Una tragedia annunciata

Un’ altra tragedia annunciata
Comunicato Stampa dell’ Opera Nomadi di
Padova
fonte Meltingpot – la vignetta "Al Rogo" è tratta dal Blog di Mauro Biani

Da come si recepisce dai mass media, sembra che
ultimamente ci sia stata un’invasione di rom rumeni, in realtà già da qualche
anno si sapeva della loro presenza soprattutto nelle grandi città: Napoli,
Roma, Milano, Bologna e Firenze, dove sono costretti a vivere in baraccopoli o
in campi abusivi o ammassati nei campi nomadi anche assieme ad altri rom di
diversa provenienza. Restavano e restano invisibili perché poco o nulla si fa
per loro: progetti di integrazione lavorativa, scolastica e abitativa.

Già all’inizio del 2006, abbiamo inviato ai Ministeri un
dossier approssimativo sulla presenza dei rom rumeni in Italia, soprattutto per
il fatto che andavano ad aumentare il numero delle presenze nei campi e nelle
baraccopoli vere e proprie favelas che causano tragedie come quelle di
Follonica, dove una bambina è morta bruciata a marzo di quest’anno, di Livorno
in agosto dove sono morti bruciati 4 bambini e oggi a Bologna a Borgo Panigale
in una baracca dove è morto un altro bambino di 4 anni e i suoi 2 fratellini
sono rimasti gravemente ustionati.

Il numero delle presenze è senz’altro aumentato in
quest’ultimo periodo, sono arrivate con mezzi di fortuna, intere famiglie
povere e purtroppo, grazie alla strumentalizzazione sia politica sia dei mass
media, il “razzismo da paura” e la xenofobia, che erano latenti nella gente
comune, sono emersi, tanto da convincerla che proprio questa povera gente sia
il pericolo maggiore per quanto riguarda la sicurezza dei cittadini.

Pensiamo sia giunto il momento di spegnere il televisore,
riporre i giornali e fermarci a riflettere su quanto la presenza dei rom rumeni
rappresenti una minaccia concreta alla nostra società, già afflitta da problemi
socio economici gravissimi. Come presupposto imprescindibile per affrontare il
fenomeno e governarlo al meglio ci dovremmo domandare innanzitutto quanti sono
perché, a giudicare dalla visibilità data loro dai media la risposta sarebbe
tanti, più dei mafiosi, degli evasori fiscali, dei precari e dei lavoratori in
nero, in realtà non esistono cifre precise. È dunque giustificato parlare di
invasione e cifre allarmanti ? La nostra percezione di minaccia trova un
effettivo riscontro numerico nella realtà?

Non è mai stato avviato un monitoraggio qualitativo e
quantitativo di queste popolazioni a livello nazionale anche se, come Opera
Nomadi, abbiamo presentato ai Ministeri già all’inizio di quest’anno un
progetto di indagine conoscitiva sociale di tutta la popolazione rom, sinta e
camminante presente in Italia che dovrebbe essere effettuata impiegando
mediatori culturali Rom italiani e stranieri, Sinti e Camminanti, vista la
problematica situazione in cui versano le famiglie. Un progetto per poter
meglio affrontare da un punto di vista organico e organizzativo le situazioni,
per portare a conoscenza delle Istituzioni le problematiche e le istanze degli
invisibili ignorati e discriminati, per conoscere precisamente quanti siano i
Rom, Sinti e Camminanti presenti in Italia (con un’attenzione particolare ai
bambini e ragazzi in età scolare), per riuscire ad avere una visione più chiara
e completa a livello nazionale.

Solo attraverso una conoscenza più approfondita e uno
scambio interculturale possono venire superate le paure e i pregiudizi. C’è da
sottolineare il fatto che, tranne per alcune realtà, prima dell’arrivo dei rom
rumeni, non si è proceduto mai alla sistemazione dei rom e sinti italiani
presenti in Italia alcuni dal 1400, altri dai primi del novecento o dopo la
seconda guerra mondiale e dei rom provenienti dalla ex Jugoslavia arrivati nel
ns. paese a causa della guerra negli anni ‘90, che rappresentano tutti insieme,
italiani e stranieri, circa lo 0,3 % della popolazione italiana. E’ mancata la
volontà politica di superare il ghetto rappresentato dai campi nomadi,
preferendo lasciare queste persone in condizioni di passività supportandole con
l’assistenzialismo, senza favorire un percorso autonomo, di accesso alle
risorse lavorative, in modo da far si che si assumessero i diritti e i doveri
che comporta l’essere cittadinanza attiva.

Purtroppo la tragedia di Roma pare aver segnato un punto
di non ritorno: dal 1° novembre non c’è spazio per alcuna posizione intermedia,
e viene sistematicamente censurato qualsiasi tentativo di mediazione e analisi
del problema: la ragione ha ceduto il passo alla pancia.

Più preoccupante dei sospetti e delle ritorsioni contro i
rumeni in generale, è stata la reazione delle Istituzioni. I politici si sono
affrettati a disporre provvedimenti scritti, avendo in mente come destinatario
un’etnia ben precisa, e per questo motivo hanno emanato leggi speciali per un
gruppo sociale definito: e quindi leggi razziali.

Ecco gli sgomberi e abbattimenti indiscriminati di
baracche abitate da persone senza proporre e fornire altre soluzioni (così è
successo a Bologna, Roma, ecc.) persone che non conosciamo neppure, oppure
ordinanze di sindaci che grazie al recente decreto si sentono in diritto di
negare la residenza e di espellere dal proprio territorio chiunque non abbia un
alloggio decente e un reddito minimo di sopravvivenza (come a Cittadella Comune
della Provincia di Padova).

Da ciò hanno tratto forza gruppi organizzati che cavalcano
la paura dei cittadini e manifestano esponendo simboli che la nostra
Costituzione considera fuori legge.

A ben guardare, la politica dello sgombero, assomiglia al
gioco delle tre carte: non appena ciascuna città avrà allontanato i propri
indesiderati, vedrà arrivarne contemporaneamente altri, sgomberati da un’altra
Amministrazione, e i cittadini saranno ancor più allarmati dalla presenza di
facce sempre nuove. Che fare dunque, quando qualsiasi proposta di attivazione
di progetti di integrazione (almeno per i bambini!) viene aggredita con rabbia
irrazionale? Come trasmettere che, come dimostra l’esempio di migliaia di
cosiddetti nomadi, queste persone se dotate di strumenti validi, quali percorsi
mirati di inserimento lavorativo e scolastico, sono in grado, tanto quanto i
nostri concittadini in condizione di svantaggio, di affrancarsi dalla miseria e
dalla ghettizzazione come sta avvenendo in alcune città (purtroppo poche) dove
le amministrazioni si sono dimostrate sensibili al problema?

Il nodo centrale, pare, siano le risorse economiche
necessarie per finanziare i progetti, che oltretutto i rom “non meritano” siano
essi stranieri o italiani. Ma siamo sicuri che meritino di essere considerati
degli asociali subumani che non possono che essere rimandati nel loro Paese o
relegati a vivere per sempre nei ghetti come sono i campi nomadi o nelle
baracche?

Per quanto riguarda gli stranieri extracomunitari, la
legge Bossi Fini è fallita proprio per questo: le procedure di espulsione
sarebbero costate un’enormità sia di denaro che di personale impiegato.
L’espulsione inoltre, non dà garanzia alcuna che il flusso dei migranti si
arresti, né che prenda altre destinazioni, o che le stesse persone, non avendo
nulla da perdere, tornino nuovamente in Italia. Espellere non è fattibile per
gli extracomunitari, figuriamoci per i rumeni, almeno che non siamo favorevoli
all’introduzione di una sorta di expulsion-tax. Se in Italia stiamo
fronteggiando un’emergenza umanitaria, allora agiamo di conseguenza, attivando
tutte le risorse del caso. Innanzitutto si devono creare dei punti di prima
accoglienza, tirando fuori dalle lamiere adulti e bambini, attivando anche
Protezione Civile e personale sanitario.

Una volta stabilizzata la situazione, è doveroso iscrivere
subito i minori a scuola, formando mediatori culturali rom con il compito di
favorirne l’integrazione in classe e facilitare i rapporti scuola – famiglia.
Un bambino che va a scuola è un bambino che non rivedremo né per strada né nei
sensazionalistici articoli di cronaca in cui ci imbattiamo negli ultimi mesi.

Contemporaneamente vanno analizzate le competenze
lavorative degli adulti e va attivato un piano di inserimento lavorativo che
contempli anche la possibilità di costituire cooperative di recupero di
materiale ferroso, cooperative edili, di pulizia e di giardinaggio, lavori
tradizionalmente praticati dai rom nei Paesi di origine dai Rom/Sinti. Il
reperimento di un’abitazione consona a degli esseri umani deve essere
indirizzato sia verso alloggi di edilizia popolare, quando le famiglie ne
abbiano i requisiti, sia rivolgendosi al mercato privato. Una terza via assai
vantaggiosa per gli stessi comuni è, come insegnano altre realtà in Italia ed
Europa, l’autocostruzione e l’autorecupero, ovvero il restauro di stabili
inoccupati. Una volta economicamente autonome, le famiglie saranno in grado di
gestire la propria vita senza alcun altro bisogno e richiesta da parte loro.

Da sottolineare che i soldi stanziati dalla Comunità
Europea per l’integrazione di Rom e Sinti ci sono, ma non sono stati richiesti
da nessuno (Governo e amministratori). Questi fondi esistono da anni, tanto
quanto le baracche e i campi nomadi che troppo a lungo abbiamo finto di non
vedere.

I Rom e i Sinti rappresentano la più grande minoranza a
livello europeo con circa otto milioni di persone e, nonostante questo, nella
legge 482 del 15 dicembre 1999 “norme in materia di tutela delle minoranze
linguistiche e storiche”, nel ns. paese le popolazione rom/sinte non sono state
neanche nominate disattendendo norme, principi ed impegni internazionali e in
particolare quelli della Carta Europea delle lingue regionali minoritarie in
vigore dal 1° marzo 1998 che prevede esplicitamente norme “anche per le lingue
sprovviste di territorio come l’yddish e lo zingaro”.

Sappiamo tutti che nessuno nasce con il pregiudizio (viene
trasmesso da padre in figlio), alla cui base sta soprattutto la mancanza di
conoscenza; non si riduce solo col buon senso ma con messaggi istituzionali
forti che permettano alla società maggioritaria una conoscenza più approfondita
di queste popolazioni e che agevolino quest’ultime nel processo di assunzione,
come già espresso in precedenza, dei diritti e dei doveri di cittadinanza
attiva, uscendo dalla logica assistenziale negativa a cui sono stati abituate
troppo spesso e in cui si sono adagiate. E’ necessaria, quindi, una
riconciliazione nazionale che chiuda le ostilità, che avvii processi e
iniziative, che permetta che venga riconosciuta la ricchezza derivante dal
dialogo e dallo scambio fra i diversi orizzonti culturali per una ridefinizione
degli stessi.

Per concludere, la sicurezza non si ottiene con azioni
repressive ma attraverso l’accoglienza, l’attenzione, l’inclusione sociale,
l’accesso alle risorse e soprattutto con la conoscenza e con lo scambio
interculturale.

Opera
Nomadi
Sezione di Padova – ONLUS

Questa voce è stata pubblicata in razzismo /cpt / migranti /società / movimenti / pace / diritti. Contrassegna il permalink.