di Maurizio
Chierici – fonte: Arcoiris TV
“Ecco perché ho
mandato il libro a Borghezio, Calderoli e agli X della marca trevigiana. X,
come xenofobia. Con quale tenerezza avrebbero accolto gli argentini in fuga dal
paese dei militari amici P2, trent’anni fa?”
E’ un racconto del
Natale di 30 anni fa dedicato al Bossi che urla sul palco di Milano assieme ai
suoi sindaci X; X come xenofobia perché riesce difficile definire in altro modo
quei primi cittadini che violano la legge per soffocare la vita dei lavoratori
stranieri con la diffidenza di chi pretende <garanzie>, ma solo dagli
stranieri considerati braccia e non donne e non uomini. Noi padroni bianchi
facciamo come ci pare. <Basta con la canaglia umana di Roma>, è la
minaccia del leader ruspante rivolta a chi si impegna a far rispettare la
costituzione. Trent’anni fa era il Natale di un’Italia angosciata dal
terrorismo, eppure gli italiani sembravano diversi.
24 dicembre 1977, l’ inverno più freddo del secolo.
Naviante ha 110 abitanti sulla strada tra Cuneo e Dogliani. Dietro i vetri di brina
di una scuola abbandonata aveva trovato rifugio un gruppo di argentini fuggiti
dai militari P2 al potere dopo il colpo di stato. Nella terra che consideravano
di nessuno, la vigilia non ricordava gli anni felici. Quel gelo e gli abiti
leggeri buttati nelle valige di chi scappa. <Mamma, la neve…>, è la
meraviglia di una bambina <col naso schiacciato sul vetro>. E’ il
ricordo di Maria Seoane, scrittrice
che ha raccolto i tremori della fuga in un libro tradotto anche in Italia e
diventato un film: <La notte delle
matite spezzate>, storia di una classe di ragazzi svaniti nelle cantine
delle squadre della morte. Oggi Maria Seoane fa la redattrice politica al <Clarin>, il più importante quotidiano di Buenos Aires. Laterza ne pubblica il saggio: <Argentina paese dei paradossi>.
<Era la prima volta – racconta – che vedevo danzare i fiocchi in un
paesaggio estraneo ma anche familiare nei ricordi della nonna che veniva dall’
Italia. Quei fiocchi provavano la mia mutazione esistenziale: stavo diventando
definitivamente una straniera >. La foto della vigilia di Navigante fissa
l’immagine di una ragazzona che beve maté, aroma della nostalgia. Navigante era
un posto < molto cattolico, molto contadino. Abitavamo la scuola abbandonata
dopo la caduta di Mussolini. Poco lontano Cesare Pavese aveva scritto ‘ Il
mestiere di vivere ‘. Fumando gauloises pensavo ai libri lasciati a Buenos
Aires e ai libri di Pavese. Anche i miei compagni d’esilio sognavano la strada
del ritorno come l’avevano sognata i loro nonni, anni fa, partiti per sempre
per l’Argentina a fare l’America. Non so perché pensavamo di mangiare da soli
nella desolazione gelata della notte santa. Mangiare e cantare, Sur o La Zamba de mi esperanza, ballo
della mia speranza. Non immaginavamo che cinque minuti dopo la mezzanotte
sarebbero arrivate tante persone dai paesi vicini: una carovana di Fiat piene
di regali per noi e per i bambini come se andassero a Betlemme. Mancava la
mirra, quella notte, ma era come se la nonna mi avesse detto Buon Natale >. Avevano
attraversato le frontiere con passaporti falsi e lo scappare sembrava una forma
di vita permanente fino quando si erano fermati in un angolo sconosciuto del
Piemonte. Lunghe discussioni se era possibile lasciar crescere i più piccoli
nella campagna che non era la loro campagna. Anche negli adulti restava il
dubbio sul vivere in un posto che consideravano fuori dal mondo, proprio lo
stesso dubbio che trent’anni dopo inquieta chi attraversa il mare alla ricerca
di una vita qualsiasi ma una vita normale. Per chi scappava nel 1976 e per chi
scappa oggi il problema è sempre lo stesso: quel po’ di terra sotto i piedi
sarebbe diventata per sempre la patria da conquistare ? Gli uomini venivano
dalla lotta armata contro la dittatura di Videla, Massera e degli altri
generali. Nascoste nelle valige, le tessere dell’Esercito Popolare di
Liberazione di Mario Santucho, assassinato assieme alla moglie Liliana,
fratelli, cognate, bambini, figli e nipoti di un vecchio magistrato e di una
vecchia insegnante nascosti in Svezia col dolore dei tanti familiari scomparsi.
Quando arrivano in Italia il Corriere della Sera dedica a questo dolore un
titolo cinque colonne, prima pagina: < Fratelli Cervi Argentini- Avevano
dieci figli, poi è venuta la dittatura >. Il vice direttore Barbiellini
Amidei non sa della P2 e la P2
provvede con rabbia a disinfettare i ricordi. Proibito parlarne. Intanto i
clandestini di Naviante mantenevano il manuale della clandestinità non solo per
restare vivi ma per non disperdere l’ideale dell’Argentina che avevano in mente
di ricostruire nell’ipotesi ( disperata ) di un ritorno alla dignità di
cittadini impegnati a fare politica seppellendo le armi quando le armi degli
oppressori fossero sparite. Lo ricorda Roberto Baravalle nel libro <
Esercizi di memoria >. E quando l’Argentina ricomincia a respirare tornano
nella Buenos Aires anno zero con un ‘ombra nel cuore. Perché la democrazia di
Alfonsin, primo presidente democratico, era minacciata dalle rivolte dei caras
pintada, militari duri. Una sera il presidente telefona ad Ernesto Sabato,
grande vecchio della cultura. Presiedeva il tribunale Nunca Mas, mai più. Non
una corte ufficiale. Sociologi, ricercatori, famiglie con tanti posti vuoti,
mettevano ordine nell’elenco di chi non era tornato, risalendo ai responsabili
di 30 mila delitti. < Stai lontano da casa per qualche giorno >, è l’
allarme del presidente al vecchio scrittore. Tragedie di ieri. Trent’ anni dopo
gli esuli sono tornati a Navigante con un libro che ripercorre l’esilio. Ne ho
condiviso la memoria in un teatrino di Cuneo durante gli incontri <
Scrittori in città >. Erano profughi politici dai documenti pasticciati;
clandestini in quell’ Italia insanguinata dal terrorismo. Eppure < si
presentavano col sorriso sulle labbra, mai lamenti e, per quel che contava,
rassicurati dalla solidarietà di un gruppo di giovani della sinistra e da ex
partigiani: lentamente la solidarietà si era allargata all’intera provincia
fino a coinvolgere istituzioni di vario orientamento, partiti politici,
sindacati >. Non doveva essere facile perché la dittatura argentina veniva
coccolata dai giornali e dalle Tv italiane. La Rizzoli della P2
appoggiava il regime in divisa. A Buenos Aires il suo < Il Corriere degli
italiani > imbrogliava milioni di italo-argentini invitandoli a difendere la
civiltà dei militari, < protettori della Chiesa minacciata dal comunismo dei
sovversivi >. L’ipocrisia imbrigliava noi che raccontavamo quei paesi. Enzo
Biagi rifiuta di scrivere sui campionati del mondo ’78 dopo la raccomandazione
di non fare lo spiritoso sul buon governo dei generali e non mettere in dubbio
la lealtà atletica e patriottica della nazionale e dell’allenatore argentino.
Ma la gente di Cuneo ragionava in modo diverso. Guardava i profughi in faccia e
ascoltava le tragedie delle famiglie vagabonde. Perché l’ Italia non era un
posto al di sopra di ogni sospetto e se i servizi, neanche tanto segreti e
infarciti dai piduisti di Licio Gelli, avessero allargato al nostro paese la
ragnatela del piano Condor, quei clandestini dai nomi inventati, dovevano
rifare le valigie o sparire chissà dove. Già le squadre nere scrivevano con
vernice nera minacce sui muri della scuola di Naviante. E i contadini e gli
intellettuali hanno capito: non potevano solo guardare. Sono accorsi Nuto
Revelli e i politici della sinistra in quel momento imbarazzati dall’ Unione
Sovietica che si era messa d’accordo con la dittatura argentina pronta a
garantire a Mosca lo status di cliente privilegiato nell’importazione del
grano. Ma la gente della Langa se ne è fregata ed ha condiviso i problemi delle
famiglie alla deriva. Trent’anni dopo sul palcoscenico di un teatrino di Cuneo,
Jorge Alma presenta il suo libro di ricordi: < < Tributo a Navigante-
Rivoluzionari argentini in terra di Langa >. Jorge Alma é un nome che non
diceva niente a nessuno. Quando aveva aperto le valige nella scuola abbandonata
si chiamava Cacho Narzole e per i signori accorsi ad riabbracciarlo il suo nome
è sempre Cacho.. Quale strada ha portato a Navigante i profughi dal terrore ?
Prima di lasciare la Casa
Rosada, il presidente Kirchner si è impegnato a ritrovare i
corpi di Mario Santucho e Liliana Delfino ( la moglie ) nascosti dagli
assassini in chissà quale fossa comune. Ecco: la famiglia Delfino viene da qui.
Luciana Delfino, cugina di Liliana, ha sposato Remo Masoero, partigiano uscito
vivo da Dachau. E Susi Fantino di Monforte d’Alba, si era legata a Julio
Santucho, uno dei fratelli sopravissuto nell’esilio romano. Con l’ossessione
del conservare identità e programmi politici nell’ipotesi del ritorno, Cacho e
gli altri alternavano al lavoro per sbarcare il lunario, la disciplina di una
pedagogia politica che li ha impegnati fino all’ultimo giorno d’esilio.
Attorno, la curiosità affettuosa del paese. Della città, di tante province. I
vicini di casa vogliono capire chi sono e perché scappano da un paradiso che
l’informazione italiana racconta < civile e tranquillo >. Capiscono
subito; capiscono lentamente Pci, Cgil, cattolici della sinistra: < Ogni
sera, quando scendeva il buio, la scuola si riempiva di gente. Domande e
risposte, discussioni nella notte con in fondo lo stesso dubbio: come mai avete
scelto la lotta armata ? tormento di chi vive l’ incubo delle Brigate Rosse. Un
giorno bussa il parroco. < Era agitato, noi più imbarazzati di lui. Dice che
un gruppo di signore gli aveva chiesto di benedire la scuola e chi la abitava.
Donne anziane, madri degli amici che frequentavamo, le stesse signore che
mandavano di nascosto dolci e marmellate: pacchi senza nome al mattino davanti
alla porta. Per testimoniare il loro affetto invocavano l’aiuto della grande
forza alla quale affidavano le preghiere, la forza suprema di Dio >.
Arrivano in processione assieme al sacerdote. < Fanno da coro alle sue
giaculatorie. Quando il parroco si trova davanti alla poster di Lenin, regalo
degli amici del Pci, non si scompone e agita la mano con maggior fermezza,
benedicendo il volto e il corpo della rivoluzione >. Trent’anni dopo Cacho
immalinconisce. < La voce che racconta questa storia non c’è più. A metterla
a tacere non sono stati né morte, né carcere. E’ sparita perché il mondo dove
si svolgevano le storie del nostro racconto, questo mondo è scomparso. Il mondo
di oggi non è né migliore, né peggiore, è solo diverso. Le sfide sono cambiate.
Le sfide di generazioni arruolate nelle file di coloro che lottavano per
costruire una società migliore, sembrano affievolite. Nelle nostre società
occidentali non sono molti coloro disposti a scarificare la vita per un’ideale
>. Il < sacrificio > evocato da Cacho non precipita l’idealismo nella
morte; misura realisticamente la solidarietà sulle abitudini dei giorni che
attraversiamo: benessere, vacanze, un posto al sole, diffidenza per le facce
diverse. E trent’anni dopo i profughi hanno capito di averla scampata bella.
Sono sopravissuti ai delitti e alle ramificazioni dei generali P2 che erano più
profonde di quanto sospettassimo un po’ tutti in quell’ Italia dalle
maggioranze cattolico-bancarie silenziose. Oggi li avrebbero impacchettati su
un volo delle linee aeree argentine. Cellule terroristiche < addormentate ma
pronte a colpire >. I loro nomi nell’elenco dei desaparecidos. E dei sogni
di chi provava a sopravvivere senza tradire la dignità,non avremmo saputo
niente.
Ecco perché ho mandato il libro a Borghezio, Calderoli e
agli X della marca trevigiana. X, come xenofobia. Con quale tenerezza avrebbero
accolto gli argentini in fuga dal paese dei militari amici P2, trent’anni fa ?
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