L’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione
di Gabriele Del Grande – Fortress Europe
Non si ferma la strage alle porte della Fortezza Europa. È stato uno dei mesi
con più morti quello di dicembre. Un mese iniziato col summit euro-africano di
Lisbona, e proseguito con l’allargamento a est dell’Area Schengen e con la
firma dell’accordo italo-libico per il pattugliamento congiunto. Un mese finito
con 243 vittime tra migranti e rifugiati, dei quali 120 nel mar Egeo, 96 sulle
rotte per le Canarie, 17 lungo le coste algerine, e 10 al largo dell’isola
francese di Mayotte, nell’Oceano Indiano. Un tragico bilancio, che chiude un
anno, il 2007, che si lascia alle spalle almeno 1.861 morti. Erano stati 2.088
nel 2006. Difficile confrontare i dati, visto che si basano esclusivamente
sulle notizie riportate dalla stampa e quindi non costituiscono cifre
esaustive. Ma esaminando solo il numero delle vittime in mare, l’ultima tappa
dei viaggi, i morti del 2007 sono 1.684, contro i 1.625 dello scorso anno. Il
che indica un netto aumento delle vittime, dato che gli arrivi sono
sensibilmente diminuiti in tutta la frontiera sud – con l’eccezione di Malta,
Cipro e Grecia – a causa delle migliaia di respingimenti in mare operati
dall’agenzia comunitaria Frontex, e dalle decine di migliaia di arresti operati
in tutto il Nord Africa. I morti al largo delle Canarie sono passati dai 1.035
del 2007 ai 745 del 2007, ma a fronte di un calo degli arrivi del 75%. Nel
Canale di Sicilia le vittime censite da Fortress Europe sono 551 contro le 302
dello scorso anno e con una diminuzione degli arrivi del 20%. Disastrosa la
situazione dell’Egeo: 257 morti censiti, contro i 73 del 2006, anche con un
raddoppio del numero di migranti sbarcati sulle coste della Grecia. Ad ogni
modo, attraverso le rotte di tutto il Mediterraneo e dell’Atlantico, nel corso
del 2007 sono arrivate in Europa meno di 50.000 persone, ovvero meno di un
terzo dei 170.000 immigrati che solo il Governo italiano ha richiesto per
soddisfare il proprio fabbisogno di manodopera straniera con il decreto flussi
del 2007, attraverso i recenti click days.
Welcome to Seferihisar. Sulla frontiera Turchia-Grecia,
l’anno non poteva finire peggio. Nella sola notte del 10 dicembre, un naufragio
(VIDEO) al largo delle coste di Seferihisar, nella provincia di Izmir, ha fatto
più morti che non durante tutto il 2006. Erano partiti in una notte di tempesta
per evitare i controlli, ma la nave si è rovesciata in mare con tutti gli 85
passeggeri. Soltanto 6 i superstiti. La loro meta era l’isola greca di Chios,
distante meno di un’ora di navigazione. Tra i 51 cadaveri ripescati nelle ore
successive, quelli di 10 egiziani, 17 siriani e 10 palestinesi. Segno che la Turchia si conferma una
rotta tanto più frequentata quanto più si restringono le altre, ad esempio
quella libica. Nelle due settimane successive altri due naufragi causano 8
morti a Bodrum e 32 a
Lesvos. È l’anno nero dell’Egeo. Almeno 257 vittime, contro le 73 del 2006.
Almeno 885 annegati dal 1994. Ma ad aumentare sono stati anche gli arrivi. Dati
ufficiali parlano di 10.000 persone sbarcate contro le 4.000 del 2006 e le
3.000 circa degli anni precedenti. A Samos sono arrivati 2.404 migranti in otto
mesi, contro i 1.580 di tutto il 2006 e i 455 del 2005. Anche l’Acnur ha
espresso preoccupazione, in particolare per gli oltre 3.500 iracheni che hanno
chiesto asilo nei primi sei mesi dell’anno in un Paese, la Grecia, che non ha mai dato
asilo ad un solo iracheno. Il diniego delle domande d’asilo in Grecia è
sistematico: su 13.345 richieste d’asilo nei primi sette mesi del 2007, sono
stati riconosciuti solo 16 rifugiati e 11 protezioni umanitarie. Lo 0,2%. Tutti
gli altri vengono deportati in Turchia. E parliamo soprattutto di cittadini
kurdi, ovvero richiedenti asilo riammessi in un Paese che sta bombardando il
Kurdistan irakeno, alla faccia del Paese terzo sicuro. L’accordo di
riammissione tra Grecia e Turchia risale al 2001. Dall’aprile 2002 al novembre
2006, la Grecia
ha chiesto alla Turchia la riammissione di 23.689 migranti arrestati perché
senza documenti di viaggio. La
Turchia ne ha formalmente riammessi solo 2.841. Gli altri
sono stati semplicemente abbandonati alla frontiera terrestre, respinti in mare
o costretti a gettarsi in acqua davanti alle coste turche, come gli otto che
annegarono sotto gli occhi della Guardia costiera greca davanti a Karaburun il
26 settembre 2006. Il governo turco parla di 11.993 migranti bloccati dalle guardie
di frontiera greche e abbandonati in territorio turco dal 2002, di cui 3.047
solo nel 2006. Tuttavia un recente accordo tra le Guardie costiere dei due
Paesi dovrebbe portare ad una maggiore collaborazione per i respingimenti in
mare.
Meno 60%. Tanto vale la diminuzione degli arrivi sulle coste
spagnole nel 2007. Meno della metà del 2006. Eppure i morti sono ancora troppi.
La nostra rassegna stampa parla di 876 morti nel 2007 contro i 1.250 del 2006.
Gli ultimi 113 a
dicembre, 91 dei quali in un solo giorno, quello stesso maledetto 10 dicembre
in cui a Seferihisar, in Turchia, perdevano la vita 79 persone. Quella notte in
50 sono annegati di fronte alle coste del Sahara occidentale, lungo le quali le
Forze ausiliarie marocchine hanno smontato i propri avamposti anti-emigrazione
in seguito alla crisi con la
Spagna dopo la visita del re spagnolo a Ceuta e Melilla, a
novembre. Le altre 40 vittime hanno perso la vita molto più a sud, nelle acque
senegalesi. La loro piroga era partita dall’isola di Djogué, in Casamance, ed
era diretta alle Canarie, con 130 passeggeri a bordo. Quella notte si è arenata
a Yoff Tonghor, a Dakar, dopo 12 giorni di navigazione alla deriva, su rotte
sempre più lunghe, per evitare i pattugliamenti europei di Frontex nelle acque
senegalesi. Nel corso del 2007 oltre 1.500 migranti sono stati fermati
nell’Atlantico dalle navi di Frontex, mentre i senegalesi rimpatriati dal 2006
sono oltre 18.000. Il numero degli arrivi alle Canarie è crollato: meno 75% nei
primi nove mesi dell’anno. Ma da Dakar si continua a partire. E si continua a
morire. Per evitare i pattugliamenti di Frontex si naviga fino a 300 miglia al largo
dalle coste africane restando in mare anche 12 giorni con grandissimi rischi.
Lo testimonia lo stato di salute dei migranti che arrivano a Las Palmas, sempre
più spesso in gravi condizioni di disidratazione e ipotermia proprio per la
durata dei viaggi. Lo scorso sei novembre, una delle piroghe venne stata
soccorsa a La Güera,
al confine tra Mauritania e Sahara occidentale. Vagava alla deriva da tre
settimane, dopo un guasto al motore. A bordo c’erano 101 passeggeri. Gli altri
56 che erano partiti con loro da Ziguinchor, in Senegal, venti giorni prima, li
avevano gettati in mare dopo che erano morti di stenti. Ed è preoccupante l’escalation
delle vittime degli ultimi mesi. 113 morti a dicembre, 200 a ottobre e 119 a novembre. E nessuno può
sapere quanti siano i naufragi fantasma, che si consumano in pieno oceano e
sfuggono alla stampa, come quello di ottobre, la cui unica eco è stata il
funerale collettivo celebrato a Kolda, in Senegal, dalle famiglie degli oltre
150 dispersi in mare.
Portugal. Le rotte si spostano in base ai pattugliamenti. Il 17
dicembre si è aperta la rotta portoghese. 23 cittadini marocchini sono sbarcati
a Olhao, nel sud del Portogallo. Mentre più a est, si è ormai affermata la
rotta algerina per le isole Baleari, parallela a quella della Sardegna. Nel
2007 gli arrivi sono impennati del 7.000%, passando dagli 8 del 2006 ai 577 dei
primi undici mesi di quest’anno. Un dato che non deve essere sfuggito agli
esperti di Frontex, che nelle acque dello Stretto di Gibilterra hanno da poco
concluso l’operazione Indalo (305 migranti fermati in un mese) e che nel 2008
potranno contare su un budget doppio rispetto al 2007. L’aumento degli sbarchi
corrisponde a un maggior numero di arresti in Algeria: 1.500 quest’anno, dei
quali 1.485 algerini. E anche i morti aumentano. La guardia costiera algerina
ha ripescato 83 cadaveri quest’anno. Lo scorso anno erano stati 73, e nel 2005 soltanto
29. Dalla Tunisia e dal Marocco il passaggio è sempre più difficile e così le
rotte algerine sono sempre più inflazionate.
Il patto col diavolo. Che quello di Marcella Lucidi non
fosse stato un viaggio di piacere lo si era capito da subito. Ma nessuno si
aspettava tempi tanto rapidi. Invece il 29 dicembre, esattamente 40 giorni dopo
la missione a Tripoli del sottosegretario, il ministro italiano dell’Interno,
Giuliano Amato, è volato in Libia per firmare gli accordi di pattugliamento
congiunto con il ministro libico degli esteri. I mezzi italiani opereranno in
acque libiche, con equipaggi misti, e i migranti intercettati saranno respinti
nei porti del Paese africano, detenuti e rimpatriati. L’accordo prevede anche
la fornitura (con un finanziamento Ue) di un sistema di controllo per le
frontiere terrestri e marittime libiche, come già richiesto dalle autorità
libiche alla missione di Frontex che visitò il paese nel maggio 2007. La
direzione e il coordinamento delle attività di pattugliamento e di addestramento
saranno affidati ad un Comando operativo interforze, con sede in Libia. Il
responsabile sarà libico, mentre il vice comandante sarà designato dal Governo
italiano. In caso di necessità il Comando potrà anche richiedere l’intervento
dei mezzi italiani schierati a Lampedusa. Per Amato si potranno così “salvare
molte vite umane”. Ma sulla questione libica pesano come un macigno le
gravissime denunce di Amnesty International, Human rights watch, Afvic e
Fortress Europe: 60.000 migranti arrestati e deportati nella Grande Jamahiriyya
solo nel 2006, comprese donne e bambini, migranti economici e rifugiati
politici. Arrestati durante retate di massa delle forze di polizia libiche,
detenuti senza processo per mesi o per anni, in condizioni degradanti, e quindi
deportati, anche se rifugiati politici – come i 600 rifugiati eritrei di
Misratah, sul cui destino pende ancora la possibilità del rimpatrio – oppure
mandati a morire, abbandonati in mezzo al deserto alla frontiera libica
meridionale con Niger, Chad, Sudan e Egitto. Per l’ennesima volta, in nome del
controllo delle frontiere europee si calpesta sulla pelle di migranti e
rifugiati l’inviolabilità dei diritti fondamentali della persona.
Diritto e pipeline. A chiederlo era stata Amnesty International con una
lettera inviata alla Commissione europea e a Palazzo Chigi, il 15 settembre
2007. “La cooperazione con la
Libia non può crescere senza reali garanzie sul rispetto dei
diritti umani dei migranti che saranno respinti”. Poche settimane dopo,
rispettivamente il 4 e il 16 ottobre 2007, tre interrogazioni parlamentari,
rivolte al Governo italiano e alla Commissione europea, chiedevano conto della
reale situazione di migranti e rifugiati in Libia, allarmati dalle sempre più
gravi denunce della società civile. Sono passati tre mesi. L’accordo con la Libia è stato siglato. E
alle interrogazioni non è stata data nessuna risposta. L’accordo servirà a
respingere verso le coste africane i migranti intercettati. Anche se il 60% dei
circa diecimila richiedenti asilo in Italia sono arrivati proprio da quelle
coste. Perchè a Lampedusa arrivano i profughi della guerra civile in Somalia, i
rifugiati del Darfur, dell’Etiopia, dell’Eritrea, della Palestina, della
Liberia e della Sierra Leone. Eppure l’articolo 19 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea vieta le deportazioni collettive, e la
riammissione di un cittadino straniero in un Paese terzo dove rischi la
tortura, così come lo vieta la
Convenzione internazionale contro la tortura dell’Onu, senza
parlare della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati. Convenzione che la Libia non ha mai firmato,
sebbene ospiti una missione dell’Acnur, a Tripoli. Ma d’altronde le stesse
Nazioni unite cosa possono recriminare alla Libia? Dopotutto la Libia è stata nominata ad
ottobre 2007 membro temporaneo fino al 2009 del Consiglio di sicurezza
dell’Onu, organo nel quale per il mese di gennaio 2008 coprirà la presidenza di
turno, quando fino al 2003 lo stesso Consiglio di Sicurezza imponeva sanzioni a
Tripoli! E Gheddafi è stato recentemente accolto a braccia aperte da Sarkozy e
Zapatero, e il suo ministro degli esteri ha recentemente incontrato il
segretario di Stato Usa, Condoleeza Rice! Insomma, ancora una volta accordi
commerciali, investimenti e forniture di gas in cambio di armi, prevalgono sui
diritti delle persone.
Diritto, e rovescio. Lungo le frontiere, sembra
terminare anche il confine del diritto. Dopotutto, sebbene in modo illegale, i
respingimenti in mare si sono sempre fatti. Fortress Europe li ha denunciati
raccogliendo le testimonianze di rifugiati respinti in Tunisia e in Libia. E lo
stesso comandante della Guardia di Finanza, Romeo Cavallin, nel 2004 ammetteva
allegramente che i respingimenti verso la Tunisia erano una prassi abituale. E se parliamo
di pratiche illegali, è perchè fu la
Corte europea dei diritti dell’uomo, sostenuta da una mozione
approvata dal Parlamento europeo, che il 10 maggio 2005 condannò l’Italia
ordinando la sospensione delle deportazioni collettive da Lampedusa, dopo che
oltre 1.500 cittadini stranieri sbarcati sull’isola erano stati rinviati in
Libia. Ciò che allora veniva definito illegale dalle più alte istituzioni
comunitarie, in nome del diritto internazionale, tre anni dopo è diventato
l’obiettivo dichiarato dell’organo comunitario preposto al controllo delle
frontiere esterne dell’Ue, Frontex appunto.
Fortezza Europa. E dopotutto non ci si può certo aspettare granché
da un’Europa che conta sul suo territorio almeno 224 campi di detenzione per
migranti e rifugiati per una capienza totale di oltre 30.000 posti. I dati sono
quelli pubblicati da una recente inchiesta dell’International Herald Tribune.
La mappa dei campi assomiglia ad un piano militare di difesa. Se in Italia il
limite della detenzione è di 60 giorni, e in Francia di 32, in Grecia è di tre mesi,
a Malta di un anno e mezzo, mentre in molti altri Stati non è previsto alcun
limite. La detenzione amministrativa è prevista in tutta Europa per i migranti
privi di un permesso di soggiorno, in attesa della loro identificazione e
espulsione, e per i richiedenti asilo politico. Le condizioni di detenzione
variano molto tra i diversi campi. Atti di autolesionismo, tentati suicidi
accomunano queste vere e proprie frontiere interne dell’Unione europea.
L’ultima vittima è un tunisino, classe 1979, che si è impiccato il 30 dicembre
2007 nel campo di detenzione amministrativa di Berlino Koepenick. Ma è una
storia lunga. Qualcuno ricorderà i rifugiati iraniani che per protesta si
cucirono le labbra, nel 2006, nel campo di Samos. L’ong olandese United ha
pubblicato una death list di centinaia di casi simili in tutta Europa. In
Italia basterebbe rileggersi “Lager Italiani”, di Marco Rovelli. Partire dai
sei morti della strage del cpt Vulpitta a Trapani, nel 1999, e arrivare agli
ultimi due suicidi al cpt di Modena, dove il 15 e il 17 ottobre 2007, un
algerino e un tunisino si sono tolti la vita. Tante le rivolte, da Bari a
Edirne, da Trapani a Parigi. E in Francia, da metà dicembre la rivolta è
scoppiata nei campi di Mesnil-Amelot e Vincennes.
La frontiera interna. In un recente dibattito
parlamentare sui cpt, la deputata Mercedes Frias ha chiesto al Governo italiano
quale risposta si dovesse dare alle madri dei due ragazzi suicidatisi: “I due
ragazzi sono morti non per quello che hanno fatto, ma per quello che sono, in
quanto, in definitiva, nei CPT non ci si entra per aver commesso dei reati, ma
per ciò che si è”. Triste verità. Ancora più triste quando sono i numeri a
dimostrare l’inefficienza di un sistema repressivo basato su un approccio
ideologico e razzista. Secondo il rapporto della Commissione De Mistura,
commissionato dal Ministero dell’Interno, nel 2006 sono transitate nei 16 cpt
italiani 22 mila persone, delle quali 8.400 sono state identificate e circa
6.000 espulse, in un Paese, l’Italia, che conta, secondo lo stesso rapporto,
oltre 300.000 lavoratori stranieri privi di documenti. È lo stesso Paese che
ogni anno attraverso i decreti flussi programma l’ingresso per motivi di lavoro
di centinaia di migliaia di persone: 550.000 nel 2006, e altri 170.000 nel 2007
attraverso i recentissimi click days. È il messaggio ambiguo dell’Europa. Da un
lato chiede a gran voce manodopera per sopperire all’invecchiamento della
popolazione autoctona e al bisogno di manodopera nei settori meno pagati
(agricoltura, industria, edilizia, servizi alla persona). Dall’altra respinge
alle frontiere rifugiati e migranti, calpestandone i diritti e fabbricando ogni
anno migliaia di “clandestini”, cittadini senza cittadinanza, ovvero un
esercito di manodopera da sfruttare a basso costo. Quello che costa è invece il
sistema di detenzione e rimpatrio. Secondo un rapporto della Corte dei Conti
nel 2003 l’Italia ha speso 230 milioni di euro per il contrasto
dell’immigrazione, contro soli 102 per l’integrazione. Nei primi nove mesi del
2004 la spesa per la gestione dei Cpt era stata di 30.440.753 euro. Il bilancio
2008 di Frontex è di 30 milioni di euro. E di euro la Spagna ne ha spesi 23,8
milioni per rimpatriare, nel 2006, circa 33.000 migranti.
L’asilo che non c’è. Secondo dati della Commissione
europea gli immigrati irregolari nell’Ue sarebbero tra 4,5 e 8 milioni. Diversa
la situazione dei rifugiati politici e richiedenti asilo, che continuano a
diminuire. Lo dice Eurostat: 192.000 domande d’asilo nei 27 dell’Ue nel 2006,
contro le 670.000 domande nel 1992 nei soli 15 Stati membri di allora. Le
richieste sono dimezzate negli ultimi 5 anni, nel 2006 il calo è stato del 15%.
Tutto questo mentre i rifugiati nel mondo sono aumentati del 14% secondo
l’Acnur. Il punto è che in Europa è sempre più difficile arrivare. Non è un
caso che le richieste d’asilo si siano spostate lungo le frontiere: Grecia
(+116%), Malta (+262%), e Cipro (+378%). Da una parte ci sono i respingimenti
dei rifugiati sotto la veste degli accordi di riammissione, come i rifugiati
rinviati in Grecia dai porti dell’Adriatico (soltanto a dicembre 22 irakeni da
Bari, e 36 irakeni e 17 afgani da Ancona). Dall’altra ci sono le missioni di
Frontex.
Frontex e i Mondiali di calcio. Le missioni dell’agenzia comunitaria
per il controllo delle frontiere esterne dell’Ue sono state 22 nel 2007, ed
hanno portato all’arresto di 19.295 migranti, di cui 11.476 in mare, 4.522 a terra, e 3.297
negli aeroporti. Mentre nel 2006 il bilancio dell’agenzia di Varsavia si chiudeva
con 32.016 arresti. Senza che nessuno se ne sia accorto, Frontex sta
pattugliando tutte le frontiere: aeree, marittime e terrestri. Conosciamo e
abbiamo scritto delle missioni Nautilus nel Canale di Sicilia, Hera
nell’Atlantico, Indalo nello Stretto di Gibilterra e Poseidon nell’Egeo. Ma
l’elenco è molto più lungo, ed è contenuto in un esclusivo documento ufficiale
di Frontex che abbiamo messo on line. Nell’elenco figura la missione Minerva,
nei porti andalusi; Hermes, tra la
Sardegna e le Baleari, dirimpetto all’Algeria; Zeus, nei
porti tedeschi; Fifa, in Germania nel periodo dei mondiali di calcio 2006;
Niris, tra la Germania
e i Paesi Scandinavi contro l’immigrazione cinese; e ancora Ariane, tra
Germania e Polonia; Gordius, tra Romania, Slovacchia e Ungheria; e poi Herakles
in Ungheria e Kras e Drive In in Slovenia; e ancora Ursus in Romania,
Slovacchia, Ungheria e Polonia. Mentre per gli Europei del 2008, Frontex sta
già preparando la missione Euro Cup 2008 in Austria e Svizzera. Senza parlare delle
missioni negli aeroporti di mezza Europa: Amazon, Agelaus, Hydra, Extended
Family, Long Stop, Argonauts. Per non parlare dei programmi di formazione, che
vanno dai progetti di rimpatrio congiunto, alla ricerca di auto rubate e
perfino all’addestramento di cani. E per il 2008 si potrà fare di meglio, dato
che il budget di Frontex è stato raddoppiato a 30 milioni di euro.
Alla fiera dell’Est. Tutto questo in un’Europa che
guarda sempre più a est. Non dimentichiamocelo. Il 21 dicembre il muro di
Schengen si è spostato ad oriente, inglobando Estonia, Lettonia, Lituania,
Malta, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Ovvero la
cintura che separa l’Unione europea da Bielorussa e Ucraina, da dove transitano
molti migranti e rifugiati, provenienti dalle ex Repubbliche Sovietiche,
dall’Asia e dal Medio Oriente. La frontiera tra Slovacchia e Ucraina è di 97,8 km. L’ingresso
nell’area Schengen ha significato la costruzione di un muro virtuale tra i due
Paesi. 250 telecamere mobili, visori notturni, Gps, rilevatori di calore,
infrarossi, raggi x, e mezzi di pattugliamento fuoristrada. Un sistema costato
la bellezza di 50 milioni di euro, finanziati con fondi comunitari, e che ha
visto quadruplicare il personale della polizia di frontiera, da 240 unità nel 2004, a 886. Su questa
frontiera sono stati fermati 25.539 migranti nel 2004 e 32.756 nel 2005. Il
loro destino è la riammissione in Ucraina. Human Rights Watch ha più volte
denunciato gli accordi di riammissione tra i Paesi dell’Est Europa e l’Ucraina,
esprimendo particolare preoccupazione per i rimpatri dei rifugiati della
Cecenia e dell’Uzbekistan. E un recentissimo rapporto del Jesuit Refugee
Service denuncia le condizioni dei campi di detenzione nei 10 nuovi Stati
Membri dell’Ue. Dall’Ucraina sono stati espulsi 5.000 migranti nel 2004 e 2.346
nella prima metà del 2005, la metà verso ex Repubbliche sovietiche, gli altri
verso Cina, India, Pakistan e Bangladesh. Bruxelles conosce questi rapporti, ma
con Kiev ha già stretto un accordo di riammissione, firmato a latere del
Consiglio di cooperazione Ue-Ucraina il 18 giugno 2007, e che molto presto
dovrebbe entrare in vigore.