Per uno pagheremo tutti

 
Nel campo nomadi di Nicolae "Per uno, ora
pagheremo tutti"
Roma, rabbia e
condanna fra gli occupanti delle baracche di Tor di Quinto dove viveva l'uomo
accusato di aver aggredito e seviziato Giovanna Reggiani
fonte repubblica.it

campo nomadi - foto La RepubblicaTerza baracca sulla destra, lungo il sentiero tra gli
alberi, pieno di fango per la pioggia abbondante. Una struttura di legno,
coperte e cartone, un telo impermeabile a fare da soffitto, in cima a una
scarpata che porta alla ferrovia. Viveva qui da due mesi e mezzo, nel campo
nomadi abusivo a due passi dalla stazione di Tor di Quinto, Nicolae Romolus
Mailat, il rom di 24 anni arrestato con l'accusa di aver aggredito e seviziato
fino a ucciderla Giovanna Reggiani, riducendola in fin di vita. E nel campo,
dove da cinque anni vivono circa 60 rom, tutti più o meno imparentati e
provenienti dallo stesso villaggio della Romania, Aurig, vicino Sibiu (nota
come capitale europea della cultura), c'è rabbia e condanna.

Nicolae, qui, è conosciuto come un ragazzo che faceva il
manovale e non aveva dato mai problemi, anche se qualcuno lo descrive come
"malato", perché nel suo Paese era finito in ospedale "per
essersi ferito con dei chiodi alla testa". Della sera in cui si è
consumata l'aggressione, i nomadi del campo dicono di non sapere nulla.
Sapevano solo che era andato a bere con un amico romeno.

"Se avesse fatto una cosa simile a una delle nostre
donne, a nostra madre o a una nostra figlia lo avremmo ucciso", dicono i
rom. "Siamo qui per cercare lavoro, per colpa di uno, ora pagheremo tutti.
Mia moglie è stata portata via dalla polizia perché non aveva i
documenti", si lamenta Marius, manovale, che ha lasciato dai suoceri in
Romania la figlia di un anno e mezzo. "Guadagno 35 euro al giorno, appena
guadagno di più voglio prendere una casa in affitto" aggiunge Marius prima
di rispondere al telefonino.

Nel fango c'è un bambino di tre anni che gioca, tra
sporcizia e masserizie. "Sono state le forze dell'ordine a ridurre così le
nostre baracche", raccontano gli occupanti del campo, e mostrano i teli e
i cartoni che facevano da mura, e che adesso sono stati sfondati e lasciano
vedere gli interni: reti con materassi, in terra qualche pentola, avanzi di una
cena. Anche la capanna di Mailat è stata perquisita: cassetti in terra, il
divano-letto sepolto da varie cianfrusaglie. Resistono, attaccati a una parete
in legno rivestita da tendaggi, un manifesto con una foto di Martina Colombari
e, vicino, un altro con lo scorcio di una grotta piena di stalagmiti. Su un
tavolinetto, la videocassetta di Ocean's Eleven.



"Siamo sconvolti, condanniamo questi atti selvaggi – dice il presidente
dell'Associazione rifugiati politici rom e romeni Argint Costica che oggi ha
visitato l'accampamento – chiediamo però di non generalizzare. Qui c'è anche
chi lavora onestamente". Nel campo ora c'è preoccupazione: "La polizia
ci ha detto che entro due giorni dobbiamo andare via, poi arrivano le ruspe. Ma
dove possiamo andare?".
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