Reportage dalla Romania

Viaggio
nell’intellighenzia «zingara» in Romania
Rom rumeni, ne
mancano due milioni

di Cinzia Gubbini  -di
ritorno da Bucarest

 

Ciprian Necula«Alcuni stereotipi, a cui i giornalisti italiani sembrano
credere pienamente, servono molto alla politica. Qui in Romania è certo: i politici
si sono a lungo masturbati con il problema rom. E mi sembra che lo stesso stia
avvenendo in Italia. Dove mi permetto di dire che la democrazia dopo Berlusconi
sembra non funzionare più tanto bene e al popolo italiano vorrei dare un
consiglio: occhio all’estrema destra che, come da noi, è sempre pronta a
spuntare da dietro l’angolo». Lui di estrema destra un po’ se ne intende. Da giovane ha militato nelle fila
di un gruppo di skinhead «era la moda, ma sono stato anche rocker. Il fatto è
che a lungo nella mia adolescenza ho lottato per seppellire la mia identità rom
di cui mi vergognavo». A diciott’anni vide Voicu in tv (di cui per la verità
oggi non è il principale estimatore) e si convinse che era necessario attivarsi
per difendere il popolo di cui faceva parte: «Così oggi io sono tra le 563 mila
persone che sono rom e lo dicono». I due milioni mancanti, dice Ciprian: «Non
se ne sono andati dal paese, chi se ne va sono i più poveri, quelli che sanno
di essere odiati. Al contrario, sono gli assimilati. Sono quelli che nella
società rumena lavorano, vivono nelle case, ma non vogliono essere riconosciuti
preferiscono rimanere invisibili». Come ha fatto lui fino a dieci anni fa."

C’e’ chi dice che
sono quelli usciti dal paese e emigrati all’estero. Ma il fatto è che solo
mezzo milione di persone nei censimenti si dichiara rom. Colpa della
discriminazione o della libertà di essere «assimilati»? La Romania covo di razzisti?
Per Voicu, senatore rom e musicista, il problema è la miseria. Secondo alcuni
intellettuali le radici del razzismo affondano nel comunismo. E tra i rom c’è
chi è stato skinhead

Quanti sono i rom in Romania? Incredibile ma vero, questa
è la domanda da cento milioni di dollari. Nessuno lo sa, e esistono soltanto
delle stime prodotte dalle organizzazioni non governative o dalla polizia che
parlano di circa 2 milioni e mezzo di persone. Ma l’aspetto più eloquente sta
da un’altra parte: è il confronto tra queste stime e il censimento ufficiale
dello Stato. Poiché i rom sono una minoranza riconosciuta ma almeno formalmente
sono prima di tutto cittadini rumeni, lo Stato non può determinarne a priori
l’origine. Nel modulo del censimento ci sono le caselle che indicano le
minoranze del paese da barrare – come magiari e tedeschi. In occasione
dell’ultimo censimento nel 2002 soltanto 530 mila persone si sono dichiarate
rom. Che fine hanno fatto gli altri due milioni?

Lo zigano in
parlamento

Ha buon gioco Madalin
Voicu
a rispondere, a chi gli chiede se è vero che i rom rumeni sono
scappati dal loro paese in massa appena è stato possibile: «E chi lo può dire?
Chi esce dalla Romania mostra il passaporto e lì c’è scritto soltanto ‘romeno’.
Chi potrebbe dire, d’altronde, che io sono rom?».

Di certo, non uno zingaro qualsiasi. Voicu è una vera celebrità. Considerato il
rappresentante per eccellenza del popolo rom, oggi è senatore del Partito
socialista, ma i suoi primi passi in politica li ha mossi con il Partito dei
Rom – a cui è riservato per legge un seggio in parlamento – e di cui è stato a
lungo anche presidente onorario. Ma Voicu è famoso soprattutto per essere un
apprezzato direttore di orchestra, figlio di uno dei più grandi violinisti
rumeni, Ion. Vero orgoglio della popolazione rom, Ion Voicu era così conosciuto
da essere trattato come una specie di patrimonio nazionale anche dal regime
comunista.

Secondo Madalin non è corretto parlare di forme di discriminazione in Romania
nei confronti della popolazione rom: «Dirlo è una sciocchezza. Certo, è tipico
che la parola ‘zingaro’ venga utilizzata per apprezzamenti poco cordiali: mangi
come uno zingaro, ti comporti come uno zingaro…ma siamo lontani dal poter
parlare di razzismo. Ci sono ovviamente delle persone appartenenti alla
maggioranza che naturalmente reagiscono e si accaniscono contro la minoranza. E
queste persone vanno accuratamente isolate.

Ma la vera questione in Romania sono la fame e la miseria:
si lavora per pochi soldi, la situazione sociale è molto grave. E il problema
dei rom – continua Voicu – è che per la maggior parte conducono una vita di
miseria, come molti rumeni d’altronde. La differenza è che mentre le persone
appartenenti alla maggioranza si integrano a un determinato sistema civico, gli
zingari per una serie di fattori sono rimasti ancorati a una sorta di
primitivismo che spaventa la società rumena».

Ovviamente Voicu è lontano dal ritenere che alcuni tratti
culturali associati alla popolazione rom ne determinino l’essenza: «Deve essere
chiaro: ciò che caratterizza la cultura rom sono la lingua, i costumi e alcuni
lavori specifici – spiega il famoso artista – ma non posso accettare come
tradizione la mancanza di interesse per la scuola, la mancanza di alcuni tipi
di comportamenti etici o l’abitudine ad andare avanti giorno per giorno
attraverso espedienti senza avere la capacità di progettare il futuro. Tutte
queste sono scuse».

Ma allora come mai
non funzionano i centinaia di progetti messi in campo dalla Romania per
promuovere la piena cittadinanza dei rom? «Progetti!», sospira Voicu. «Sulla
carta certi tipi di investimenti possono avere valore, ma in realtà la maggior
parte dei soldi stanziati sono stati utilizzati per altri scopi sia dalle
associazioni che da alcuni personaggi appartenenti alla popolazione rom».
Secondo il senatore soltanto una può essere la risposta per aiutare la
popolazione rom a vincere determinati stereotipi che la costringono alla
marginalizzazione: «Investire nell’educazione». Sono ancora «scuse», invece,
quelle avanzate da alcune teorie secondo le quali la sedentarizzazione forzata
dei rom voluta da Ceaucescu è la causa di tutti i mali. «Ma che c’entra –
esclama Voicu – il regime ha usato la forza per imporre determinate regole a
tutta la popolazione e non soltanto ai rom. E il nomadismo era già finito da
100 anni».

Nella tana degli anticomunisti

Convinti invece che sia stato l’intervento violento del regime comunista a
«destabilizzare la scala di valori della popolazione rom» sono i redattori
della «Rivista 22 dicembre». Già dal nome, che ricorda il giorno della
rivoluzione dell’89, si capisce che questo piccolo appartamento abbellito dalle
riproduzioni delle opere dei più importanti artisti rumeni di avanguardia, come
Dan Perjovschi – tutti collaboratori o amici della rivista – rappresenta uno
dei più fieri pilastri contro il passato comunista della Romania.

La volitiva direttrice Rodica Palade,
all’epoca bibliotecaria, ha partecipato attivamente alla rivoluzione ed è tra
le fondatrici del «Gruppo del dialogo sociale» che ha svolto un ruolo molto
importante nella rinascita dell’intellighenzia rumena. Oggi con le sue 10.200
copie il settimanale esercita una certa influenza nel dibattito culturale e
politico del paese.
 
«La
Romania ha esportato un problema che non è mai stato risolto
qui. Le esigenze della minoranza rom sono sempre state ignorate, non sono state
poste in campo specifiche strategie e queste ora sono le conseguenze», dice
Palade che con Voicu è però almeno d’accordo su due cose: la prima è che
l’Italia ha fatto altrettanto, permettendo che si creassero accampamenti di
rumeni – rom e non – spesso impiegati nel mercato del lavoro al nero. La seconda
è che la Romania
ha fatto il suo ingresso in Europa mantenendo un livello salariale troppo
basso. Sin dai suoi primi numeri, la «Rivista 22 dicembre» ha promosso e
sostenuto la cultura rom. L’ultima iniziativa è stata finanziata dalla
Fondazione Soros: si tratta di quattro numeri speciali dedicati alla questione
rom.

«Nel ’77 Ceaucescu decise di ‘normalizzare’ con la forza i
rom – racconta Palade – li costrinse negli appartamenti dove entrarono
portandosi dietro le bestie e dove facevano i falò nonostante ci fosse il
riscaldamento. Prima del comunismo era rarissimo che un rom si macchiasse di un
reato, le comunità funzionavano benissimo. Poi sono state distrutte, e dalla
caduta del regime sono uscite schizofreniche come d’altronde tutta la
popolazione rumena. Ora parlare di recupero della tradizione è un mito. Occorre
investire seriamente nell’educazione».

Rom e testa rasata

Che l’accesso a scuola sia prioritario e determinante è un concetto che
ripetono tutti. Compreso Ciprian Necula,
per il resto personaggio piuttosto sui generis. E’ l’ultima stella del mondo
rom, rappresentante delle nuove generazioni. 28 anni, aria vissuta, Ciprian sta
ottenendo un grande successo con la trasmissione «Rom europeo» che va in onda
ogni sabato sul primo canale della tv pubblica e il cui share spesso supera
quello dei notiziari.

«Il nome è una merda, ma ho dovuto mediare con la
produzione», spiega. E non è stata l’unica battaglia: «La trasmissione è
finanziata anche dal governo, e potrà sembrare paradossale ma ci sono stati parlamentari
rom che sono intervenuti per cercare di bloccarla sostenendo che questo doveva
essere un programma culturale». Insomma «danze e violini», ride Ciprian, che
invece ha puntato tutto sull’inchiesta: telecamere nascoste per documentare i
buttafuori delle discoteche che non permettono l’ingresso ai rom, inchieste
sulla condizione abitativa e scolastica che in alcuni casi hanno chiamato
direttamente in ballo le istituzioni e le loro carenze creando dei veri e
propri scandali con conseguente pagamento di ammende.

«I rom a causa di un certo tipo di stereotipi sono da
sempre marginalizzati. La questione è sempre guardata in un senso
unidimensionale. Nessuno capisce che i rom sono tanti, molto diversi tra loro e
che le sacche di povertà, almeno qui in Romania, rappresentano una minoranza».

Non che lui sia un relativista: «Ritengo che alcune cose
siano inaccettabili e vadano vietate per legge. Ad esempio: non sopporto chi fa
sposare i bambini, ma ritengo che nell’affrontare questo problema vada
riconosciuto un fatto storico. Questa usanza deriva dall’epoca dello schiavismo
dei rom, che è durato 500 anni, quando tra i nobili rumeni era abitudine
regalarsi schiave rom vergini. Per questo le donne venivano date in spose da
bambine, così si presupponeva non fossero più vergini. Oggi è diverso,
ovviamente: è un rivoltante business della dote e come tale va considerato».

Tuttavia: «Alcuni stereotipi, a cui i giornalisti italiani
sembrano credere pienamente, servono molto alla politica. Qui in Romania è
certo: i politici si sono a lungo masturbati con il problema rom. E mi sembra
che lo stesso stia avvenendo in Italia. Dove mi permetto di dire che la
democrazia dopo Berlusconi sembra non funzionare più tanto bene e al popolo
italiano vorrei dare un consiglio: occhio all’estrema destra che, come da noi,
è sempre pronta a spuntare da dietro l’angolo».

Lui di estrema destra un po’ se ne intende. Da giovane ha militato nelle fila
di un gruppo di skinhead «era la moda, ma sono stato anche rocker. Il fatto è
che a lungo nella mia adolescenza ho lottato per seppellire la mia identità rom
di cui mi vergognavo». A diciott’anni vide Voicu in tv (di cui per la verità
oggi non è il principale estimatore) e si convinse che era necessario attivarsi
per difendere il popolo di cui faceva parte: «Così oggi io sono tra le 563 mila
persone che sono rom e lo dicono». I due milioni mancanti, dice Ciprian: «Non
se ne sono andati dal paese, chi se ne va sono i più poveri, quelli che sanno
di essere odiati. Al contrario, sono gli assimilati. Sono quelli che nella
società rumena lavorano, vivono nelle case, ma non vogliono essere riconosciuti
preferiscono rimanere invisibili». Come ha fatto lui fino a dieci anni fa.

Fonte Il Manifesto 22.11.07

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