L’ inferno di Gradisca

Dentro l’inferno di Gradisca
Il racconto della visita guidata per i giornalisti all’interno del CPT.

di Milena Zappon (foto di Marco Visintin)
fonte: meltingpot
articolo e galleria fotografica sul sito Meltingpot

graffito sul muro del cpt di gradiscaCpt Gradisca

Lunedì 11 giugno alle ore 11.00, questo l’orario stabilito dalla Prefettura di Gorizia, in accordo con il Ministero dell’Interno, per la visita dei giornalisti al Cpt di Gradisca. In realtà la nostra di visita è cominciata molto prima, il 7 maggio, con le prime richieste inoltrate alla Prefettura, i primi dinieghi, i rifiuti telefonici, le rassicurazioni dopo le denuncie pubbliche. La Direttiva del Ministero dell’Interno del 24 aprile, annunciata come l’apertura dei Cpt alla stampa, nella realtà dei fatti è una farsa. Si tratta di una visita unica nel tempo, in stile comitiva, giudata e gestita da funzionari.

La Direttiva a questo punto risulta molto chiara e non lascia dubbi, le visite ai Cpt sono previste solo per i giornalisti iscritti all’ordine, nei tempi e nei modi che Ministero dell’Interno e Prefettura ritengono adeguati. Le visite, ne abbiamo avuto la conferma a Gradisca, sono guidate, organizzate come operazioni pubblicitarie per un nuovo corso, quello del centrosinistra che vuole l’umanizzazione di queste strutture, lasciando irrisolto uno dei nodi centrali posti dalle associazioni di tutela dei migranti e dai movimenti dell’ultimo decennio, quello della chiusura di tutti i Cpt.

Nessuna “porta aperta” insomma, ma solo la possibilità di partecipare ad una visita guidata passo passo.

Quello di Gradisca è stato il secondo centro ad essere visitato dopo la Direttiva e, soprattutto, dopo la nostra imprevista richiesta. Il primo è stato il Cpt di Lampedusa, la visita guidata e promossa dallo stesso ministero dell’Interno, la struttura rimessa a nuovo per l’occasione.

Il racconto della visita

A distanza di un mese eccoci, abbiamo fatto ingresso in quello che possiamo definire l’inferno di Gradisca. Il gruppo è composto da una quindicina di persone tra giornalisti e fotocineoperatori, accompagnati dal Prefetto di Gorizia, Dr. Roberto De Lorenzo, dal Vice Prefetto Scarabino, dal Sindaco di Gradisca Franco Tommasini, dal Direttore del Centro Paolo Zotti e dal presidente Ruchini, questi ultimi appartenenti alla Cooperativa Minerva, che tra mille polemiche gestisce la struttura. Tutti, ma soprattutto noi, siamo accompagnati da uno stuolo di agenti in borghese: incomprensibile.

Il Cpt di Gradisca lo avevamo sempre visto e vissuto dal di fuori, raccontando le tante manifestazioni di protesta che in questi anni ne hanno chiesto la chiusura. Guardando il lungo muro di cemento armato che divide la struttura dalla strada statale, si era detto assomigliasse ad un carcere di massima sicurezza. Oggi, visto da dentro, ci è sembrato ancora più cruento, animato dalle storie dei migranti che vi sono rinchiusi senza aver commesso alcun reato.

entrataL’entrata

Prima un passaggio al metaldetector, poi la consegna dei documenti, e dopo aver attraversato un breve passaggio all’aria aperta ci siamo ritrovati nella prima parte del centro, dove si trovano gli operatori della Minerva e dove abbiamo ascoltato il discorso del Prefetto, del Direttore del centro e le spiegazioni del Presidente della cooperativa Minerva, Ruchini.

La cooperativa ha preparato anche delle cartelline con dei documenti sulla gestione del Cpt e un cd rom, e ci vengono consegnate come si fa con le guide quando un gruppo di turisti visita la cappella degli Scrovegni. Ma il Cpt non è proprio un opera d’arte, ed i restyling, le ristrutturazioni, non hanno lo scopo di mantenerne intatta la bellezza.

Il Prefetto sottolinea che la struttura non è stata modificata, ridipinta o pulita, “è nelle stesse condizioni in cui si trova ogni giorno a quell’ora” dice. Anche volendo è difficile credere che nulla sia stato toccato per rendere l’area migliore in occasione della nostra visita.

Intanto ci vengono date indicazioni e consigli: “è preferibile non intavolare discussioni ma osservare la struttura… per ripestare la privacy degli ospiti (!)”. Durante il discorso il centro viene definito un “contenitore di persone”. I migranti trattenuti all’interno vengono chiamati “ospiti”.

Da fuori ci siamo portati una domanda: le donne da qualche tempo non vengono più portate a Gradisca nonostante ci sia un area apposita. Come mai? È successo qualcosa? Non ci è dato saperlo.

Ci viene spiegato che il medico ora è presente nella struttura per sei ore al giorno. Il Direttore spiega che l’ospite gioca parecchio con il medico ma loro tendono a ridurre al minimo le terapie, soprattutto per chi arriva dal carcere. In pratica si tratta di un gioco di ruolo e nel cpt ognuno gioca il suo. E’ una curva da ridurre – spiega Ruchini, presidente della Minerva.

Intanto mi stacco un attimo dal gruppo di discussione e mi dirigo fuori, verso una camerata, in un’ area vuota ma “è meglio non entrare, bisogna farlo tutti insieme quando sarà il momento”. A parlare immagino sia stato un operatore della Minerva ma poi, in seguito, scopro che si tratta di uno degli agenti in borghese che sembra non perdere d’occhio neppure per un attimo i miei spostamenti. La trasparenza e le porte aperte annunciate dalla Direttiva Amato sono anche questo.

Ci viene detto che nella struttura sono trattenuti 52 “ospiti” (i posti a disposizione sono 247), ma le sbarre che chiudono ogni angolo e le facce stesse dei migranti stridono con questa definizione. Loro si definiscono semplicemente “detenuti”.

Nella prima zona da un po’ di tempo c’è anche l’ufficio del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati) per le domande di asilo, ma a fare da intermediario tra l’organizzazione e i migranti trattenuti è sempre la Coop. Minerva. Ci viene fatto capire che non tutto va come dovrebbe andare.

area detentivaL’area detentiva

Entriamo nell’area dove sono “ospitati” i migranti ed è subito chiaro che sarà difficile parlare con loro e “intavolare discussioni”. La presenza degli agenti, del Direttore del centro, degli operatori, sembra essere un deterrente per i migranti che intimoriti sembrano essere fuggevoli. Loro, finita la visita, rimangono dentro.

Il clima non è per niente rilassato. Qualche giorno prima le associazioni locali che conducono da tempo la battaglia contro il Cpt avevano denunciato, in una conferenza stampa, i casi di due migranti che stanno per diventare padri colpiti da provvedimenti di espulsione. In realtà, secondo le recenti nuove disposizioni, avrebbero diritto a rimanere in Italia. Scopriamo che Raji, uno dei due, è stato espulso due giorni dopo la denuncia delle associazioni, sabato mattina. Troviamo il secondo ragazzo e gli promettiamo di fare il possibile per aiutarlo.

Provo ancora a spostarmi,questa volta anticipando il percorso della comitiva. Mi ritrovo la porta bruscamente sbarrata dallo stesso agente in borghese. Non si passa, bisogna aspettare gli altri. Confermo, il clima non è per niente rilassato.

Ad iniziare a parlare, dopo un po’ di tempo, sono dei ragazzi magrebini. Ci svelano subito una cosa che avevamo notato ma che non riuscivamo a cogliere: da tre giorni sono state tolte le gabbie esterne. Quegli strani, piccoli muretti quadrati senza senso, di fronte all’uscita delle camerate li avevamo notati. Il cemento che ricopre i buchi dove erano infilati i supporti per le sbarre è ancora fresco. Ecco! Forse questa è l’unica differenza nella gestione dei Cpt dal centrodestra al centrosinistra. Il centrosinistra ha fatto togliere le gabbie. Complimenti!

Nonostante la diffidenza sia molta (a ragione) alcuni ragazzi ci spiegano sottovoce che sono diversi giorni che al centro si danno da fare per sistemare le cose in occasione della visita. “Oggi”, ci spiegano, “addirittura la porta di ferro del campo di calcetto è aperta”.

Alle 23.30 ci raccontano, vengono chiusi tutti nelle camerate dove però, oltre alle sbarre, ci sono anche i vetri antisfondamento. “Sembra di essere chiusi dentro un forno, non si respira” ci dicono. È facile capirlo, basta dare un occhio alle porte che chiudono tutto e sentire il caldo che trapela dall’interno.

Nel Cpt non si possono né ricevere visite di familiari né ricevere dei pacchi. L’unico contatto con l’esterno è il cellulare, per chi ce l’ ha ovviamente.

Un ragazzo senegalese urla arrabbiato. Non è contento di vedere i giornalisti, che ne sanno di come si vive lì dentro, di quello che gli è successo. Lui ha lavorato per 12 anni in Italia, pagando i contributi. Ha perso il permesso di soggiorno ed ora si trova in gabbia senza più un futuro.

Si capisce subito che molti ragazzi rinchiusi nel Cpt non sanno nulla della loro situazione giuridica. Vivono come in un limbo, in balia degli eventi, senza sapere cosa fa l’avvocato, sempre che ce ne sia uno. Se si lamentano o chiedono qualcosa gli viene risposto di rivolgersi alla Prefettura.

La fine della visita ci porta verso il magazzino (?), è da lì che vediamo il Cdi (Centro di identificazione per i richiedenti asilo) in costruzione. Anche quella struttura è completamente circondata da sbarre. A vigilare una garrita con le forze dell’ordine. Da qualsiasi parte giri lo sguardo vedi sbarre. Muri e sbarre.

Prima di uscire definitivamente stringiamo le mani, salutiamo le persone che abbiamo conosciuto.

Nella sala mensa è pronta la pizza per i giornalisti ma i primi a mangiarla sono i ragazzi immigrati. “La pizza! Non la mangiamo da tempo, qui ci fanno sempre pasta”.

Noi non mangiamo, abbiamo lo stomaco chiuso. Per noi è ora di uscire dall’inferno di Gradisca.

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