Il 30 Novembre scorso avevo tratto dal sito Meltingpot e pubblicato
sul blog un interessante documento (a mio parere di estrema pertinenza
relativamente all’ oggetto in discussione) del Prof. Fulvio Vassallo Paleologo,
dell’ Università di Palermo, Associazione Studi Giuridici sull’ Immigrazione.
L’
articolo in questione “Il ruolo delle
Organizzazioni internazionali nelle politiche di contrasto dell’immigrazione
clandestina“ ha provocato l’ immediata
risposta dell’ OIM (Organizzazione Internazionale con le Migrazioni) che
ritiene del tutto prive di fondamento le accuse mosse nei suoi confronti e l’altrettanto
tempestiva replica dello stesso Prof. Paleologo. Entrambi gli interventi, che
allego, sono stati pubblicati oggi da Meltingpot.
- L’Oim
difende il suo operato. La replica all’articolo di Fulvio Vassallo
Paleologo - Alcune
precisazioni sul ruolo delle organizzazioni non governative nei paesi di
transito.La risposta di Fulvio Vassallo Paleologo alla replica dell’Oim
Leggi i due interventi>>>
L’Oim difende il suo
operato. La replica all’articolo di Fulvio Vassallo Paleologo
Gentile Direttore,
Le scrivo in merito all’articolo “Il ruolo delle
Organizzazioni internazionali nelle politiche di contrasto dell’immigrazione
clandestina”, scritto dal prof. Fulvio Vassallo Paleologo e pubblicato su
www.meltingpot.org lo scorso 30 novembre.
L’articolo del prof. Vassallo Paleologo trae spunto da un
video prodotto recentemente nell’ambito di una campagna di prevenzione
dell’immigrazione irregolare dall’Africa, e pretende di indicare quale dovrebbe
essere il ruolo delle agenzie internazionali e cosa dovrebbero fare i governi
europei, ma nella realtà si traduce in un violento e generalizzato attacco
all’OIM, all’ACNUR, all’Unione Europea, alla Svizzera, all’agenzia comunitaria
FRONTEX, alle politiche di controllo dell’immigrazione clandestina.
Alcune delle argomentazioni addotte per quanto riguarda
l’OIM e il suo impegno “a favore delle politiche di controllo dell’immigrazione
clandestina poste in essere dai governi europei e dalle agenzie comunitarie”,
sono semplicemente false e prive di qualsiasi riscontro.
In particolare, è priva di qualsiasi fondamento l’accusa di
un coinvolgimento dell’OIM in operazioni di rimpatrio forzato dall’Italia. Non
solo non abbiamo mai partecipato a ritorni forzati da Lampedusa per la Libia o altre destinazioni,
ma nessun governo di questo Paese ha richiesto la nostra collaborazione per
attivare meccanismi di respingimento o espulsione, che rimangono di stretta
competenza delle autorità nazionali preposte. Inoltre la costituzione del’OIM
non prevede in nessun caso la partecipazione dell’organizzazione in movimenti
forzati di migranti.
Viceversa, come ben documentato in un recente rapporto
realizzato dalla Caritas, nel corso degli ultimi 15 anni l’OIM ha effettivamente
realizzato programmi di assistenza al ritorno volontario dall’Italia. Tuttavia,
è bene ricordare che, in base alla normativa italiana tuttora in vigore, solo
individui appartenenti a categorie vulnerabili – quali vittime di tratta,
minori non accompagnati, rifugiati, richiedenti asilo denegati e in generale
persone sotto protezione umanitaria o in condizione di grave indigenza e
segnalati da referenti della società civile – possono accedere a tale
assistenza quando ritengano concluso il loro percorso migratorio. Per tale
ragione, il numero di assistiti annualmente (che nel caso dell’OIM non
comprende i minori non accompagnati, seguiti da altri enti) non supera le 3-400
unità. Complessivamente dal 1991 ad oggi l’OIM in Italia ha
assistito circa 7.000 persone a fare ritorno a casa.
Quanti decidono di avvalersi di questa opzione lo fanno dopo
una attenta informazione e orientamento da parte dei funzionari OIM preposti,
che sono anche responsabili di costruire con gli stessi migranti che tornano un
pacchetto di reintegrazione per il reinserimento economico e sociale nel
contesto di origine.
Analoga opportunità viene offerta tramite l’OIM in Libia, a
quanti richiedono assistenza presentandosi presso i nostri uffici
spontaneamente o segnalati dalle loro ambasciate. Anche in questo caso sono le
modalità di gestione ed i numeri a contraddire le false illazioni
dell’articolo: in quasi due anni 1.300 persone sono state assistite e riferite
alle reti OIM per il sostegno ad una reintegrazione sostenibile. Le note di
apprezzamento di paesi dell’Africa subsahariana, che invocano queste modalità,
sostanziano i frequenti appelli dell’OIM agli Stati Membri affinchè si
privilegino e sviluppino meccanismi di ritorno volontario e assistito, nel
rispetto della dignità umana.
Non possiamo non rilevare che, a proposito del ruolo
dell’OIM in Libia, l’articolo del prof. Vassallo Paleologo si sofferma solo sui
dati che possono essere strumentalizzati negativamente, evitando qualsiasi
riferimento all’impegno dell’agenzia nel contesto particolarmente delicato di
un paese che sta lentamente recependo prospettive internazionalmente acquisite.
Ad esempio non si fa menzione del ruolo dell’OIM
nell’agevolare il trasferimento in Italia di 40 cittadini eritrei (in
prevalenza donne) dal centro di detenzione di Misrata, d’intesa con il
Ministero dell’Interno e l’ACNUR. Non si fa cenno dei corsi di
sensibilizzazione e formazione sui temi delle migrazioni, della gestione del
fenomeno, della tratta di esseri umani, delle modalità di assistenza dei
soggetti vulnerabili, del ritorno assistito, che l’OIM sta introducendo in seno
ad amministrazioni nazionali libiche (interno, polizia di frontiera, giustizia)
e presso enti umanitari e della società civile.
Ancora, non c’è menzione del fatto che chi raccoglie le
tragiche testimonianze di molte giovani donne partite dalla Libia e sbarcate a
Lampedusa sono spesso proprio i rappresentanti dell’OIM che sono lì ad
assisterle.
La presenza dell’OIM a Lampedusa – per attività di
orientamento e informazione legale ai migranti in arrivo – infatti parte da
aprile 2006, da quando cioè il centro è stato declassificato da CPT a Centro di
primo soccorso e accoglienza.
Detta presenza, come anche quella delle altre due
organizzazioni (ACNUR e Croce Rossa) è regolata da una convenzione con il
Ministero dell’Interno ed è stata citata proprio dal Parlamento europeo,
invocato nel suo articolo, e dalla Commissione europea come un modello di buona
prassi per l’accoglienza e il soccorso di flussi misti di migranti irregolari
nel rispetto dei diritti umani.
Vorremmo con l’occasione segnalare che l’OIM si occupa da
anni anche di promuovere canali legali di migrazione economica. In particolare,
dal 2000 l’OIM ha sviluppato progetti per la sperimentazione di meccanismi di
incontro domanda-offerta, tramite registrazione e identificazione nei paesi di
origine di lavoratori candidati all’emigrazione e rispondenti al fabbisogno del
mercato del lavoro italiano.
In tal senso sono stati realizzati progetti con Albania,
Tunisia, Egitto, Moldova, Ski Lanka, in linea con il decreto sui flussi di
ingresso e le quote privilegiate accordate ad alcuni paesi di origine.
Prossimamente analoghe iniziative saranno sviluppate, grazie al sostegno
comunitario e dell’Italia, anche con Ghana, Nigeria e Senegal. E’ su questo
fronte che l’OIM continua a voler fornire informazioni attendibili e chiare sui
canali di migrazione legale verso l’Europa, soprattutto in quei paesi dove è
molto piu facile che la rete dei trafficanti ed il crimine organizzato si
inseriscano nelle maglie larghe della disinformazione e dell’ignoranza delle
leggi.
Ed è in questo specifico impegno che si colloca lo spot con
cui si apre il pezzo del prof. Vassallo Paleologo. Si tratta di un prodotto
realizzato d’intesa con rappresentanti di autorità, società civile e comunità
internazionale, secondo indicazioni raccolte nel paese dove sarà circolato: il
Camerun. Infatti il video fa parte di una strategia di informazione articolata
su più livelli: a partire dall’immagine falsamente positiva trasmessa da molti
migranti ai loro parenti in patria, ma anche ai pericoli e ai rischi legati
alla migrazione irregolare, come pure alle alternative.
In breve lo spot, come altri materiali, sono stati prodotti
da Africani per Africani nell’ambito di programmi realizzati dall’OIM in sei
paesi dell’Africa occidentale caratterizzati da una emigrazione per ragioni
economiche e in nessun caso origine di flussi di richiedenti asilo o di rifugiati.
E’ evidente che questo genere di spot si presta a critiche e
manipolazioni da vari punti di vista, ma non è corretto valutarlo al di fuori
del contesto in cui è stato prodotto, in risposta a chiare preoccupazioni
espresse da partner del Camerun. Un invito a chi è ancora nel paese di origine
a non cadere nella “trappola” della migrazione irregolare, nel tentativo di
salvare vite e al contempo di proporre un approccio diverso e ai migranti e ai
paesi di destinazione, sulle cui politiche d’immigrazione riteniamo che certo
non manchino spazi di discussione e dibattito.
Sperando che questa lettera possa aver contribuito ad
illustrare in parte le attività e l’impegno dell’OIM ed in particolare dei suoi
uffici in Italia nei confronti dei migranti, invito il prof. Vassallo Paleologo
ad acquisire informazioni ed evitare facili strumentalizzazioni, prima di
accusare pubblicamente il lavoro di un’organizzazione composta di 122 Stati
membri ma soprattutto fatta di persone impegnate da anni a promuovere effettivi
canali di migrazione regolare. Allo stesso tempo invito il professore a non
pubblicare falsità che ledano la reputazione e l’impegno dell’OIM.
Peter Schatzer
Direttore, Ufficio Regionale per il Mediterraneo e Capo
Missione in Italia e a Malta dell’Organizzazione Internazionale per le
Migrazioni (OIM)
Alcune precisazioni
sul ruolo delle organizzazioni non governative nei paesi di transito. La risposta
di Fulvio Vassallo Paleologo alla replica dell’Oim
Il capo missione dell’OIM in Italia ha duramente contestato
i contenuti del mio intervento su”Il ruolo delle Organizzazioni internazionali
nelle politiche di contrasto dell’immigrazione clandestina”, pubblicato alcuni
giorni fa da Meltingpot, accusandomi di avere fornito informazioni non
corrispondenti al vero riguardo al ruolo ed alle attività della sua
organizzazione in Italia e in Libia.
In realtà la maggior parte della lettera di replica è
riferita all’impegno dell’OIM in Italia negli ultimi anni, impegno che non ho
richiamato nel mio intervento e sul quale credo di essere abbastanza informato,
essendo stato invitato a diverse iniziative promosse anche da questa
organizzazione.
Il mio intervento non si riferiva neppure al ruolo di altre
organizzazioni, come l’ACNUR, che operano con l’OIM nei progetti italiani e con
le quali ho una lunga esperienza di collaborazione, ma riguardava invece le
diverse forme di esternalizzazione dei controlli di frontiera e per questa
ragione trattava in particolare dell’OIM e della condizione dei migranti in
Libia e negli altri paesi di transito. Condizione determinata anche dalle
modalità espulsive adottate dall’Italia a partire dal 2004, ma non solo da
queste. Una condizione che rimane caratterizzata da gravi violazioni dei
diritti umani anche nelle diverse strutture nelle quali vengono condotti i
migranti irregolarmente presenti in quel paese.
Tutti possono sapere cosa si può intendere per
“centro di accoglienza”, in Italia e in Libia, basta leggere gli atti della Commissione De
Mistura per l’Italia e i rapporti di HRW e di Amnesty
sulla Libia.
La portata delle diverse operazioni di
rimpatrio o di respingimento è definita anche dal tipo di trattamento al quale
sono sottoposte le persone prima, durante e dopo l’accompagnamento in frontiera.
Si tratta di una materia ancora assai opaca sulla quale non si è fatta
chiarezza neppure dopo diverse interrogazioni parlamentari(1).
Credo che le critiche rivoltemi dal capo missione OIM in
Italia riguardino soprattutto il mio giudizio sul coinvolgimento di questa
organizzazione nella “gestione dei flussi migratori irregolari”, non solo
dall’Italia verso la Libia,
ma da questo paese verso i paesi di provenienza, dall’ottobre del 2004 ai primi
mesi del 2006, un giudizio che comunque ritengo legittimo perché ho criticato
la linea di una organizzazione e non l’operato o la credibilità di singole
persone, come invece viene fatto violentemente nei miei confronti.
E che vi sia un nesso tra le politiche di esternalizzazione
dei controlli di frontiera e le agenzie intergovernative come l’OIM non è certo
un dato che ho scoperto io, ma si rinviene nei documenti ufficiali delle
istituzioni comunitarie e nelle ricerche di molti studiosi a livello
internazionale (2) (Andrjiasevic 2006, ed altri).
Quando scrivo di un “ coinvolgimento dell’OIM nelle
operazioni di rimpatrio forzato realizzate dal governo Berlusconi a partire
dall’ottobre del 2004 da Lampedusa verso la Libia, operazioni censurate anche dal Parlamento
europeo”, non mi riferivo materialmente alla presenza di operatori OIM a
Lampedusa o in altri centri di permanenza italiani nel corso delle attività di
rimpatrio, essendo ben noto a tutti, anche per le riprese video ed i reportage
diffusi da tempo anche su internet, che erano state altre organizzazioni
“umanitarie” a “cogestire” i respingimenti collettivi di oltre 2000 persone
espulse dall’ottobre 2004 all’ottobre 2005 ( fonte: Amnesty Internatonal).
Intendevo però richiamare la circostanza che i programmi
TRIM e ACROSS SAHARA ai quali partecipava l’OIM in Libia a partire dal 2004, in parte con il
sostegno economico del governo italiano, venivano avviati in una situazione
nella quale il governo italiano del tempo, oltre ad eseguire i respingimenti da
Lampedusa, da Catania e da Crotone verso la Libia, e da qui verso altri paesi, provvedeva a
finanziare in territorio libico la costruzione o il funzionamento di centri di
permanenza, impropriamente definiti anche lì centri di accoglienza, e sosteneva
economicamente anche i rimpatri dalla Libia verso altri paesi, come accertato
da una Missione tecnica dell’Unione Europea nel 2005.
Nel 2004 l’Italia finanziava già numerosi voli di rimpatrio
di migranti irregolari dalla Libia sulla base di accordi conclusi informalmente
nel 2003 dopo una visita dell’allora ministro dell’interno a Tripoli.
Ed altre centinaia di migranti venivano espulsi verso sud,
verso le frontiere del Niger attraverso i “centri di accoglienza” finanziati
dal governo italiano. Tutto questo rientrava negli accordi informali tra
l’Italia e la Libia
conclusi nel 2003.
Come affermavano i vertici del Ministero dell’interno, già
nel corso del 2004, le autorità libiche avevano già provveduto al rimpatrio di
decine di migliaia di clandestini, “anche con il nostro contributo diretto
specialmente per quanto riguarda cittadini egiziani ’’(AGI). Alla fine del 2004
oltre cinquemila migranti irregolari ( per la precisione 5688 persone) erano
stati già rimpatriati dalla Libia verso altri paesi con il supporto economico
italiano.
Tutto questo avveniva mentre il ruolo operativo dell’ACNUR
in Libia era praticamente ridotto a zero, forse anche per le pesanti critiche
di questa organizzazione a tutta la macchina italo-libica dei rimpatri forzati
e ai successivi voli trasferimenti finanziati dall’Italia verso i paesi di
origine attraverso la Libia,
circostanza, questa dei voli finanziati dal nostro paese, ben documentata dalla
Missione tecnica dell’Unione Europea sull’”immigrazione illegale” che si era
recata in Libia tra il 27 novembre e il 6 dicembre 2004. La stessa Missione
Europea rilevava anche l’esistenza di “centri di accoglienza” per migranti
irregolari finanziati dall’Italia.
In questo stesso periodo venivano portate avanti le
trattative che conducevano nell’agosto del 2005 ad un importante accordo tra
l’OIM e la Libia
che veniva accolto con soddisfazione dal governo italiano del tempo, che lo
definiva "un importante passo in avanti per la regolamentazione dei flussi
migratori che dall’Africa si dirigono verso l’Europa".
Nell’accordo si ponevano le basi per i programmi di
rimpatrio volontario assistito gestito dall’OIM e per la formazione delle forze
di polizia. Conosco le forme ed i tempi del “Ritorno volontario assistito con
reintegrazione nelle aree di origine” dai documenti ufficiali dell’OIM, il
fatto che queste operazioni si rivolgano a richiedenti asilo denegati o a
migranti irregolari, mi porta ad esprimere un giudizio che tiene conto dei
luoghi e delle condizioni di libertà effettiva in cui queste persone si
trovano. Si conoscono ad esempio recenti testimonianze positive dal Niger, ma
non si possono negare le condizioni di costrizione nella quale si trovavano nel
2004 e si trovano ancora oggi i migranti irregolari in Libia.
Rimane affidato alla valutazione di tutti coloro che
vogliono andare in fondo ai problemi se la situazione a carico dei migranti e
dei potenziali richiedenti asilo in Libia sia migliorata in questi ultimi anni,
dopo la messa in opera dei progetti affidati all’OIM.
Un giudizio preoccupato sulle attività dell’OIM in Libia
emerge anche dai rapporti delle organizzazioni internazionali che pure hanno
avviato da tempo un serrato confronto con l’OIM ( il riferimento è a Human
Rights Watch).
Sembra abbastanza diffuso il convincimento che in
determinate realtà in cui la libertà di circolazione dei migranti è fortemente
limitata, come appunto in Libia, la distinzione tra rimpatrio forzato e
rimpatrio volontario possa risultare abbastanza opinabile, in assenza di minime
condizioni di sicurezza per le persone migranti in situazione di irregolarità. Probabilmente
la verità rimane ben marcata solo sulla pelle dei migranti che sono transitati
dalla Libia.
La recente vicenda di Misurata, con il trasferimento in
Italia di 40 eritrei riconosciuti come rifugiati dall’ACNUR ma detenuti in
Libia, vicenda che ho seguito in diretta, in quanto mi trovavo alla presenza
del Prefetto Morcone quando il 7 novembre scorso, durante una audizione di
associazioni davanti al Consiglio Europeo ed alla Commissione, ne ha dato
notizia a Bruxelles, portandola ad esempio di una svolta che purtroppo non c’è
ancora stata, è un risultato significativo ed è positivo il contributo di
quanti sono riusciti a realizzarla.
Ma non può nascondere la realtà che proprio a partire dal
2004 si vive ancora oggi nei centri di detenzione libici, dai quali transitano
ogni anno oltre 50 mila migranti in attesa di essere espulsi, molti dei quali
potenziali richiedenti asilo o addirittura già titolari di uno status di
protezione internazionale che però le autorità libiche non riconoscono.
Non mi sembra insomma, anche alla luce della situazione
attuale del carcere di Misurata, e degli altri centri di detenzione per
migranti irregolari, talora anche in fosse scavate nella sabbia del deserto
dove vengono detenuti tra gli altri molti eritrei, donne e minori compresi, che
la Libia “stia
recependo pratiche internazionalmente recepite”, come sostiene il direttore
della missione italiana dell’OIM.
Se ciò si verificasse sarei ben lieto di rilevarlo, anche
perché in questo modo la Libia
potrebbe “liberare se stessa” e partecipare alla pari degli altri paesi al
dialogo euro-mediterraneo.
Nessuno può mettere in discussione le modalità di detenzione
e le violenze crescenti subite da tutta la popolazione immigrata in Libia dal
2003 ed ancora in questo anno, in questi giorni, probabilmente in queste stesse
ore.
Non esistono soluzioni facili per problemi tanto complessi,
però ritenevo e continuo a ritenere necessaria una maggiore fermezza con gli
interlocutori libici, senza fornire alibi che alla fine possono produrre
soltanto il perpetuarsi di questa situazione. E qui il ruolo dell’Unione
Europea, dei partner europei ed internazionali è assai importante.
In un suo recentissimo documento, con riferimento alla
Libia, ancora alla fine di quest’anno, Human Rights Watch reitera all’OIM le
stesse preoccupazioni e le stesse richieste che erano state già incluse nel
rapporto del 2005. Per quanto tempo dovremo attendere ancora un miglioramento
della condizione dei migranti in transito in Libia?
Fulvio Vassallo
Paleologo
Università di Palermo, Associazione Studi Giuridici
sull’Immigrazione
(1) Interrogazioni Frias, De Zulueta ed altri
(2) Da
“Human Rights Watch’s Statement to the IOM Council” ( Novembre 2007) ”We also
have further recommendations on the positive role that IOM ought to play as it
embarks on various migration management projects and enters into partnerships
with individual governments. To illustrate, we present here the list of
recommendations to IOM in our report on Libya, Stemming the Flow: Abuses
against Migrants, Asylum Seekers, and Refugees. Many of these recommendations
would be applicable to IOM’s dealings with other governmental partners that
lack legal frameworks and infrastructures for migrants and refugees and that
have records of arbitrary treatment of non-nationals: • Make improvement of
material and legal conditions for migrants and, where appropriate, facilitation
of third-country resettlement the sole objectives of any future IOM projects in
Libya. Do not promote or facilitate interception or return. Vigorously
encourage Libya,
as a member of IOM’s Governing Council, to respect the human rights of migrants
and to implement laws and procedures that effectively do so. Act with greater
transparency in negotiations with Libya on all matters relating to
migration and border control. • Apply strict human rights conditionality to any
joint projects with the Libyan government in the migration field. Do not
cooperate on strengthening Libyan border or internal immigration controls
unless human rights, and refugee and migrant rights in particular, are
dramatically improved. • Avoid using language such as “transit migrants” or
“stranded migrants” when speaking of the entire population of those held, for
example, in Libyan detention centers. In the absence of an effective asylum
regime in Libya (at present Libya has no asylum law, let alone effective
enforcement of the law), such labels are misleading and lend credence to those
who argue erroneously that Libya
has no refugees on its territory. • Avoid setting targets for the “voluntary
repatriation” of migrants as a measure of success in IOM projects, as this
creates undue pressure to achieve returns without the necessary safeguards.
Increasing Libyan capacity to effect returns of foreign nationals is not a safe
objective so long as so many returns are coerced, and so long as there is not a
functioning asylum system in the country. • Rather than expanding immigration
detention or camp infrastructure in Libya, focus on providing detainees
with greater access to basic necessities such as nutritious food, clean water,
bedding, sanitation and medical care within existing facilities. In accordance
with IOM’s Memorandum of Understanding with UNHCR, refer to UNHCR Tripoli any
person expressing a desire for asylum or a fear of return, and insist upon
UNHCR’s access to “transit migrants.” Refrain from any further work in Libya if the
Libyan authorities do not accept this condition. • With the consent of the
alleged victim, refer any cases that IOM staff finds of suspected torture or
police abuse to the Human Rights Program at the Qadhafi Foundation for
Development and to the Libyan authorities responsible for investigating and
prosecuting such crimes”.