Dal golpe anti
Aristide del 2004 coprono la repressione brutale della polizia
di Serena Corsi, fonte: Il Manifesto [31 Gennaio 2008]
Il disegno è del cartoonist brasiliano Carlos Latuff
Rio de Janeiro. Il Brasile è il capofila e schiera il
maggior contingente della Minustah, la Missione di stabilizzazione Onu per Haiti: dal
2004 ad oggi ha inviato nell’isola caraibica 8 contingenti, ciascuno di un
migliaio di uomini. La più grande operazione militare della storia recente del
Brasile. Eppure qui se ne parla poco. Sará che nessuno ne capisce molto, sarà
che le voci contrarie si contano sulle dita di una mano. La missione
«umanitaria» a suo tempo raccolse un’inedita unanimitá: quando nel febbraio
2004 Haiti fu scossa dalla rivolta popolare contro Aristide, in realtà un golpe
appena mascherato, il Brasile stava dandosi da fare per la riforma e un seggio
permanente nel Consiglio di Sicurezza. Accettare il comando della Minustah era
visto come una sorta di esame d’ammissione dal regista occulto dell’operazione,
gli Usa di Bush, che sbarcarono sull’isola prima che l’Onu votasse la
risoluzione 1529 del 30 aprile e che, con la Francia, erano dietro il golpe anti-Aristide.
Haiti è uno dei paesi più poveri del mondo ma è uno snodo geo-politico
importante nei Caraibi, non solo per la vicinanza con Cuba. Pare che dalle sue
coste transiti il 10% della cocaina che entra nel mercato Usa. Poi c’è «la
partnership strategica» sugli agro-combustibili firmata nel 2007 da Lula e
Bush, che nelle intenzioni dovrebbe coinvolgere anche Haiti.
Un’altra delle ragioni del protagonismo brasiliano ad
Haiti è raccontata qui a Rio nel dossier di due avvocati dell’Ordine brasiliano
degli avvocati (Oab), Duboc Pinaud e Aderson Bussinger: ad Haiti esistono ben
18 zone franche in cui sono impiantate maquiladoras dove migliaia di haitiani
lavorano a un tiro di schioppo da Miami, in condizioni disumane e con salari di
48 dollari al mese, per multinazionali come la Levis e la Wrangler. Secondo
il dossier della Oab, i Caschi Blu della Minustah contribuiscono a reprimere
gli scioperi operai delle zone franche. «Quando non intervengono direttamente
-spiega Bussinger – coprono le spalle alla polizia locale, lasciandole il
lavoro sporco». Interpellato in proposito, lo stesso generale Santa Cruz, capo
della missione dopo il misterioso suicidio del precedente comandante, si è
limitato ad incolpare la polizia haitiana delle repressioni più brutali, cosí
come aveva fatto per le sanguinose operazioni «di pulizia» del luglio 2005 e del
dicembre 2006 nei quartieri difficili dove si concentra l’appoggio al deposto
Aristide. Ma, secondo la testimonianza del soldato brasiliano Tailon
Ruppenthal, tornato da Haiti nel 2005, spesso i caschi blu avevano (o hanno?)
l’ordine di sparare contro i miliziani anche in presenza di civili. Se è vero
che il compito principale dei caschi blu è e sarà sempre di piú quello di
formare la polizia locale, è rivelatore che un terzo del contingente brasiliano
venga dai reparti che a Rio operano nelle favelas. Repressione della
«illegalità» e controllo sociale: questi sembrano i veri obiettivi dei caschi
blu, prima dei tre ufficiali – stabilizzazione, pacificazione,
democratizzazione – e ben più del quarto – «lo sviluppo economico di Haiti».
Per mostrare agli haitiani le buone intenzioni del Brasile il presidente Lula
insistette moltissimo, nell’agosto 2004, quando andò a Haiti (e si mise a
piangere, dicono le cronache, vedendo l’immensa povertà), per organizzare
un’amichevole fra la nazionale di calcio brasiliana e quella haitiana. La
partita si giocò il 19 agosto 2004
a Port Au Prince, e il Brasile vinse sei a zero. Gli
haitiani ringraziarono ma il loro giudizio sulla missione non cambiò.