Liberi 5 pescatori tunisini

Liberati cinque dei
sette pescatori tunisini
Due ancora ai
domiciliari: il processo continua

di Fulvio Vassallo Paleologo – fonte MeltingPot

Sono stati liberati cinque dei sette pescatori tunisini
arrestati a Lampedusa l’8 agosto scorso dopo avere compiuto una azione di
salvataggio.
L’ASGI ( Associazione studi giuridici sull’immigrazione)
esprime la propria soddisfazione per la decisione della magistratura dopo il
parere favorevole della Procura della Repubblica di Agrigento e conferma il
proprio impegno nella difesa dei sette pescatori ancora imputati nel corso del
processo che riprenderà il 20 settembre prossimo.

Rimane ancora da rimediare quello che, al di là della
privazione della libertà personale di sette uomini che andrà risarcita nelle
sedi competenti, è stato il risultato immediato di questa vicenda, come
confermato da diversi comandanti di imbarcazioni da pesca, e da alcuni migranti
sopravvissuti a giorni di abbandono nel canale di Sicilia, una ulteriore
dissuasione nei confronti dei mezzi civili che avvistano imbarcazioni di
migranti in difficoltà. Nessuno interviene più, direttamente, con attività di
salvataggio, per le quali – nella migliore delle ipotesi- ci si limita a
lanciare un allarme radio alle autorità marittime. Per questo occorre procedere
alla modifica immediata del decreto ministeriale 14 luglio 2003 ed a una
interpretazione autentica dell’art. 12 della legge sull’immigrazione,, in modo
da chiarire una volta per tutte che le attività di soccorso in mare, seguite da
ingresso nelle acque territoriali, non integrano gli estremi del
favoreggiamento dell’ingresso clandestino.

La vicenda processuale che ha coinvolto i pescatori
tunisini rimane ancora aperta e sarà seguita con la massima attenzione, anche
da parte di osservatori internazionali. In una cronaca da Agrigento sulla
manifestazione per la liberazione dei sette pescatori tunisini sotto processo
per avere salvato 44 naufraghi nel Canale di Sicilia, l’inviato del Giornale
anticipa una “sentenza annunciata” e fornisce una ricostruzione dei fatti che
risulta in contrasto con quanto emerso nel corso del dibattimento, come si
potrà rilevare quando le registrazioni audio saranno riversate – speriamo con
la massima specificità – nei verbali scritti di udienza e questi verranno resi
pubblici.

Di fronte allo sgretolamento del castello accusatorio
costruito dalle autorità di polizia per ottenere un’altra rapida condanna di
presunti scafisti, magari con il silenzio di un distratto difensore di ufficio
e con la mediazione di un interprete nominato dal Tribunale, dal processo e
dalle decisioni più recenti della magistratura sta emergendo l’innocenza dei
pescatori tunisini, proprio a partire dalle contrastanti dichiarazioni delle
autorità di polizia intervenute al largo di Lampedusa.

Nel corso del dibattimento sono emerse nuove modalità di intervento
dei mezzi della capitaneria di porto, quando un rappresentante della guardia
costiera ha riferito ripetuti tentativi di incrociare la rotta dei pescherecci
al fine di dissuadere l’avvicinamento a Lampedusa. Esattamente quei tentativi
che hanno portato anni fa al disastro causato dalla nave militare Sibilla che
dopo simili tentativi di incrocio causò l’affondamento di una imbarcazione
carica di migranti, con decine di morti.

Ma anche se qualcuno della marina militare ricorda bene
questa vicenda, al punto da farne oggetto di una battuta, quello che è avvenuto
nel canale di Sicilia, secondo l’articolo apparso su Il Giornale, è stato “una
sorta di match race con affiancamenti e cambi di rotta improvvisi respinti da
tentativi di speronamento e andature sottobordo a zig – zag”. “ Quando
l’incontro-scontro in mare diventa inevitabile, da terra arriva l’ok del
magistrato di turno a permettere l’attracco dei pescherecci nel porto di
Lampedusa”, che peccato, sembrerebbe, non avere potuto assistere al momento
finale di questa “Coppa america per clandestini” come la definisce il Gornale.
Non sappiamo proprio chi ha tagliato per primo la linea del traguardo.

La cronaca del Giornale, su questo punto assai attendibile
anche per la fonte dalla quale evidentemente proviene, dimostra come viene
applicato in concreto, nelle acque del canale di Sicilia, il decreto
ministeriale 14 luglio 2003 che stabilisce le regole di ingaggio delle unità
della marina, della finanza e delle capitanerie di porto nelle attività di contrasto
dell’immigrazione clandestina a mare.

Un utile contributo per comprendere quanto sia stato
considerato veramente, dalle unità che sono intervenute nel corso di questa
operazione, e da chi ha impartito gli ordini superiori, il richiamo
all’assoluta preminenza dei doveri di salvaguardia della vita umana a mare,
doveri affermati, oltre che nello stesso regolamento, nella legge italiana e
nelle convenzioni internazionali. Un elemento di novità che preoccupa e
amareggia, dopo che per anni le unità della Marina militare italiana hanno
salvato migliaia di naufraghi nel Canale di Sicilia, intervenendo anche in
acque di competenza delle autorità maltesi e libiche.

Auspichiamo che l’Autorità Giudiziaria di Agrigento voglia
compiere tutte le opportune indagini per accertare se dai fatti occorsi durante
l’intervento di salvataggio dei pescherecci tunisini emergano ipotesi di reato.
In particolare, chiediamo che l’Autorità Giudiziaria:

a) provveda ad identificare e ad ascoltare come testimoni
tutte le persone che sono state coinvolte nell’azione di salvataggio condotta
dalle unità della Guardia di finanza l’ otto agosto 2007, di cui non è rimasta
traccia agli atti del processo, riconoscendo ai migranti sopravvissuti,
attualmente detenuti in centri di permanenza temporanea o in centri di
identificazione, il diritto di asilo o uno specifico titolo di soggiorno per
motivi di giustizia, senza procedere quindi all’espulsione o al respingimento,
come avvenuto in analoghi precedenti casi:

b) provveda a verificare se le modalità di ingaggio da
parte delle unità della Marina Militare e della Guardia di Finanza si siano
verificate nel rispetto delle norme del diritto internazionale del mare e del diritto
interno che pongono come valore primario la salvaguardia della vita umana a
mare;

c) valuti, in ogni caso, se la pratica di seguire o
affiancare a breve distanza le imbarcazione cariche di clandestini, o di
incrociarne la rotta a scopo dissuasivo senza intervenire tempestivamente con
azioni di salvataggio, integri ipotesi di reato;

d) voglia eventualmente trasmettere i risultati delle
indagini preliminari al Collegio di cui all’art. 7 della L. cost. 16 gennaio
1989 n. 1, in
considerazione della catena di comando delineata dal decreto ministeriale 14
luglio 2003, relativamente alle attività di contrasto in mare dell’immigrazione
clandestina, affinché effettui le dovute attività istruttorie per un più
compiuto accertamento dei fatti sopra descritti, al fine di verificare la
sussistenza di eventuali ipotesi di reati commessi, nell’esercizio delle
funzioni ministeriali, dal Ministro dell’Interno o da altri esponenti del
Governo, attivando la procedura di cui all’art. 96 della Costituzione.

Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo
ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione)

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