Clandestino a bordo, e la nave diventa cpt

Mamadou, proveniente dalla Guinea, è rimasto
segregato in una cella per 17 giorni, sette nel porto di Genova. A «liberarlo»
la senatrice del Prc Haidi Giuliani. E scoppia la polemica

di Alessandro Fava da Il manifesto del 22 gennaio 2008
[A seguire l’articolo di Cinzia Gubbini
«Se scoviamo qualcuno paghiamo noi
le spese del rimpatrio»]

clandestino a bordo, cover Il Manifesto

Com’è possibile che un clandestino
possa essere tenuto recluso su una nave ferma da almeno sette giorni nel porto
di Genova? E’ da qui che partirà un’interrogazione urgente al Senato sul
trattamento dei clandestini a bordo di navi italiane che, «previe ulteriori
verifiche», ha intenzione di presentare la senatrice di Rifondazione comunista
Haidi Giuliani, coinvolta nella vicenda della liberazione di un ragazzo
africano recluso per settimane su un mercantile trasformato in cpt con tanto di
cella, come raccontato ieri da Repubblica.
A lei hanno intenzione di unirsi gli
europarlamentari di Sinistra europea Vittorio Agnoletto e Giusto Catania
(Sinistra europea) con un’interrogazione al vicepresidente della Commissione
europea Franco Frattini. «La prima cosa inquietante – ha spiegato Giuliani – è
una frase che ho sentito quando domenica siamo andati per la prima volta a
bordo, e cioè che sarebbe prassi normale che le persone clandestine vengano
affidate in custodia al comandante della nave quando vengono bloccate alle
frontiere per essere respinte. Quindi di fatto ci sono tanti cpt singoli e
sconosciuti». Nelle nostre acque territoriali. Rinchiuso per 17 giorni,
Mamadou, così si chiama il ragazzo della repubblica della Guinea, ha potuto
solo ieri mattina abbandonare la nave, parlare con un avvocato, raggiungere la
questura in compagnia della senatrice Haidi Giuliani e un interprete,
presentare domanda di asilo e avere un foglio che lo autorizza a fermarsi in
Italia sino al momento in cui saprà se è stata accolta o meno la sua richiesta.
«Non sapeva neanche in che città si trovasse, né quanto tempo fosse passato
dalla partenza – ha denunciato l’avvocato Alessandra Ballerini – nessuno in
questi giorni gli ha chiesto se voleva sentire un avvocato o un giudice. E non
ci si può nascondere dietro il diritto marittimo perché qui parliamo di una
persona reclusa contro la sua volontà in un porto italiano senza alcuna
convalida dell’autorità giudiziaria». Secondo le prime ricostruzioni, il ragazzo
africano, che ha 22 anni e a casa sua faceva l’elettricista, si è imbarcato
clandestino su una nave commerciale italiana, la Italroro One, il 5
gennaio a Dakar. In poche ore il comandante scoprì la sua presenza. Secondo la
versione del comandante il ragazzo aveva la possibilità di camminare sul ponte
e mangiare con l’equipaggio, mentre secondo l’interessato è stato chiuso in
gattabuia subito e infatti nella sua cabina c’erano resti di cibo. Sembra che
il comandante abbia anche tentato di sbarcarlo a Tenerife per affidarlo alle
autorità spagnole, senza successo, questione che a detta dell’europarlamentare
Agnoletto «è una scelta in contrasto col diritto comunitario perché la Spagna avrebbe dovuto
prendersi carico del ragazzo». Finalmente arrivato nel porto di Genova, il 14
gennaio è stata chiamata la
Polmare, che dopo aver preso le impronte digitali sembra
abbia intimato al comandante di riportarlo a Dakar. Il viaggio però sarebbe
ripreso solo dopo alcune riparazioni al molo Giano, dove la nave è attraccata.
La faccenda si è risolta solo grazie all’intervento di alcuni portuali.
Avvertito un consigliere comunale, Antonio Bruno, si è attivata l’avvocato
Alessandra Ballerini che finalmente domenica scorsa pomeriggio è riuscita a
parlare attraverso l’oblò col clandestino.«Quando siamo arrivati la nave aveva
lo portello tirato giù e sembrava una nave fantasma, c’erano solo dei ragazzi
fuori della cabina del recluso e il ragazzo dentro tremava, visibilmente
scioccato – ha raccontato Haidi Giuliani – Anche ora non dice quasi niente, ha
molta paura, non si fida di nessuno e i racconti sono discordanti. Sembra che
dalla Guinea sia arrivato a Dakar. Sicuramente qualcuno lo ha portato ma non si
capisce chi. Quindi è salito sulla nave e anche qui non è chiaro se si nascosto
o no. Solo una volta fuori della nave siamo riusciti a strappargli un sorriso».
A questo punto oltre all’eventuale apertura di un fascicolo su sequestro di
persona se il ragazzo africano sporgerà denuncia contro il comandante, non è
escluso che saltino fuori altri quesiti sulla proprietà della nave, le
condizioni del mercantile che appare in pessime condizioni e i contratti del
personale imbarcato.

«Se scoviamo qualcuno paghiamo noi
le spese del rimpatrio»

Intervista
Il caposervizio della politica dei trasporti di Confitarma: «Nelle navi
italiane non esistono celle per i clandestini. Il personale è preparato»
di Cinzia
Gubbini

Roma. Forse non tutti lo sanno ma, in base a una specie di prassi consolidata,
se una nave commerciale si ritrova a bordo una persona priva di documenti tocca
all’armatore accollarsi la spesa del rimpatrio della suddetta persona una volta
attraccata in un porto italiano. Lo rivela Luca
Sisto
, caposervizio della politica per i trasporti di Confitarma, la
Confindustria degli armatori: «Credo che la stessa cosa valga
in tutto il mondo. Di certo funziona così in Italia».

E voi che c’entrate?
Questa è una bella domanda, me la pongo anch’io.
Fatto sta che questa è la procedura, e francamente per gli armatori è molto più
conveniente pagare tutto il costo dell’organizzazione di un rimpatrio piuttosto
che rischiare di fare stare ferma una nave in banchina. In quel caso si spendono
parecchie migliaia di euro, mentre per rimpatriare un clandestino la spesa si
aggira su qualche migliaia di euro: si paga il biglietto, un eventuale
pernottamento, gli straordinari di tutte le persone coinvolte, la macchina che
lo viene a prendere in porto per accompagnarlo all’aeroporto. Non abbiamo mai
fatto una stima annua dei costi: l’obiettivo principale per un armatore è che
la nave riparta appena è stata scaricata la merce.

Ma questa prassi si baserà pure su una
qualche tesi..

Sì, certo: l’armatore e il comandante vengono
considerati responsabili del fatto che una persona priva di documenti sia
salita sulla nave senza permesso. In pratica siamo accusati di omessa
vigilanza. La cosa si commenta da sé visto che, come tutti sanno, una nave commerciale
è enorme e dotata di un equipaggio piccolo, circa venti persone. Chi vuole imbarcarsi clandestinamente in genere
lo fa di notte, a volte infilandosi addirittura dentro i container.
Una cosa mi sta a cuore: che non venga scambiato
questo fenomeno con quello degli scafisti..

E poi cosa accade?
Che la persona si palesa, oppure viene scoperta
in chissà quale meandro della nave.Teoricamente, e in base a tutte le
convenzioni internazionali e al diritto marittimo, il clandestino si troverebbe
già in Italia poiché la nave è come una città che galleggia.
Ma per iclandestini si fa questa distinzione: non
sono in Italia neanche quando la nave attracca in banchina.
Lo sono soltanto quando mettono piede a terra.
Comunque, una volta scovata la persona, per l’equipaggio scatta un problema di
sicurezza, come stabilito con maggiore precisione nel 2004 dal nuovo codice
Isps.
Bisogna considerare che si viaggia in acque internazionali:
quella persona, quasi sempre senza documenti, che magari non parla neanche la
lingua dell’equipaggio, potrebbe essere chiunque.

E in cosa consiste la sorveglianza?
Va tenuto sotto controllo. Non ci sono delle
procedure standardizzate. Certamente nelle navi italiane non esistono cabine-cella
per i clandestini e posso assicurare che l’Italia è una paese che tratta bene
chi è salito a bordo senza permesso: viene accolto e rifocillato.

Non si direbbe dalla storia di Genova….
Purtroppo
non conosco nei dettagli la vicenda. Posso dire che il personale italiano è ampiamente
preparato.

E se non le fanno sbarcare?
Può capitare in effetti. Devo dire che
ultimamente le cose sono cambiate: abbiamo trovato persone sensibili sia al
ministero dell’Interno che nei porti italiani. Il comandante che scopre un clandestino
a bordo per prima cosa deve avvertire la polizia di frontiera portuale del
prossimo attracco, poi l’agente che si trova a terra procede per organizzare
tutto in modo che non si perda tempo. Se le cose non vanno per il verso giusto,
la nave riparte con il clandestino a bordo, e se il porto successivo non lo fa
sbarcare si va avanti così. Chiaramente, è un problema enorme per l’equipaggio.
Anche perché di solito si parla di più di una persona. Tuttavia, per far capire
come funzionano le cose, posso citare la storia di due importanti compagnie
italiane, di cui non posso fare il nome, che hanno adottato due ragazzi
africani che si erano infilati a bordo clandestinamente. Ormai, entrambi fanno
parte del loro equipaggio..

Ma il fatto che dobbiate pagare i
rimpatri non comporta, come denunciano molti immigrati a Lampedusa, che le navi
che incrociano le loro carrette non si fermano alle richieste di aiuto?

Lo escludo. Quando si incontrano quei disperati
in mezzo al mare viene sempre dato un aiuto e segnalata la loro posizione alle
Capitanerie di porto. La guardia costiera italiana ha salvato migliaia di vite.
Posso dire che esistono molte leggende sulle altre bandiere: comandanti di
altri paesi che hanno preso a buttare a mare i clandestini per evitare che il
fenomeno si moltiplicasse. Con gli italiani non accade. Non è un caso,
d’altronde, che decidano sempre di salire sulle nostre navi.

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