Ken Loach:
"Racconto l'immigrazione ma attraverso lo sguardo dei padroni"
Il regista inglese parla di "In questo mondo
libero…", che darà presentato in concorso a Venezia. Per la prima volta, in un suo film, il mondo del lavoro è
visto dalla parte di una "padroncina"
Intervista di Maria Pia Fusco su Repubblica.it
Roma – L'ultima sfida di Ken Loach si chiama In questo
mondo libero… Il tema è ancora quello dell'immigrazione, ma a differenza di
Bread and roses in cui il punto di vista era quello dei messicani a Los Angeles
o Un bacio appassionato sull'ultima generazione dei pakistani in Inghilterra,
stavolta, per la prima volta, il racconto è dalla parte degli sfruttatori, dei
"cattivi". Il film, sceneggiato come di consueto da Paul Laverty, è
in concorso a Venezia e sarà distribuito in Italia dalla Bim.
"Negli anni Novanta è cominciata la crisi della
sicurezza nel lavoro, si sono diffuse le agenzie di occupazione temporanea che
usano sempre più lavoratori stranieri. E nell'indifferenza generale lo
sfruttamento degli immigrati in Inghilterra è uno scandalo. Nel film ci sono le
motivazioni che spingono uomini e donne a venire qui in cerca di lavoro, ma la
protagonista è Angie, colei che li sfrutta", dice il regista.
Perché ha scelto una
donna?
"Angie è una trentenne con un figlio, ha subito
qualche sopruso, ha problemi ad andare avanti. Finché decide che deve fare
qualcosa prima che sia troppo tardi, non vuole il futuro modesto dei suoi
genitori e usa le sua capacità per organizzare in prima persona il commercio
degli immigrati. E' un personaggio più 'normale', più simile a tanti di noi,
meno prevedibile di un tipico capitalista. E' accattivante, simpatica, vivace,
piena di energie e di determinazione. Fa parte di una cultura, è il prodotto
della politica della Thatcher, che esaltava il senso degli affari e le capacità
imprenditoriali. Naturalmente nella competizione si indurisce, non può
permettersi storie d'amore. Nel sesso il comportamento è maschile, è lei che
sceglie il partner da portare a letto, come in genere fanno gli uomini".
Ma è anche spietata.
C'è una violenza sottile nel film, i personaggi sono quasi tutti negativi…
"C'è un personaggio positivo ed è quello del padre,
legato ai valori dell'integrità e dell'onestà. Lui non accetta la
giustificazione della figlia 'lo fanno tutti'. Però il film non giudica Angie,
bensì il sistema nel quale una persona come lei può prosperare, ed è un sistema
accettato ovunque nel mondo occidentale, non credo solo in Gran Bretagna".
Oltre alla Polonia e
all'Ucraina, il film è ambientato a Londra: c'è una ragione?
"Londra è il cuore dell'Inghilterra, il centro
dell'economia, e con circa due milioni di immigrati che lavorano in condizioni
illegali, lo sfruttamento è un elemento centrale, non un fatto che accade solo
ai margini dell'economia ufficiale. Con tutte le contraddizioni: da una parte
si riconosce che l'economia non sopravviverebbe senza la forza lavoro degli
immigrati, dall'altra la destra ne vorrebbe l'espulsione".
E' vero che nel film
lei e Laverty avete voluto evitare situazioni assai più dure di quelle
mostrate?
"Abbiamo fatto una ricerca prima di scrivere il film
e abbiamo sentito storie incredibili. Di norma gli immigrati pagano cifre
altissime ad associazioni mafiose per entrare nel paese – per un cinese ad
esempio la cifra è di 25 mila dollari, un debito che pagherà a vita – e senza
garanzie, cominciano a lavorare in un cantiere poi vengono lasciati per strada,
incidenti sul lavoro e morti tragiche tenute nascoste, turni massacranti,
quelli che vengono dal Bangladesh ad esempio lavorano ogni giorno per 14 ore
per due pence l'ora. Ma nel film, d'accordo con Paul, ho cercato di alleggerire
la realtà, vorrei evitare l'accusa del 'solito estremista provocatore'".
Pensa che con il
passaggio da Tony Blair a Gordon Brown la politica sull'immigrazione potrebbe
cambiare?
"Non certo in meglio. Brown ha solo un'immagine diversa
da Blair, più accattivante, più simpatico, ma la sostanza è la stessa".
Lei sembra più
pessimista del solito…
"Niente affatto. Se continuo a fare film come questo,
significa che non sono disperato, credo ancora che qualcosa si possa fare. E
non solo nel mio paese".
Che reazioni spera di
avere?
"So benissimo che da parte del potere non avrò
applausi, anzi sarò accusato di provocazione. Ma lo scopo non è quello di
provocare o di sconvolgere la gente con immagini o storie estreme. Del resto la
realtà della sfruttamento non è una novità, tutti, nella nostra vita di ogni
giorno, lo sfioriamo, basta entrare in un supermercato, nelle cucine dei
ristoranti, nei piani bassi di un albergo. Il film, se mai, è una sfida alle
certezze consolidate che la spregiudicatezza imprenditoriale e il profitto ad
ogni costo siano ormai essenziali all'economia e al progresso, che la
competizione spietata sia un valore, che tutto, anche gli esseri umani siamo
merce di scambio nel mercato mondiale. Non penso che sia questo l'unico modo di
vivere possibile, e se il film riuscirà a far riflettere qualcuno sulla
possibilità di trovare strade diverse e una comunicazione più umana avrò
raggiunto lo scopo".