INCHIESTA/1 Il business sgomberi

"Quello di via dei Gordiani è il più centrale tra i campi
autorizzati rimasti a Roma, uno degli ultimi baluardi prima che il sogno, un
tempo di Fini, ora di Veltroni, dei rom fuori il perimetro del Raccordo Anulare
sia compiuto in pieno. Sorge tra la
Casilina e la
Prenestina, due grandi arterie stradali che entrano nella
capitale da est. Già nel secondo dopoguerra nell’attuale zona del campo sorgeva
una baraccopoli, abitata però da italiani, principalmente immigrati del centro
e del sud che si stabilirono lì in attesa di una soluzione migliore. Fu alla
fine degli anni ’70 che avvenne il «passaggio di consegne» tra gli italiani e i
rom che si fermarono in quell’area."

I «palazzinari» di
via Gordiani. Un pugno di
costruttori, un progetto per mille appartamenti. A un passo dal fiore
all’occhiello della Roma veltroniana: il quartiere Pigneto. E i rom pagano le
spese

di Andrea Foschi, Riccardo Iori – fonte: Il manifesto 21.12.07

Lili e Sasha il giorno delle nozzeRoma. Poco più di un anno fa, il 2 dicembre del 2006, due
giovani, Lijuba Mikic di 17 anni e Sasha Traikovic di 16, sposati da appena un
mese, morirono in un rogo divampato nel campo di via dei Gordiani a Roma [
Storia
di Lili e Sasa, giovani rom morti bruciati
]. In quello stesso
campo, lo scorso 30 ottobre, sei prefabbricati sono stati sventrati sotto le
direttive del VI e dell’VIII gruppo della Polizia municipale romana,
anticipando di poco le operazioni di polizia e gli allontanamenti coatti
divenuti routine dopo il brutale delitto Reggiani. Motivo ufficiale: contrastare
lo spaccio di eroina, problema che da anni imperversa in quel campo, come
denunciato, tra l’altro, dagli stessi rom. Motivi ufficiosi: fare un favore ai
«palazzinari» che agognano la fine di quel campo, uno dei più antichi e meglio
integrati della capitale.

Il linguaggio burocratico utilizzato nel foglio consegnato
alle persone allontanate, firmato dal dr. Francesco Alvaro, direttore del V
Dipartimento (Politiche sociali) è sconcertante, perfetta applicazione del
messaggio biblico per il quale le colpe dei padri ricadranno sui figli: «La S.V. non è stata in grado di
rispettare le norme che regolano la civile convivenza tra gli ospiti del campo
attrezzato di via dei Gordiani. I comportamenti illeciti da Lei messi in atto
escludono ogni possibilità di considerare altre soluzioni che non quella
dell’allontanamento dal campo di tutto il suo nucleo familiare». Le norme evase
sono quelle sancite da un patto firmato nel 2003 dall’allora presidente del
Municipio VI, Vincenzo Puro, e i capifamiglia rom, nel quale la vita dei
residenti era regolamentata in ogni aspetto, dall’obbligo di segnalare gli
ospiti alle modalità con cui tenere animali domestici. Un comunicato del gruppo
Prc al municipio in merito alle operazioni di sgombero lascia intravedere come
stanno veramente le cose; a chi parla di un possibile abbattimento del campo,
Rifondazione risponde: «Non vorremmo che, dietro coloro che ventilano tale
ipotesi, si nascondano personaggi che, da alcuni mesi, vanno proponendo
iniziative speculative sulle aree, compresa quella dell’attuale campo rom, che
gravitano intorno alla futura stazione Teano della Metro C». Proprio davanti
all’insediamento, infatti, fervono i preparativi per la futura linea
metropolitana della capitale, evento urbanistico che farà schizzare alle stelle
le quotazioni di terreni e appartamenti della zona, che si ritroverà a essere
da semiperiferica a centrale, in un angolo della capitale ancora pieno di verde
e assai vicino a uno dei nuovi poli d’attrazione della Roma «multietnica,
tollerante e veltroniana»: il Pigneto.
A
seguire:

Chi si oppone e chi
vuole l’affare…

Dai terroni ai rom…
Alloggi sperimentali
e sconosciuti…


Quelle «cacciate»
mondiali

di Cinzia Gubbini – fonte:Il manifesto 21.12.07
Roma. Quinto municipio sotto assedio. Uno sgombero ogni
due giorni da novembre, secondo le stime delle associazioni. Una coincidenza
strana, che non può essere spiegata soltanto con la reazione draconiana
dell’amministrazione capitolina alle polemiche dopo l’ omicidio di Giovanna
Reggiani, uccisa da un rom che viveva in uno dei tanti insediamenti sorti negli
ultimi anni in città. Dopo quel delitto le ruspe sono entrate in azione in
tutti i quartieri. Gli sgomberi sono diventati quotidiani. Ma le persone, quasi
sempre rumeni, quasi sempre famiglie con bambini, quasi sempre poveri in canna,
non se ne sono andati da Roma. Si sono solo spostati un po’ più in là. A quanto
si dice, l’ultima moda è dormire sotto i ponti e lungo gli argini del fiume con
la tenda. Che così si smonta all’alba e dà meno nell’occhio (…)


Emergenza casa,
Veltroni regala Roma ai palazzinari

Con un colpo di mano
il sindaco dà carta bianca ai costruttori dimenticando l’edilizia pubblica.
E
Action protesta in Campidoglio

di Giacomo Russo Spena – fonte: Il manifesto 21.12.07
Roma. Se prima è stato il turno del registro delle unioni
civili, affossato lunedì scorso, ora è toccato al «diritto all’abitare» finire
al tappeto. Il «modello Roma» di Walter Veltroni sferra prepotentemente un
altro colpo. La situazione è stata denunciata ieri dal movimento di lotta per
la casa Action che ha presidiato il Campidoglio con una sonora manifestazione
per protestare contro «i regali del sindaco ai palazzinari a scapito dei senza
casa» (…)..



Chi si oppone e chi
vuole l’affare

I «personaggi» che si nasconderebbero dietro la speranza
che la zona sia «bonificata» dalla presenza dei rom sarebbero una cordata di
costruttori che hanno specifici interessi nella zona, tra cui è particolarmente
attivo l’immobiliarista Renato Bocchi. L’insediamento dei rom, infatti, si
trova all’interno dell’area del Piano particolareggiato Casilino-Prenestino, da
anni oggetto di un tira e molla in Commissione Urbanistica. Da una parte ci sono
le resistenze di ambientalisti, comitati e partiti di sinistra, per i quali i
230mila metri cubi di cemento previsti sono troppi. Dall’altra ci sono due
gruppi di costruttori, uno riconducibile all’Aic (Associazione italiana casa),
l’altro al Consorzio centro direzionale Casilino, raggruppamento che detiene,
secondo il presidente, avv. Giuseppe Lavitola, «non più di 40-50 ettari nella zona in
questione». Il Consorzio, di cui Bocchi è, sempre secondo le parole dell’avv.
Lavitola, «uno dei maggiori azionisti, o per meglio dire consorziati», vorrebbe
aumentare le cubature previste, quantomeno raddoppiando l’indice volumetrico,
attualmente di 0.5 mc/mq, e arrivando alla costruzione di 1000 appartamenti dai
600 previsti. Bocchi avrebbe più volte ribadito informalmente la necessità di
modificare il piano e, contestualmente, di rimuovere il campo, che sorge su un
terreno dell’Ater.

Dai terroni ai rom
Quello di via dei Gordiani è il più centrale tra i campi
autorizzati rimasti a Roma, uno degli ultimi baluardi prima che il sogno, un
tempo di Fini, ora di Veltroni, dei rom fuori il perimetro del Raccordo Anulare
sia compiuto in pieno. Sorge tra la
Casilina e la
Prenestina, due grandi arterie stradali che entrano nella
capitale da est. Già nel secondo dopoguerra nell’attuale zona del campo sorgeva
una baraccopoli, abitata però da italiani, principalmente immigrati del centro
e del sud che si stabilirono lì in attesa di una soluzione migliore. Fu alla
fine degli anni ’70 che avvenne il «passaggio di consegne» tra gli italiani e i
rom che si fermarono in quell’area. I pionieri di quella esperienza, Miciu,
Lazaro e Ivana, si trovano ancora là.
La maggior parte dei nuovi arrivati proveniva da
Kragujevac, una delle maggiori città serbe, anche se molti di loro erano o si
sarebbero imparentati con rom di origine bosniaca. La memoria del luogo di
provenienza si trascinava una cultura da proletariato industriale che non
connotava assolutamente questi rom come nomadi. Il lavoro e la casa, al
contrario, erano loro prerogative essenziali. La fabbrica, o in seconda battuta
la manovalanza nei cantieri edili, erano, e sono tuttora, i mestieri
privilegiati di questa comunità. Per gli altri la via per il sostentamento era
quella dei tipici lavori del sottoproletariato romano: venditori di rose,
parcheggiatori abusivi, stracciaroli, impieghi ereditati dagli emigranti
italiani di Gordiani.
Il rapporto con il quartiere non è stato mai problematico,
lo spaccio di droga divenne una tragica realtà del campo solo a fine degli anni
’90, e le prime vittime furono gli stessi rom, in particolar modo i ragazzi,
che oggi rappresentano la maggioranza del campo; oltre il 60% su un totale che
supera di poco le 200 unità. Ragazzi che per la prima volta si trovano ad
affrontare, senza reti di protezione adeguate, una fase come l’adolescenza,
culturalmente sconosciuta a quel popolo. Spiega Roberto Pignoni, docente di
geometria a La Sapienza
e membro di Karaula MiR, gruppo antirazzista italo-sloveno attivo a via dei
Gordiani: «Per anni i rom sono stati bombardati di inviti a integrarsi alla
nostra cultura. Questo avviene con un grosso sforzo di adattamento collettivo.
I codici di comportamento e i linguaggi cambiano, un insieme di paradigmi
tradizionali sono messi in crisi e i ragazzi sono sempre più simili ai loro
compagni di scuola non rom. Con una differenza: non hanno i documenti e si
vedono sistematicamente rifiutare la cittadinanza italiana. Gli si dice
integratevi, diventate come noi, ma nello stesso tempo gli si dimostra che non
sono degni di essere come noi, che non possono avere delle case e dei lavori
come i nostri. Una trappola esistenziale che antropologi e psichiatri chiamano
doppio legame e che pone gli adolescenti rom in una condizione di confusione e
fragilità estreme».

Alloggi sperimentali
e sconosciuti

Eppure un’occasione per vivere in una situazione migliore
i ragazzi di via dei Gordiani l’avevano avuta. Proprio alla fine degli anni ’90
un progetto dell’allora Iacp, oggi Ater, aveva prospettato alloggi
sperimentali, edificati sulla base della famiglia estesa, ed energicamente
autosufficienti. Un progetto che, dopo due anni di conferenze di servizi,
sembrava sul punto di partire e che avrebbe compreso anche la ristrutturazione
degli altri appartamenti dell’Ater presenti in zona e l’apertura di un parco
pubblico a beneficio di tutto il quartiere. «Farlo sarebbe stata una prova di
lungimiranza architettonica, ma anche politica e sociale, non da poco, ma Roma
è una città che ha perso totalmente la sua dimensione sociale ed è ormai
completamente in mano ai costruttori», sono le considerazioni di Mauro Masi,
architetto dell’Ater di Roma che su quel progetto continua a fare conferenze in
giro per l’innovazione che avrebbe portato. Invece di un villaggio
ecosostenibile nel marzo del 2002 furono montati i container, che ora il Comune
sta abbattendo, molto più costosi del progetto di Erp e molto meno vivibili, in
linea con «l’urbanistica del disprezzo» da sempre adottata con i rom. Ricorda
il senatore Salvatore Bonadonna (Prc), all’epoca assessore all’Urbanistica del
Lazio: «Era un progetto di 12 miliardi di lire su un totale di 6400 miliardi
stanziati dalla Regione per l’Edilizia residenziale pubblica, e di cui più di
4500 erano destinati a Roma». L’incidenza economica era irrilevante e la
nascita del villaggio avrebbe potuto evitare tragedie figlie della vita in
container come quella di Sasha e Lijuba. Il progetto non passò perché Storace,
candidato alla Regione, diede addosso a Badaloni, colpevole di costruire le
case agli zingari, e perché l’entourage di Rutelli, in procinto di sfidare
Berlusconi alle politiche, giudicò sconveniente firmare un simile
provvedimento. Scelte miopi, se ricordiamo chi vinse, nel Lazio e in Italia.

Quelle «cacciate»
mondiali

Cinzia Gubbini – fonte: Il manifesto 21.12.07
Roma. Quinto municipio sotto assedio. Uno sgombero ogni
due giorni da novembre, secondo le stime delle associazioni. Una coincidenza
strana, che non può essere spiegata soltanto con la reazione draconiana
dell’amministrazione capitolina alle polemiche dopo l’ omicidio di Giovanna
Reggiani, uccisa da un rom che viveva in uno dei tanti insediamenti sorti negli
ultimi anni in città. Dopo quel delitto le ruspe sono entrate in azione in
tutti i quartieri. Gli sgomberi sono diventati quotidiani. Ma le persone, quasi
sempre rumeni, quasi sempre famiglie con bambini, quasi sempre poveri in canna,
non se ne sono andati da Roma. Si sono solo spostati un po’ più in là. A quanto
si dice, l’ultima moda è dormire sotto i ponti e lungo gli argini del fiume con
la tenda. Che così si smonta all’alba e dà meno nell’occhio. Ma nel quinto municipio, il territorio che comprende un
bel pezzo della via Tiburtina, l’accanimento dell’amministrazione è sembrato un
po’ eccessivo. Soprattutto quando sono stati cacciati i rom che vivevano sotto
Ponte Mammolo, con 39 bambini. I minori erano inseriti nelle scuole, alcune
famiglie abitavano lì da molto tempo e il municipio aveva anche avviato dei
progetti. Perché intervenire così brutalmente? La situazione l’altro ieri è
finita anche in senato per iniziativa del gruppo di Rifondazione. Claudio
Graziano, uno degli operatori dell’Arci, la mette così: «Non è un segreto per
nessuno che questa zona di Roma è interessata da grandi cambiamenti
urbanistici. Qui c’è tutta la questione dello Sdo, il cosiddetto Sistema
direzionale orientale. Qui presto inizieranno i lavori per raddoppiare alcune
strade. Stanno inoltre per costruire la nuova piscina olimpionica per i
mondiali di nuoto del 2009». Insomma, i rom si mettono sempre dove non devono
stare, per dirla con una battuta. Così bisogna spostarli. E se c’è in corso una
campagna razzista, aiuta. Una delle opere di futura costruzione dovrebbe
sorgere proprio nella zona di via Quintiliani, dove per ieri mattina all’alba
era atteso lo sgombero. La tensione provocata dalla situazione dei rom
sgomberati di Ponte Mammolo ha però, a quanto si dice, evitato che ieri si
procedesse con le ruspe. Il capogruppo di Rifondazione in Senato, Giovanni
Russo Spena, aveva chiesto una moratoria sugli sgomberi almeno nel periodo
natalizio. Altrettanto avevano fatto diversi esponenti capitolini. Dalla
prefettura sono arrivati segnati distensivi in questo senso: «Si fa tutti gli
anni – fanno sapere da palazzo Valentini – dalla fine di dicembre ai primi
giorni di gennaio si evita di intervenire per effettuare sgomberi e sfratti».
Oggi, un incontro delle associazioni con la stampo per spiegare che «gli
sgomberi non sono la soluzione» e per proporre alle istituzioni «un tavolo di
dialogo per intraprendere percorsi partecipati».

Emergenza casa,
Veltroni regala Roma ai palazzinari. Con un colpo di mano
il sindaco dà carta bianca ai costruttori dimenticando l’edilizia pubblica. E
Action protesta in Campidoglio

Giacomo Russo Spena – fonte: Il manifesto 21.12.07
Roma. Se prima è stato il turno del registro delle unioni
civili, affossato lunedì scorso, ora è toccato al «diritto all’abitare» finire
al tappeto. Il «modello Roma» di Walter Veltroni sferra prepotentemente un
altro colpo. La situazione è stata denunciata ieri dal movimento di lotta per
la casa Action che ha presidiato il Campidoglio con una sonora manifestazione
per protestare contro «i regali del sindaco ai palazzinari a scapito dei senza
casa». Infatti – spiega Andrea Alzetta, uno dei portavoce – la giunta
capitolina «si impegnava a risolvere l’emergenza abitativa, ma alla fine ha
ceduto ai costruttori che edificheranno su aree pubbliche e a prezzi di mercato».
Il nodo del problema risale allo scorso 20 novembre: Veltroni e l’assessore
Minelli firmano un protocollo d’intesa con l’Acer e altre associazioni di
costruttori. Decidono «aree da reperire» per nuova edificazione, stravolgendo
l’applicazione della delibera 110 e il piano regolatore, in cui si parlava di
20 mila alloggi a canone sociale entro il 2011 con l’esclusione di «nuovo
cemento» a Roma. Entrambi diventati all’improvviso carta stralcia. E «delle
case destinate all’emergenza abitativa non si vede nemmeno l’ombra», denunciano
i manifestanti in piazza, estremamente determinati in piazza: «Voi ci prendete
in giro, noi ci prendiamo le case», recita una scritta. Ma lo striscione che
maggiormente svetta è sicuramente quello di Veltroni con una corona in testa e
sotto la scritta: «L’imperatore dei costruttori». Presenti anche delle finte
bare che simboleggiano, spiegano gli organizzatori, «la morte del consiglio
comunale che è stato scavalcato su questa decisione», essendo stata presa
direttamente in giunta. Tra i più determinati l’esponente dei movimenti capitolini
Nunzio D’Erme: «Il sindaco – dice – ha scelto ancora una volta di stare coi
potenti e di non affrontare il problema del diritto all’abitare, chiudendo
ancora una volta ai movimenti». Intanto i manifestanti non si limitano a contestare ma
mostrano la loro piattaforma: «Innanzitutto bisogna riempire le case vuote a
prezzi concordati, senza le speculazioni del mercato. A Roma ci sono 150 mila
alloggi vuoti e decine di migliaia di persone con il problema abitativo.
Bisogna fare un intervento di requisizione». Per affrontare tale problema
propongono anche il modello europeo: «Dopo un anno se non si affitta la casa,
il proprietario paga una tassazione progressiva. Importiamo il meccanismo». In
serata una delegazione viene accolta, come richiesto, dai capigruppo di
maggioranza e da due esponenti del gabinetto del sindaco. Adriana Spera del Prc
è la prima a rendere pubblico il verdetto dell’incontro: «Calendarizzeremo un
consiglio aperto sull’emergenza abitativa in cui affronteremo il problema degli
sfratti, delle occupazioni e della destinazione d’uso delle aree per garantire
ai cittadini il diritto alla casa».


Bucarest
Ferrero firma intesa per integrazione dei rom Un’intesa
tra Italia e Romania per ridurre in entrambi i paesi la povertà e
l’emarginazione sociale dei cittadini rumeni, in particolare rom. «Vogliamo
lavorare per rimuovere le cause che procurano disagio favorendo interventi di
inclusione sociale», ha detto il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero.

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