra i due continenti. Non più, quindi, un rapporto
sbilanciato tra chi ‘concede’ (e detta le regole) e chi è ‘assistito’ (e in
qualche modo soggetto ad esse), ma un dialogo tra realtà che si misurano sul
medesimo livello. Anche le dichiarazioni che hanno seguito le conclusioni del
vertice, specie quelle provenienti dai rappresentanti dei paesi europei sono
intrise di toni positivi ed entusiastici che sottolineano le innovazioni che
hanno segnato questo appuntamento. Nella realtà, però, ben altre cose
potrebbero essere dette.

Se nella forma, infatti, l’Ue ha riconosciuto l’importante
ruolo dell’Unione africana in quanto interlocutore paritario con cui negoziare
accordi che possano portare vantaggio a entrambe le parti, va ancora una volta
sottolineato come, nel momento in cui si tratta di tirare le somme rispetto
soprattutto agli interessi economi, l’Unione
continui a privilegiare canali di relazione ‘bilaterali’ all’interno dei quali
può ancora esercitare una funzione di smisurato predominio rispetto al singolo
paese africano con il quale via via si rapporta.

Le stesse modalità scelte dall’Europa nel contesto del
Partenariato euromediterraneo hanno infatti caratterizzando anche le
negoziazioni con i paesi africani presenti al vertice di Lisbona rispetto agli
Accordi di partenariato Economico (Economic Partnership Agreements, EPA), che
prevederebbero l’assoluta liberalizzazione degli scambi commerciali tra i due
continenti.

Un mercato africano completamente aperto ai principi della
concorrenza e della reciprocità dei prodotti europei rischierebbe senza alcun
dubbio di provocare dissesti e distruzione nella maggior parte delle fragili
economie dei paesi del continente, apportando vantaggi quasi esclusivamente
agli Stati della sponda nord del Mediterraneo
.

Il presupposto sul quale si basano le proposte europee è
lo stesso, ugualmente ipocrita, sul quale sono stati costruiti i progetti
relativi alla Zona di Libero Scambio prevista dal Partenariato euro
mediterraneo, ma anche, per spostarci al di là dell’Atlantico, della regione
del Nafta tra nord e sud America: aprire i mercati alle liberalizzazioni,
lasciare che il capitalismo faccia il suo corso, significherebbe, secondo le
tesi dei più forti, alla lunga colmare i divari esistenti tra i paesi
coinvolti. Le esperienze appena citate dimostrano invece, e ampiamente, come
simili operazioni economiche servano soprattutto a rafforzare le posizioni dei
paesi già dominanti e ad indebolire ulteriormente quelle dei paesi già deboli.

Stavolta però,
effettivamente, le perplessità sollevate dall’intera Unione Africana sulla
materia ha reso più accidentato il percorso dell’Europa verso gli obiettivi
prefissati. Di fronte alle rimostranze dei leader africani – spinti anche dalla
società civile, dai movimenti, e dagli economisti dei loro paesi – l’Unione
europea ha rispolverato così il meccanismo delle sanzioni minacciate
(penalizzazione di chi non firma attraverso l’aumento delle tasse doganali
all’entrata sul mercato dell’Ue) e soprattutto delle pressioni esercitate sui
singoli paesi africani che diventano evidentemente un interlocutore più facilmente
e direttamente influenzabile rispetto all’intera Unione africana.

L’Africa è infatti oggi più che mai una zona di
straordinaria rilevanza economica e geopolitica sulla quale inizia ad
allungarsi con sempre maggiore intensità l’ombra lunga della Cina (presente
anch’essa al vertice di Lisbona), ma anche dell’India e del Brasile, e l’Europa
non può permettersi di perdere la sua posizione di partner privilegiato. Simili
ragionamenti economici, a quanto pare, possono portare a fare miracoli di
diplomazia politica, modificare equilibri incancreniti da decenni, far
dimenticare principi altrove strumentalizzati e definiti pertanto come
irrinunciabili.

Un emblema di quanto appena detto è la completa riabilitazione che la figura del
Colonnello Gheddafi ha avuto negli ultimi anni
. Potremmo
affermare che il vertice di Lisbona ha sancito formalmente a livello europeo la
figura del dittatore come il primo degli interlocutori africani. A cui tutto è
permesso. Chissà come avrebbero reagito i rappresentanti dei governi europei se
qualcun altro avesse osato dire che “è normale che i deboli facciano ricorso al
terrorismo”. Chissà come sarebbe andata, ad esempio, se a pronunciare la stessa
frase fosse stato Mugabe, l’odiate presidente dello Zimbabwe, la cui presenza
all’interno del vertice (dopo avere bloccato l’incontro Ue/Ua previsto per il
2003) ha portato la Gran
Bretagna a disertarlo e ha suscitato gli attacchi di tutti i
leader europei.

Le accuse mosse
a Mugabe sarebbero infatti quelle di violare costantemente i diritti umani dei
cittadini dello Zimbabwe e di “nuocere all’immagine della nuova Africa”. Gheddafi,
invece, a quanto pare, sarebbe diventato un paladino della civiltà e un ottimo
partner economico e politico. Lo sarebbe fino al punto, infatti, di affidargli
la vita o la morte di migliaia di esseri umani lasciandogli un margine sempre
più ampio nel gestire le migrazioni verso l’Europa, de localizzando sul suo
territorio e sotto la sua autorità la detenzione amministrativa dei migranti in
centri pagati anche dal governo italiano, lasciandogli decidere quando e come
deportare la gente al confine col deserto e lì lasciarla morire.

Carta straccia, quindi, i rapporti di Human
Rights Watch
, di Amnesty
International
e di Fortess
Europe
,
ininfluente il fatto che la
Libia non abbia mai neppure firmato la Convenzione di Ginevra
sullo status dei rifugiati. Queste sono dunque le premesse sulle quali sembra
essersi avviato un dialogo euro africano verso un “Patto per l’immigrazione
nell’Ue”. Tale patto prevederebbe, da parte europea, l’apertura di più canali
di ingresso legale, una maggior attenzione per i migranti presenti in Europa, e
nuovi investimenti nella formazione professionale dei candidati all’emigrazione
quando ancora si trovano in patria. Agli Stati africani si chiede in cambio di
“implementare le loro misure di contenimento e di lotta all’immigrazione
illegale”.

Alla luce del ruolo predominante assegnato alla Libia le
conseguenze di una simile richiesta dovrebbero spaventare tutti gli accaniti
difensori dei diritti umani che tanto si sono sbracciati nella (comunque
legittima ma spesso strumentalizzata) contestazione di Mugabe. Del resto, il relatore europeo sull’immigrazione
era lo stesso Zapatero che non si è fatto problemi a legittimare, solo due anni
fa, gli omicidi di Ceuta
e Melilla
.

Se sugli accordi economici gli africani stanno quanto meno
tentando di opporsi o di rinegoziare trattative a loro più convenienti, sul
tema dell’immigrazione sembrano invece avere abbassato il capo dichiarandosi
sostanzialmente d’accordo con la linea europea. Su qualcosa bisognava cedere. E
le migrazioni, sempre di più,
sembrano la moneta di scambio più duttile e negoziabile nella costruzione e ricostruzione
degli equilibri geopolitici delle diverse aree del pianeta e specificamente di
quella euro mediterranea
.

Un pretesto, spesso, per introdurre accordi economici,
definire posizioni di forza e di sottomissione, trattare su questioni che in
realtà c’entrano poco o nulla con l’argomento. Gheddafi, questo, sembra averlo
capito benissimo. Dopo aver richiesto all’Europa la costituzione di un fondo
speciale per la gestione del fenomeno migratorio dall’Africa sostenendo (e come
dargli del tutto torto?) i legami forti di quest’ultimo con i disastri
apportati dal colonialismo (voi avete creato il problema e voi pagate per
risolverlo), il leader libico ha infatti affermato, candidamente, che “i
colonizzatori devono pagare sai paesi africani le ricchezze che sono state
portate via” o altrimenti dovranno comunque pagare “qualche prezzo, sia il
terrorismo, le migrazioni, la vendetta”.

Le
migrazioni come il terrorismo. Le migrazioni come una vendetta. Senza fronzoli
e ipocrisie, Gheddafi lo ha detto. Le immigrazioni come prezzo da negoziare.
Come spauracchio da agitare, come strumento per intimorire o per contrattare.
Il prezzo sono le persone. Lo strumento è la loro vita, il loro futuro, le loro
soggettività, i loro sogni.

Per premio, il dittatore di nordafricano ha ricevuto un
invito ufficiale all’Eliseo con tanto di tenda beduina preparata per
l’occasione e la probabile mansione di ospite per il prossimo incontro Ue/Ua da
tenersi con tutta probabilità a Tripoli nel 2010. Tra le proteste di parte
importante della società francese, Sarkozy ha ceduto come gli altri alla
"diplomazia del business". troppo importanti le prospettive
economiche della collaborazione con la Libia.

L’unica speranza, oltre al potere sempre intrinseco nella
resistenza e nella stessa esistenza delle persone e delle moltitudini che
nessun capo di governo a nessun vertice può mai rappresentare, rimangono allora
le contraddizioni implicite in questo sistema. L’imprevedibilità di un
Gheddafi, l’inarrestabilità dei movimenti migratori e l’impossibilità di
ridurli a mero calcolo, ma anche i nuovi attori del capitalismo globale e la
sua indifferenza alle ideologie e alle retoriche.

Intanto, Save The children ha lanciato il suo appello ai
potenti dei due continenti riuniti a Lisbona, ricordando loro che “oltre 13.000
bambini africani sotto i cinque anni moriranno, per lo più per malattie
facilmente curabili".

(a cura di
Alessandra Sciurba, Melting Pot).

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