L’inchiesta: così ci vedono tate e
colf che lavorano nelle nostre case. Sondaggio dell’Iref su 1000 lavoratori
domestici stranieri.
"Anziani trascurati, e i bimbi…" di Sara
Strippoli, fonte Repubblica.it
Parola di tata straniera: i bimbi italiani sono
maleducati. E sfatiamo anche lo stereotipo che vuole che gli italiani siano
così prodighi di attenzioni per i loro anziani. Le badanti, filippine o romene
che siano, non sono affatto d’accordo con l’immagine tradizionale che dipinge
gli italiani rispettosi di nonni e genitori. Se lo sguardo è quello dei
lavoratori stranieri, quel welfare "fatto in casa" che permette alle
famiglie italiane di conciliare casa e lavoro, opprimente burocrazia e tempo
libero, il giudizio complessivo non è così lusinghiero come forse avremmo
sperato. La stilettata arriva da una ricerca dell’Iref, l’Istituto
di ricerche educative e formative che nel 2007 ha condotto
un’indagine su più di mille collaboratori domestici che oggi sarà presentata a
Vercelli.
Le tate ucraine o romene che hanno risposto alle domande
del questionario bocciano il modello educativo italiano. Oltre la metà, il
50,9%, esprime un giudizio molto critico: i nostri bambini non brillano per
educazione. Capricci, vizi, tendenza a dare ordini piuttosto che ad obbedire.
Secondo chi proviene da una cultura diversa, ma passa con loro gran parte della
giornata, sarebbe auspicabile una maggiore severità da parte dei genitori.
Soltanto il 23% delle baby sitter pensa che i bimbi affidati alla loro
sorveglianza siano abbastanza educati, mentre un altro 25% ha mantenuto una
posizione più neutrale, e giudica i diavoletti di casa né maleducati né
educati. Ad essere più severe sono le tate che non hanno figli. Fra quelle che
invece conoscono le fatiche di padri e madri all’epoca della play station,
l’indulgenza è maggiore: il 26% chiude un occhio e dice che i bimbi sono
sufficientemente educati.
Gli adulti italiani sono bocciati anche sul rapporto con
gli anziani genitori. Il 49,5% degli immigrati che hanno risposto alle domande
del questionario non condivide l’opinione che "in Italia gli anziani sono
trattati bene e sono molto rispettati". Un giudizio non contestualizzato,
spiega la ricerca dell’Iref. È infatti plausibile che questa opinione sia
condizionata dalle singole esperienze lavorative. Poiché la maggiore richiesta
di cura è confinata a persone in età molto avanzata, "chi è chiamato ad
assistere e curare potrebbe percepire come molto alto il numero di famiglie che
non si occupa dei propri vecchi preferendo lasciarli alle cure di
estranei".
Se poi sotto la lente di ingrandimento dei lavoratori
stranieri mettiamo anche il rapporto quotidiano con le famiglie italiane che li
ospitano, la quotidianità della relazione si colora di note curiose, che molto
contribuiscono a svelare le difficoltà e i tentativi di trovare una formula per
coniugare un legittimo desiderio di intimità con la presenza in casa di una
persona che ha spesso abitudini alimentari e modelli di comportamento molto
distanti. La maggioranza degli intervistati, il 59%, non si sente trattato
male, una percentuale che sale al 75% se il lavoratore vive nella stessa casa.
Il rapporto si riduce invece a mero scambio salario-prestazione nel caso in cui
non ci sia coabitazione. "Parlano con me solo per darmi ordini",
risponde il 3,2% degli intervistati; "mi trattano come una semplice
dipendente", dice il 37,2% delle lavoratrici. Qualcuno ha però raggiunto
un elevato grado di intimità a partecipa anche ai momenti di vita familiare: è
invitato ai compleanni di famiglia il 37,2% e siede a tavola per pranzi e feste
il 17,1% dei lavoratori conviventi. Un numero che si dimezza se colf e badanti
vivono a casa loro. L’intimità maggiore, rivela la ricerca, la conquista chi si
occupa di attività di cura: il 53,8% dice che un pasto condiviso è pratica
abbastanza abituale, mentre chi si limita a fare le pulizie è costretto ad una
maggiore distanza; il 72,1% non si è mai seduto a tavola con il suo datore di
lavoro.