Flessibili da morire…e ‘la guerra tra gli ultimi’

Mentre allego questo sacrosanto rabbioso editoriale di Loris Campetti
sul Manifesto di oggi, apprendo che una seconda giovane vita si è spezzata in
seguito alla tragedia (annunciata) torinese della Thyssenkrup . Si tratta di
Roberto Scola, 32 anni, padre di due bambini. Cinque operai sono ancora in fin
di vita. E intanto nel paese i riflettori sono puntati sulle vicende del
governo e dell’ approvazione del Decreto Sicurezza. Ma di quale sicurezza
parliamo? Quale sicurezza per Roberto e Antonio?
E ancora a parlare di
emergenza immigrazione… quante giovani vite migranti hanno pagato con la morte
e continuano a pagare con cadenza quotidiana la loro condizione di “merce
lavoro”
ancora più sfruttata e ricattabile. Quanti rumeni “incubo per la nostra
sicurezza di cittadini per bene” volano dalle impalcature dei ‘nostri’ cantieri
edili?
Forse più di quanto non ci dicono le già angoscianti fonti ufficiali,
perché molti di loro, lo si sa, sono “invisibili”.  Chi manovra questo barbaro sistema con la
sola logica del profitto sa perfettamente che per perpetrarlo dovrà ricorrere
sempre di più alla logica della paura, all’ individuazione sistematica di un
“nemico” da combattere… la “guerra tra gli ultimi”, tra i poveri è appena incominciata…
perfettamente pianificata dai poteri economici e sostenuta da quelli mediatici
e allora occupiamoci pure delle orde barbariche di migranti che “violano i
sacri confini della patria”… loro sono gli “ultimi della terra”, ogni giorno
che passa sempre più odiati dai “penultimi”… entrambi non sanno che rischiano
di soccombere nella stessa identica maniera
. Matteo Ghione
*Aggiornamento h.18:14  – Un’ altro operaio, Angelo Laurino, 43 anni, non ce l’ha fatta ed è morto a seguito delle gravi ustioni.**Aggiornamenio h. 23:00 – Si chiamava Bruno Santino, 26 anni, la quarta vittima.

Il dolore degli operai della fabbrica toeineseFlessibili da morire
di Loris Campetti
fonte: Il Manifesto

Era molto flessibile Antonio un giovane di 36 anni ucciso
ieri alla Thyssenkrup Torino. Ucciso non da un incidente, non da un infortunio:
ucciso dallo sfruttamento selvaggio che fa tirare a mille gli impianti fino a
esplodere le macchine e costringe a  un
lavoro bestiale gli operai. Al momento in cui quel maledetto tubo che
trasportava olio bollente è stato colpito da una scintilla sprigionata dal
quadro elettrico si è spezzato, trasformandosi in un lanciafiamme, Atonio e una
decina di ragazzi come lui sono stati colpiti. Tutto e tutti hanno preso fuoco,
gli estintori non funzionavano, la linea 5 delle ex Ferriere sembrava una città
bombardata con il napalm, raccontano i sopravvissuti. Quando si è trasformato
in una torcia umana, alle due di notte, Antonio era alla quarta ora di
straordinario. Dunque era alla dodicesima ora di lavoro in quell’inferno. Antonio
era molto flessibile, come tutti gli altri ragazzi della Thyssenkrupp.

Alle 12 ore dì lavoro ne a aggiungeva ogni giorno due o
tre viaggio da casa, nel Cuneese, alla fabbrica, e ritorno. Non è che gli
restasse molto tempo per la sua compagna e i suoi tre bambini, la più gran de
di 6 anni e il più piccolo di 2 mesi Antonio era proprio il tipo di operaio di
cui ha bisogno un padrone tedesco che decide di chiudere la fabbrica di Torino
per portare la produzione in Germania, ma prima di mettere i sigilli agli
impianti vuole tirare fino all’ultima goccia di sangue alle macchine e agli
uomini, ai ragazzi.

Per questo una decina di loro ha preso fuoco, nel 2007,
nell’ occidente avanzato, sotto il comando di Thyssenkrupp, un nome che se
scomposto in due rimanda ad altri fuochi, un altro secolo, a un’altra guerra.
C’è la fila, adesso, di quelli che si lamentano per la mancanza di sicurezza
sul lavoro. Forse tutti si erano distratti: presi com’erano a combattere l’
insicurezza provocata dai rumeni si sono dimenticati della guerra quotidiana in
fabbrica, nei campi nei cantieri. Chi oggi dice che servono maggiori misure di
sicurezza su lavoro dovrebbe aggiungere che il modello sociale ed economico
dominante è criminale.

Chi chiede di produrre di più, per più ore nel giorno per
più anni nella vita è corresponsabile dei crimini quotidiani sul lavoro. La
sicurezza è incompatibile cm l’accumulazione selvaggia, togliendo dignità e
diritti ai lavoratori si aumenta l’insicurezza, sul lavoro e nella vita.

I teorici del liberismo, della fine del welfare, di quella
che spudoratamente chiamano flessibilità ma che per noi è precarietà, hanno
tutti i diritti nella nostra società. Ma uno almeno non ce l’hanno: quello di
piangere i morti sul lavoro perché quei morti sono vittime della loro cultuia e
della loro fame di danaro e di potere. I tre bambini di quel paesino del
cuneese che si chiama Envie non sanno che farsene delle loro lacrime.

E noi con loro. Probabilmente i cancelli della fabbrica
torinese della Thyssenkrupp non riapriranno mai più.
Speriamo che non riapra più, il prezzo da pagare per
tenerla aperta è troppo alto.

 

Morte in acciaieria,
una strage premeditata

di Giuliano Santoro – fonte: carta.org – 6.12.07

Le acciaierie Thyssen Krupp si trovano in Corso Regina
Margherita a Torino. Sono il teatro dell’ennesima, gravissima tragedia sui
luoghi di lavoro. Antonio Schiavone, trentaseienne con moglie e tre figli, è
morto questa notte. Altri sei operai sono in fin di vita, ricoverati in vari
ospedali torinesi con ustioni gravissime, e ci sarebbero anche alcuni
intossicati. L’incendio è divampato attorno all’1.30, nel reparto trattamento
termico dello stabilimento. Antonio Schiavone è morto sul colpo per le gravi ustioni.
L’impianto di corso Regina Margherita ha attualmente 200 lavoratori, una
cinquantina presenti al momento dell’incidente. E’ in corso da mesi una pesante
ristrutturazione che prevede il trasferimento di tutte le lavorazioni a Terni.

Il segretario della Fiom torinese Giorgio Airaudo è molto
duro sulla situazione dei lavoratori della Thyssen Krupp: «C’è una abitudine
pessima nei siderurgici: una pressione su flessibilità e orari che mette a
rischio la vita dei lavoratori. C’erano sicuramente nell’impianto di corso
Regina Margherita lavoratori che avevano ormai raggiunto la dodicesima ora di
lavoro». Le conseguenze dello smantellamento sarebbero la cause dell’incidente:
la linea 5 dove sono divampate le fiamme aveva subito un’intensificazione della
produzione e l’azienda aveva deciso di mantenerla attiva fino a giugno. La fase
di smantellamento dello stabilimento, in corso da ottobre, ha creato una
situazione difficile, a partire dalla gestione dei turni.

Le rappresentanze di fabbrica avevano anche protestato per
questo. «Abbiamo deciso lo sciopero per lunedì prossimo–spiega ancora
Airaudo–E’ il più grave incidente degli ultimi anni. Non si può morire di
lavoro. Ma diciamo basta anche alla compassione che dura solo qualche giorno e
poi ci si dimentica tutto». «E’ un vero e proprio stillicidio di vite che pare
inarrestabile, tanto che solo nel nostro territorio, in pochi giorni, altri due
lavoratori sono morti e numerosi sono stati gli incidenti con infortuni
gravi–affermano Cgil, Cisl e Uil in una nota–Davanti a queste tragedie non
possiamo fermarci alla giusta solidarietà, dobbiamo tutti insieme indignarci e
dire basta alle morti sul lavoro». Lunedì 10 dicembre ci saranno anche due ore
di sciopero cittadino, dalle 9.30 alle 11.30, con una manifestazione che partirà
da piazza Arbarello.

Il comitato centrale della Fiom era stato convocato il
giorno 11 dicembre per discutere del contratto nazionale. Proprio in questi
giorni i metalmeccanici stanno protestando per il rinnovo del contrattto, oggi
ad esempio, hanno contestato a centinaia l’inaugurazione del Motor show di
Bologna. La Fiom
in quella sede assumerà «ulteriori decisioni per la tutela della salute e della
sicurezza dei lavoratori e per fermare questa troppo lunga sequela di incidenti
e di morti».

A ricostruire i fatti è un rappresentante della Fiom,
Fabio Carletti, che ha parlato al telefono con un delegato sindacale della
fabbrica che era presente al momento dell’incidente. «Mi ha raccontato spiega
Carletti di aver sentito uno scoppio alla linea 5 e di aver poi visto il fuoco
sprigionarsi da un flessibile diventato una sorta di lanciafiamme». Da una
prima ricostruzione sembra dunque che dopo lo scoppio di un incendio ci sia
stata una rottura di un flessibile contenente olio che a sua volta ha preso
fuoco. Gli operai hanno cercato in un primo momento di spegnere le fiamme con
estintori e una manichetta dell’acqua. L’acqua però, a contatto con l’idrogeno
liquido e l’olio refrigerante, ha provocato una fiammata che li ha investito.
Quando sono arrivati i vigili del fuoco il reparto era già distrutto. «Ho visto
l’inferno–racconta invece Giovanni Pignalosa, da dodici anni operaio della
Thyssen Krupp e delegato della Fiom–Antonio era avvolto nelle fiamme e chiedeva
aiuto. Ma era impossibile avvicinarsi». Sarebbe bastato solo qualche mese e probabilmente in
quella fabbrica nessuno sarebbe più andato a lottare con la morte.

 

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