Selezionare
la popolazione: quanto tutela ancora la cittadinanza?
Intervista con Emilio Santoro,
Docente
di filosofia e sociologia del diritto all’Università di Firenze e fondatore di
Altro Diritto, centro di documentazione su carcere, devianza e criminalità.
a cura di Alessandra Sciurba, Progetto Melting Pot
Europa
“Sicuramente è importante che i
migranti tornino a Genova come nel 2001 quando anche io ho organizzato insieme
a vari amici la manifestazione dei migranti. Allora uno degli slogan
fondamentali era “siamo tutti clandestini”, ed oggi è sicuramente molto più
vero di allora: conta sempre meno lo status di clandestinità perché lo status
di non clandestino non garantisce più come garantiva nel 2001. Nel 2001 chi non
era clandestino poteva ancora fare conto su un certo numero di diritti. Oggi
stiamo vedendo che questi diritti vengono tolti anche a chi non è clandestino
ma è cittadino.
Siamo
tutti clandestini o siamo tutti cittadini diventa la stessa cosa. Per questo è
così importante che le rivendicazioni dei migranti e quelle dei cittadini
italiani si fondano e prendano consapevolezza che è solo un lasso temporale che
ci separa dal fatto di essere tutti cittadini e tutti clandestini allo stesso
tempo.”
Abbiamo intervistato Emilio Santoro per cercare di
analizzare con lui quanto sta avvenendo in questo momento in Italia rispetto
alla gestione della presenza dei migranti sul territorio, ma anche per interrogarci
più profondamente sui mutamenti che stanno investendo complessivamente la
nostra società. Un diritto che agisce in maniera diffrenziale a seconda dei
soggetti cui si riferisce, la detenzione amministrativa applicata a categorie
sempre diverse di popolazione e poi la manifestazione di Genova, le
rivendicazioni dei migranti che si legano a quelle dei cittadini italiani che
hanno ancora un’immagine diversa di come potrebbe essere il mondo.
D. Pensi che le retoriche di criminalizzazione dei migranti siano da
contestualizzare all’interno di una politica di governo della popolazione
attraverso la paura che investe in realtà non solo i migranti ma anche tutti
coloro che in qualche modo la subiscono?
R. Il problema è abbastanza complesso. Non so se esista una logica di
governo di popolazione attraverso la paura. La mia impressione è che non ci sia
proprio un governo della popolazione. Credo che il governo attraverso la paura
sia una conseguenza più che una scelta. Siamo stati abituati per duecento anni,
lungo tutta la storia dello Stato moderno recente, all’idea che lo Stato
governava la popolazione e che la popolazione era una risorsa fondamentale
dello Stato e che per questo lo Stato si prendeva cura e si preoccupava di
com’era la popolazione o di come doveva essere.
La popolazione era una risorsa economica e una risorsa
militare e per cui avere una popolazione di un certo tipo, con certe
caratteristiche, con capacità produttive e militari era la risorsa principale
dello Stato moderno. In fin dei conti il Welfare State non è nient’altro che
l’evoluzione di questa politica. Avere una popolazione sana e piena di risorse
umane è stato quindi l’obiettivo dello Stato ed esso l’ha curato con politiche
attive di gestione della popolazione. Da ormai vent’anni probabilmente in
Europa, un po’ prima (o forse molto prima)negli Stati Uniti, questa politica è
finita perché c’è l’idea che la
popolazione si seleziona e non si governa: “non mi serve più
costruirmi la popolazione”. Le grandi
migrazioni consentono di selezionare la popolazione e non più prenderla in
cura.
La conseguenza di tutto questo è che se uno non ha un
piano chiaro di selezione della popolazione, se non sa cosa vuole e cosa gli
serve della popolazione, si governa questo fenomeno di selezione soltanto con
prove d’errore. Si fa venire qui la gente, si vede se serve o non serve, se si
inserisce o meno nei settori e nei cicli produttivi e se si vede che non serve
si criminalizza e si cerca di espellere dal tessuto sociale. Più che parlare
quindi di un vero governo attraverso la criminalizzazione, direi che questa è
la conseguenza di una incapacità di governare il processo di selezione della
popolazione dopo aver rinunciato a governare la popolazione stessa, ed è una
conseguenza automatica.
La realtà è che non sappiamo chi vogliamo selezionare, lo
scopriamo solo dopo che sono arrivati qui e tutta l’enfasi che c’è per ora
attorno al disegno di legge Amato-Ferrero riguardo alla creazione di un canale
privilegiato per l’accesso di quelli che chiamano “i cervelli”, le migrazioni
altamente qualificate dal punto di vista lavorativo, contrasta con i recenti
dati di Gallino che dicono come noi abbiamo soprattutto bisogno di una grande
manodopera non qualificata.
Non si riesce a fare a tavolino un piano preciso: anche per la velocità dei
mutamenti economici e sociali, ogni piano diventa comunque già vecchio nel
momento in cui si attua. In questa situazione l’unica cosa che si fa è lasciare
possibilità alla gente di arrivare e poi stare a vedere cosa succede. Ciò significa
che appena ci accorgiamo che alcuni
disturbano o non servono li criminalizziamo o li rinchiudiamo nelle carceri,
nei centri di permanenza temporanea o nei manicomi che formalmente non esistono
più.
D. Eppure sembra che queste retoriche di criminalizzazione che si
abbattono soprattutto sui migranti cadano un po’ a fagiolo, servano anche per
introdurre delle modifiche permanenti all’ordinamento giuridico che la politica
ufficiale vuole portare avanti e che in qualche modo deve giustificare. In
fondo l’omicidio della signora italiana da parte del cittadini rumeno è servito
a fare passare d’urgenza parte di un “pacchetto sicurezza” che proprio sul
problema di come gestire la presenza dei comunitari aveva delle difficoltà.
Vorrei chiederti, rispetto a come sta funzionando in
questo momento il diritto nel nostro paese, la funzione che il razzismo
istituzionale ha nella sua applicazione: come si spiega il fatto che
l’aggressione di una donna da parte di un cittadino rumeno abbia come
conseguenza l’approvazione di un decreto legge che per quanto emendato resta
incompatibile con i principi della Costituzione oltre che con quelli che sono a
fondamento dell’Unione europea, mentre invece il fatto che un poliziotto che
spari a braccia tese da una parte all’altra dell’autostrada e ammazzi un
ragazzo un ragazzo che sta dormendo in macchina, susciti nelle Istituzioni
dapprima un tentativo di giustificazione e assolutamente mai una possibile
messa in discussione di quello che è l’ordine costituito?
Probabilmente anche l’iter processuale avrà due decorsi
assolutamente diversi pur trattandosi dello stesso reato. Ma che tipo di diritto è questo che sembra sempre
adottare pesi e misure differenti a seconda dei soggetti e utilizzare anche dei
pretesti che potremmo definire razzisti?
R. Purtroppo sono dei pretesti. Dico purtroppo perché se ci fosse un
razzismo vero a fondamento di queste cose sarebbero più facili da combattere.
Credo invece che i fenomeni siano molto più strutturali. L’omicidio della donna
da parte del rumeno è, come hai giustamente detto, un pretesto, mentre il
problema resta esattamente quello del governo della selezione della
popolazione. Abbiamo pensato per vent’anni in Italia che bastasse selezionare
la popolazione dei non comunitari. Ci stiamo accorgendo, per l’allargamento
della comunità europea ma anche per la modifica dei processi produttivi, che
non basta, che bisogna fare un passo ulteriore.
Questo passo è stato fatto sull’onda
dell’emozione suscitata dall’omicidio della donna da parte del rom rumeno giustificando
l’uso della detenzione amministrativa per i cittadini comunitari. Secondo me ci
sarà, e non tra moltissimo, il passo per cui estenderemo questo tipo di
detenzione anche ai cittadini italiani. Una volta che io adotto il criterio
della selezione della popolazione, la cittadinanza è un vincolo accettabile
fino a un certo punto. Da un certo punto in poi conviene
comunque scegliere le persone più capaci e più adatte al momento a inserirsi
nei meccanismi dello scambio sociale indipendentemente dalla loro cittadinanza.
Così la cittadinanza diventa un ostacolo. Fatti di questo genere consentono la
legittimazione emotiva di questi passaggi che sul piano costituzionale come sul
piano dell’ordinamento europeo sono molto duri.
Non ci scordiamo che, quando i costituenti hanno immaginato l’Art. 13 che
prevede in casi eccezionali la limitazione della libertà personale con la
convalida ex post del magistrato, pensava solo alle persone imputate di
un reato penale. Era la traduzione italiana dell’habeas corpus inglese.
Si è poi utilizzata quella procedura anche negli anni ’70 per giustificare il
Trattamento sanitario obbligatorio, ma lì tiravano in ballo anche il bene della
persona interessata, della salute stessa che meritava tutela ecc., e comunque
era un provvedimento molto limitato nel tempo.
Con la detenzione amministrativa
abbiamo completamente sforato e, una volta passato il principio che quello è lo
strumento privilegiato per eliminare quelle scorie della popolazione che non
sono funzionali, la cittadinanza è un vincolo che può reggere fino a un cero
punto e poi piano piano sparisce. È stato fatto il primo passo
per farla sparire e tempo che presto verrà fatto il secondo che in realtà, per
certe categorie come i tossicodipendenti è già avvenuto con la legge
Fini-Giovanardi. Tale legge prevede infatti una detenzione penale quasi
amministrativa per come viene immaginata e nella sua gestione perché di fatto
viene svincolata a tutte le garanzie del magistrato di sorveglianza che
diventano solo nominali.
È un processo che stiamo vivendo e di cui il razzismo è soprattutto una
giustificazione sull’onda emotiva. Se
il problema fosse solo il razzismo si potrebbe pensare di combatterlo con
strumenti culturali ma temo che la cosa sia molto più complessa e strutturale
e che siano i sistemi produttivi per come si stanno organizzando a livello
globale che vanno in questo senso e per cui è molto più duro fermarli e
contrastarli.
Per quanto riguarda il paragone tra i due omicidi, qui è chiaro che in un caso, quello dell’omicidio del rom, c’è una
logica per cui si prende la palla al balzo per giustificare un processo che
serve, mentre nell’altro caso, quello del poliziotto, c’è stata da un lato la
gestione completamente stupida dal punto di vista del governo stesso
e delle informazioni che ha dato su questo fatto – che sarebbe stato molto più
facilmente gestibile dicendo “c’è stato questo, stiamo indagando su cosa è
successo e su perché l’ha fatto e intanto abbiamo imputato un poliziotto”
invece che reagendo con un riflesso condizionato di autodifesa delle
istituzioni che rivela solo la stupidità delle istituzioni stesse – mentre, dall’altro lato, si è trattato d un caso
che ‘non conta molto’ perché non ha alcuna rilevanza strategica e non serve ad
‘aggiustare’ niente. Per cui ora farà il suo decorso che
dipende molto da chi sarà il p.m., il giudice, ma è chiaro che a livello di
struttura dell’ordinamento giuridico non avrà nessuna influenza. Non siamo nell’epoca in cui un caso come questo
questo porta a ridiscutere se ha senso mandare la polizia armata o meno.
D. Non credi che quello che ha fatto questo poliziotto possa essere
classificato non come momento di follia di un singolo ma vada letto invece
attraverso questo momento di delirio, di paranoia collettiva sulla sicurezza che
in qualche modo sembra legittimare atti del genere e logiche un po’ da far
west?
R. è chiaro che anche se si fosse trattato di un momento di delirio quel
poliziotto si è sentito legittimato a fare quello che ha fatto dal clima che
c’è, un clima in cui la gestione della popolazione è tolta alle regole e
lasciata al caso per caso e a chi gestisce caso per caso questa popolazione,
ovvero, nel 98% dei casi, non al giudice ma al poliziotto. Questo è il dato
rilevante: il poliziotto si sente
affidato questo compito di gestire e non è una gestione in senso banale di
condotta, ma è la gestione all’interno di un discorso che traccia un confine
per cui o si è ‘dentro’ o si è automaticamente pericolosi. Chi è ‘fuori’, non è
fuori e marginale, è fuori e pericoloso.
Per cui il poliziotto si fa carico della difesa della parte sicura e garantita
della popolazione e questo lo legittima sicuramente a compiere atti di questo
genere. Al di là se si tratti di atti di follia o meno: anche il folle ha un
orizzonte cognitivo delle cose fattibili e non fattibili e, sicuramente, in
questo orizzonte cognitivo questo clima conta moltissimo.
Rispetto ai rumeni, l’Italia poteva benissimo fare la
scelta che è stata fatta in molti altri paesi dell’Unione europea di mettere
dei limiti all’ingresso dei rumeni e non l’ha fatto, tra l’altro con l’accordo di
maggioranza e opposizione. Perché? Questo nessuno lo dice, ma nessuno ha
pensato di dire: "manteniamo i flussi regolamentati dei rumeni" e non
lo ha fatto perché sicuramente c’è un
grande interesse ad avere qui manodopera a buon mercato. Ma si
sapeva benissimo che ciò avrebbe comportato la presenza di persone marginali e
via dicendo, c’erano prima e ci saranno a maggior ragione dopo. Però si è detto
che non importava, che era un rischio che andava bene correre, perché i
vantaggio erano di più. Automaticamente,
quindi, è stato detto poi alla polizia di gestire questa presenza direttamente
sul terreno…
D. rispetto a quanto dicevi prima affermando che la detenzione
amministrativa ha già compiuto il suo primo passo di pericolosissima estensione
sui cittadini comunitari, e che può darsi che venga anche allargata ai
cittadini tout court, rispetto al fatto che la Bossi-Fini si estende
anche ai cittadini comunitari, che cosa dobbiamo allora pensare della
cittadinanza nazionale ma soprattutto di quella europea in via di formazione? Quali
rimangono veramente i contenuti di questa cittadinanza? E quando a dicembre i
cittadini di altri nove paesi avranno la libertà di circolazione all’interno di
tutti gli altri Stati membri, che cosa pensi che succederà? Come si sta
ridisegnando sulla base di tutto quello di cui stiamo parlando la cittadinanza
europea?
R. Io credo che la
cittadinanza conterà sempre meno. Come accade per tutti quanti i titoli che
danno accesso ad un certo numero di diritti, essi contano molto solo quando
sono molto difficili da conquistare e sono riservati a poche persone.
Via via che si estende il diritto poi
si trovano di fatto altri meccanismi di esclusione che non è più dal diritto come
titolarità sulla carta ma come titolarità effettiva.
Il caso del decreto legge di Amato è un esempio evidente. Più
allargheremo la cittadinanza europea più questa cosa succederà nel bene e nel
male: da un lato stiamo andando verso una cittadinanza universale e dall’altro,
come era abbastanza ovvio prevedere, una
cittadinanza universale è una cittadinanza fittizia che non garantisce nessuno
e nessun diritto. La libertà di circolazione consentirà alle
persone di venire qui ma farà pendant con l’idea che noi comunque
potremo usare la detenzione amministrativa e rispedirle a casa. Ripeto che
secondo me arriveremo a questo anche per i cittadini italiani, salvo che non li
potremo rispedire a casa perché a casa ci sono già… verranno messi in
detenzione amministrativa senza violazione del codice penale e direi che in
parte sta già succedendo.
D. Alla luce di tutto quello che sta succedendo sembra acquistare
tantissimo significato il fatto che il
17 novembre alla grande manifestazione di Genova anche i migranti torneranno
a Genova come a Genova erano nella straordinaria manifestazione del 2001 che ha
aperto quei tre giorni di protesta alla fine drammatici.
Sembra infatti chiaro in quale modo le lotte dei migranti si leghino a quelle
di tutti gli italiani che a Genova vanno a chiedere rispetto della democrazia e
dei principi di uguaglianza e a lottare contro una giustizia dei tribunali che
riscrive la storia in base a verità che sembrano soltanto prodotte dal potere e
che penalizzano chi ha il coraggio di dissentire in ogni modo con l’ordine
costituito. Qualunque tipo di alterità in questo momento sembra pericolosità…
R. No, non qualunque tipo, solo l’alterità non funzionale. Siamo invece
di fronte ad una società che ha molto bisogno di alterità rispetto alla
differenziazione del mercato e dei suoi servizi, anche dei servizi culturali e
via dicendo. Qualunque tipo di alterità è tendenzialmente funzionale ma il
problema è ciò che volta per volta è contingentemente funzionale e ciò che non
lo è.
Sicuramente è importante che i migranti tornino a Genova
come nel 2001 quando anche io ho organizzato insieme a vari amici la
manifestazione dei migranti. Allora uno degli slogan fondamentali era “siamo
tutti clandestini”, ed oggi è sicuramente molto più vero di allora: conta sempre
meno lo status di clandestinità perché lo status di non clandestino non
garantisce più come garantiva nel 2001. Nel 2001 chi non era clandestino poteva
ancora fare conto su un certo numero di diritti. Oggi stiamo vedendo che questi
diritti vengono tolti anche a chi non è clandestino ma è cittadino.
Siamo
tutti clandestini o siamo tutti cittadini diventa la stessa cosa. Per questo è
così importante che le rivendicazioni dei migranti e quelle dei cittadini
italiani si fondano e prendano consapevolezza che è solo un lasso temporale che
ci separa dal fatto di essere tutti cittadini e tutti clandestini allo stesso
tempo.
(a cura di
Alessandra Sciurba, Progetto Melting Pot Europa)