Cultura di strada e violenza

foto tratta dal sito Progetto Ultrà«La guerriglia ultras
è cultura di strada. Per questo fa paura» «La responsabilità
dell’assalto alle caserme è delle istituzioni». Intervista al
sociologo urbano Massimo Ilardi, esperto di tifoserie e violenza urbana

di Eleonora Martini

“Più si è frustrati,
spaesati e più si ha bisogno di un nemico da combattere. Tanto più per strada,
nei territori che nascono dal conflitto. In una situazione di controllo
accentuato come quella che stiamo vivendo il conflitto si traduce il più delle
volte in devianza, in follia. Ma se le periferie da una parte diventano tristi,
dall’altra sono politicamente produttive. Non c’è un deficit di politica nelle
periferie urbane, semmai è la politica tradizionale ad essere inadatta. I nuovi
strumenti politici si trovano lì dentro: le periferie rimangono ancora i
territori dell’innovazione, della creatività, delle nuove forme di conflitto e
delle nuove alchimie sociali. Lì ci stanno i germi di un nuovo tipo di
relazione sociale
.”

«Il Ministro degli interni avrebbe dovuto dimettersi per
come ha gestito l’omicidio di Gabriele Sandri». La guerriglia degli ultras
romani? «Cosa si aspettavano, che gli ultras presentassero un’interpellanza
parlamentare? La loro è una cultura di strada, e sulla strada si esprime».
Massimo Ilardi non esprime una posizione di parte, ma il punto di vista di un
sociologo urbano che ha studiato a lungo i temi della violenza di strada.
Ilardi ha appena pubblicato per i tipi di Meltemi un’altra analisi della trasformazione
delle città: «Il tramonto dei non luoghi».

Cosa pensi
dell’assalto degli ultras alle caserme di Roma, domenica sera?

La responsabilità di quello che è successo va attribuita
all’atteggiamento incosciente e provocatorio del capo della Polizia e del
Ministro degli interni che hanno dato tre versioni diverse dell’accaduto. Credo
che Amato avrebbe dovuto dimettersi per come non ha saputo gestire l’evento
della mattina. Ovviamente non sto giustificando gli assalti di domenica sera,
ma non ha senso etichettare quella massa di persone solo come criminali o
facinorosi. Hanno risposto alle provocazioni sulla strada, come è nella loro
natura.

Che relazione c’è tra
la strada e gli stadi?

La cultura ultras è una cultura di strada, ma non è solo
questo. È anche una cultura che si inserisce in quella tradizione italiana che
politicizza immediatamente ogni manifestazione sociale. È molto diversa per
esempio in Inghilterra la cultura hooligans che non ha mai avuto la polizia
come nemico, mentre da noi l’odio contro la polizia unifica nel momento del
conflitto le tifoserie profondamente diverse tra loro. In Italia, almeno dagli
anni ’70 in
poi, la cultura ultras è antisistema per antonomasia. Proprio per questo il
tifoso medio guarda a destra, dove riconosce l’elemento più anti-istituzionale.
La sinistra d’altra parte si è sempre rappresentata come stato.

Non pensi che sul
mondo ultras si allunghi la mano della destra neofascista, come scrivono
Liguori e Smargiasse?

Loro fanno coincidere troppo la destra politica con la
cultura ultras. Quello che conta per gli ultras è la simbologia di destra che
rappresenta di più la carica anti-istituzionale. E l’Italia è l’unico caso in
Europa in cui l’ultras si comporta così, con una forte politicizzazione degli
eventi. È evidente che la cultura ultras è una cultura eversiva, che pone le
premesse di una nuova legalità. Che però è una legalità di strada, proiettata
immediatamente sulla strada. Questa fascinazione per la simbologia di destra
non ha niente di ideologico, non ha spessore politico. Anche se ovviamente le
culture della strada fanno sempre paura.

Alcuni degli
assaltatori di domenica sera sono stati accusati di terrorismo…

Una stronzata micidiale, perché non hanno nessuna
organizzazione stabile sul territorio. La cultura ultras si rende visibile solo
al momento dello scontro con la polizia, quando i tifosi invadono le strade.
Visto che negli stadi non può accadere più nulla.

È sulla strada quindi
che nasce questa paura che sembra attanagliare tutti?

Sì, la paura nasce dove mettiamo a rischio i nostri corpi.
Ma bisogna riflettere sul fatto che la strada sta tornando formidabilmente al
centro del nostro mondo in un’epoca in cui il virtuale sembrava avesse in mano
i destini di uomini e donne. La strada è ridiventata oggi il luogo massimo
dello spazio pubblico che è lo spazio della paura, del controllo, della
sicurezza ma anche del conflitto. Insomma lo spazio pubblico, dove si decide la
politica del territorio, non è un luogo pacificato. Quello dei nostri nonni o
dei nostri padri era creato dalle istituzioni, dalla parrocchia, dal partito.
Nelle metropoli oggi si creano diversi spazi pubblici e le istituzioni non
riescono a dominare questo spontaneismo.

Perché la strada sta
tornando centrale?

Perché è in crisi l’agire politico, il governo dei
territori attraverso i valori, le ideologie, i conflitti. Attraverso
l’indicazione chiara dell’amico e del nemico. In questa crisi le pulsioni e i
desideri si scaricano immediatamente sul territorio. E non c’è più mediazione
tra quello che vorremmo fare, quello che desideriamo, e quello che facciamo.
Insomma è venuta meno quella capacità che aveva la politica di proiettare sul
futuro le esigenze, i bisogni, i desideri usando valori e ideologie. Ora si
vuole tutto e subito. È un’eredità delle culture giovanili degli anni ’70 e ’80
che puntavano tutto sul presente.

Le periferie sembrano
ormai in balia della cultura neofascista e non solo per l’attività politica di
quei gruppi politici. Forse la destra è più brava a convogliare la rabbia?

Più si è frustrati, spaesati e più si ha bisogno di un
nemico da combattere. Tanto più per strada, nei territori che nascono dal
conflitto. In una situazione di controllo accentuato come quella che stiamo
vivendo il conflitto si traduce il più delle volte in devianza, in follia. Ma
se le periferie da una parte diventano tristi, dall’altra sono politicamente
produttive. Non c’è un deficit di politica nelle periferie urbane, semmai è la
politica tradizionale ad essere inadatta. I nuovi strumenti politici si trovano
lì dentro: le periferie rimangono ancora i territori dell’innovazione, della
creatività, delle nuove forme di conflitto e delle nuove alchimie sociali. Lì
ci stanno i germi di un nuovo tipo di relazione sociale.

Fonte Il Manifesto – 14.11.07

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