Un’iniziativa per
restituire alla città l’immagine dignitosa che merita oscurata dai politici
locali Fonte
Meltingpot
”E’ tempo che quanti non si riconoscono
in questa pessima immagine facciano sapere, con ogni mezzo, che non condividono
affatto questa triste rappresentazione della trevigianità.”
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L’immagine di Treviso è profondamente cambiata negli
ultimi anni: la città ospitale e gentile del passato sembra, da tempo, solo un
ricordo. Ora appare rancorosa e chiusa, al pari di altri luoghi della sua
provincia. La responsabilità di questo mutamento di percezione è innanzitutto
del ceto politico locale, che governa altresì molti centri della Marca. Un ceto
che ha preso in ostaggio il “marchio” trevigiano; così come ha fatto con le
tradizioni popolari e religiose, distorcendone, distorcendone significato e
messaggio. Un ceto che, attraverso clamorose prese di posizione, ha forgiato
all’esterno un’immagine negativa della città, e alimentato all’interno
contrapposizioni durissime con chi non si allinea o dissente politicamente. Un
ceto, non meno parte della “casta” politica di altri, che alla parola “comune”,
contrappone una visione proprietaria della città, sintetizzata da espressioni
come: i “miei” cittadini, la “mia” polizia locale. Dimentico che le istituzioni
hanno come esclusivi “proprietari” i cittadini e non viceversa. Nel mirino di
questa claustrofobica concezione del mondo sono finiti di volta in volta gli
immigrati e i loro figli, i musulmani, i preti dissenzienti, gli intellettuali,
le donne, i comitati dei cittadini, i partigiani, gli omosessuali, gli
“sbandati”; ma anche cani, alberi, panchine, lanterne, biciclette. Un
consigliere comunale trevigiano (costretto poi a ravvedersi) ha persino
invocato metodi da SS contro gli immigrati, gli stessi che con il loro lavoro contribuiscono
a tenere in piedi il sistema produttivo e badano ai nostri anziani.
Le posizioni di sindaci, ex-sindaci e prosindaci, sono
troppo note per dare loro ulteriore spazio. Ma non si tratta solo delle
posizioni di questo o quell’esponente istituzionale, peraltro destinati a
passare. Si tratta di una cultura politica che, purtroppo, va oltre le sorti di
questo o quel personaggio e alla quale bisogna porre un argine prima che la
società trevigiana scivoli verso derive che potrebbero avere approdi incontrollati,
in particolare tra i più giovani. Una cultura politica che si nutre di parole
durissime, minimizzate irresponsabilmente da qualcuno come “posizioni
folcloristiche”. Parole, invece, tanto più gravi perché pronunciate da
esponenti istituzionali, ai quali dovrebbe essere chiesto, per la carica che
rivestono, un senso di responsabilità maggiore degli altri. Parole che generano
profondo imbarazzo.
E’ noto, purtroppo, a chi viaggia per l’Italia e nel
mondo, per motivi professionali, di studio o per turismo, come Treviso sia oggi
riconosciuta, e bollata dall’esterno, come una sorta di culla dell’inciviltà, a
prescindere dal suo decoro esteriore. Nelle presentazioni di circostanza dire
che si è di Treviso, o di qualche centro della Marca divenuto noto alle
cronache nazionali sull’onda di dichiarazioni o provvedimenti che mai si
sarebbe messo in conto di ascoltare o vedere, è ormai accompagnato da
un’immediata presa distanze da chi governa localmente. Una sensazione
spiacevole, mai provata in passato. “Treviso?, no grazie” sta diventando un
infelice ma diffuso slogan. Un marchio negativo potenzialmente dannoso, nel
tempo, persino per il turismo e l’economia. Pensare che nell’era della
comunicazione globale “detti e fatti” trevigiani restino all’interno della
Marca o delle Mura è pura illusione. Ne parlano le tv, grandi giornali
nazionali e internazionali come l’International Herald Tribune o Le Monde.
Persino Al Jazeera ha puntato i suoi fari su Treviso. Siti e blog in Internet
sono pieni di commenti negativi. Nella frequentatissima You- Tube si possono
vedere, sotto forma di ridicoleggiante rap, video che non mostrano certo il
volto migliore della trevigianità. Nelle biblioteche delle università europee
sono ormai diffusi articoli e saggi nei quali città e provincia appaiono luoghi
in cui prosperano razzismo e xenofobia.
Sappiamo che Treviso e la Marca non sono solo questo. La società trevigiana
è caratterizzata dalla generosità, che si esprime nelle mille iniziative di
volontariato, cattolico e laico, nella rete di cooperative sociali. Una realtà
che ha dato vita a un tessuto produttivo operoso, che ha buone scuole,
strutture sportive senza eguali, fondazioni culturali di tutto rispetto, che ha
prodotto energie artistiche ed intellettuali che ci sono invidiate altrove,
ostracizzate e spesso costrette all’esilio culturale. Larga parte di questa
società non discrimina le persone in base alla religione, alla sessualità, al
colore della pelle. Non pensa che impedire alle persone di pregare sia una
conquista di civiltà. Non si riconosce in battaglie ideologiche che inneggiano
a contrapposizioni frontali. Non esulta per la tristemente nota Ombra longa.
E’ giusto che questo positivo patrimonio collettivo sia
oscurato da una nuova fama che non piace a noi come a molti? E’ tempo che quanti non si riconoscono in questa pessima
immagine facciano sapere, con ogni mezzo, che non condividono affatto questa
triste rappresentazione della trevigianità.
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