La facciata umanitaria del controllo delle frontiere

di Fulvio
Vassallo Paleologo

(Associazione studi giuridici per l’immigrazione)
Fonte: Carta.org

logo FrontexHa destato scalpore un recente video, finanziato
dall’Unione Europea e dall’Organizzazione
internazionale per le migrazioni
[Oim],
nel quale si sconsiglia ai migranti di raggiungere l’Europa [la Svizzera, in particolare]
perché li attenderebbe un futuro di fame e di emarginazione. L’Europa, che non
è stata capace di adottare una direttiva sugli ingressi legali per lavoro, che
ha chiuso la porta in faccia ai potenziali richiedenti asilo e che ha armato le
missioni dell’Agenzia Frontex per
respingere in mare i migranti irregolari e per contribuire alla loro
deportazione, promuove adesso campagne pubblicitarie allo scopo di dissuadere i
«viaggi della speranza».

Migranti espulsiLa partecipazione dell’Oim alla campagna di dissuasione
non è che la punta dell’iceberg di un impegno complessivo di questa
organizzazione nelle politiche di controllo dei governi europei. E’ a tutti
noto il coinvolgimento dell’Oim nelle operazioni di rimpatrio forzato
realizzate dal governo Berlusconi a partire dall’ottobre del 2004 da Lampedusa
verso la Libia,
operazioni censurate anche dal Parlamento europeo, dopo le quali centinaia di
migranti deportati dall’Italia sono morti in Libia [per dichiarazione dello
stesso governo libico], abbandonati nei deserti al confine con il Niger e
l’Algeria.

Negli ultimi anni, l’attività dell’Oim si è concentrata
sulle operazioni di «rimpatrio volontario assistito» dai paesi di transito ai
paesi di provenienza dei migranti. L’impegno dell’Oim va quindi inquadrato
nell’ambito delle politiche dei principali paesi europei che hanno
esternalizzato i controlli di frontiera coinvolgendo i paesi di transito nella
«lotta all’immigrazione clandestina», restringendo in questo modo le
possibilità di accesso anche nei confronti dei potenziali richiedenti asilo.
Per la piena attuazione delle politiche di respingimento, sia gli organismi
comunitari che i singoli stati hanno cercato di ottenere l’appoggio di grandi
organizzazioni umanitarie come l’Oim e l’Alto
commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati
[Acnur].

L’Italia, malgrado le linee programmatiche del governo
Prodi, che avrebbe dovuto favorire la possibilità di ingresso legale e
l’accesso alle procedure di protezione internazionale, è rimasta in piena
continuità con il precedente governo, e ha avuto un ruolo importante nel
coinvolgimento dei paesi di transito, della Libia, dell’Egitto, della Tunisia e
dell’Algeria in particolare, nella guerra contro la «migrazione illegale»,
giungendo persino ad avallare comparazioni tra l’immigrazione irregolare e il
terrorismo. Non sono ben noti i risultati effettivi della Conferenza
ministeriale di Tripoli, su migrazione e sviluppo, del novembre 2006, voluta
dal governo Prodi, seguita da numerose missioni del ministro D’Alema e dei suoi
tecnici in Libia nel corso del 2007. Di certo si sono instaurati stretti legami
tra la politica di scambi commerciali tra i due paesi [gas e petrolio], il
pagamento del cosiddetto debito storico dell’Italia verso la Libia, e la gestione dei
controlli delle rotte dell’immigrazione illegale, nei deserti e nelle acque del
Mediterraneo.

Nel 2007 sono stati realizzati vari progetti a cui ha
partecipato l’Italia, con il coinvolgimento dell’Oim, sulla base di
cofinanziamenti europei, che riguardano paesi come la Libia, il Ghana, la Nigeria, il Senegal ed
altri Paesi dell’Africa orientale. Si tratta del programma Across Sahara 2,
presentato dal Ministero dell’interno in partnership con la Libia e l’Oim, relativo ad
azioni di assistenza tecnica in materia di immigrazione clandestina sulla
frontiera libico-algerina; del programma East Africa migration route,
presentato dal Ministero dell’interno britannico con la partecipazione del
nostro Ministero dell’interno, relativo alla cooperazione tra gli esperti di
immigrazione dell’Unione europea nell’Africa orientale e le autorità di tali
paesi; del programma Facilitating coherent migration management approach in
Ghana, Nigeria, Senegal and Libia presentato dalla Oim, con la partecipazione
dei nostri ministeri dell’interno e della solidarietà sociale, per promuovere
la collaborazione operativa tra tali Paesi nella gestione delle migrazioni.

Adesso nelle dichiarazioni dei rappresentanti dell’Oim si
parla di sostegno delle operazioni di «ritorno volontario», ma a leggere bene
le direttive e le istruzioni operative impartite dalla Commissione e dal
Consiglio europeo il coinvolgimento che si richiede all’Oim, e in prospettiva
anche all’Acnur, nella «guerra» all’immigrazione appare chiaro. In numerosi
documenti dell’Ue si auspica un maggiore ruolo dell’Oim nelle operazioni di
rimpatrio dei migranti irregolari bloccati nei paesi di transito. Analoghi
tentativi erano stati con l’Acnur, per garantire un maggiore controllo dei
flussi migratori «misti», composti da potenziali richiedenti asilo e da
migranti economici, ma l’Acnur, a differenza dell’Oim, ha rifiutato.

E’ bene chiarire che cosa significa il «ritorno
volontario» in un paese nel quale i diritti dei migranti irregolari valgono
meno di niente, come è confermato da anni dai rapporti di Amnesty international
e di Human rights watch, oltre che da diverse visite di delegazioni del
Parlamento europeo. Possiamo facilmente immaginare in quali condizioni si formi
la volontà dei migranti di abbandonare il proprio progetto migratorio e di fare
ritorno verso i paesi di origine, fuggendo da quella Libia che prima è stata un
miraggio, ma anche paese di transito verso l’Europa, che poi si è rivelata una
trappola, anche mortale. Il «rimpatrio volontario assistito» non è quasi mai
una libera scelta dei migranti, ma costituisce una soluzione disperata che si
pone a migranti già arrestati dalla polizia libica. Eppure la Libia è un paese dove sono
investite ingenti risorse comunitarie al fine di bloccare i movimenti dei
migranti irregolari. E da alcune settimane questo stato ha persino ottenuto un
seggio temporaneo nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, malgrado siano note a
tutti le gravissime violazioni dei diritti umani, perpetrate dal regime di
Gheddafi.

L’Oim ha richiesto all’Ue tre milioni di euro per
finanziare, nel 2008, il «rimpatrio assistito» di almeno 2.000 migranti dalla
Libia. A ognuno saranno dati 300 euro per «reinstallarsi» nel proprio paese.
L’Oim è presente in Libia dal 2005, con il programma Trim, un programma di
«ritorno volontario» finanziato dai fondi europei Aeneas e dal ministero
dell’interno italiano, per due milioni di euro. Lo stesso programma avrebbe
dovuto consentire interventi di sostegno dei migranti trattenuti nei centri di
detenzione libici. Sono gli stessi centri, finanziati in parte dal precedente
governo italiano, nei quali si sono verificati i gravissimi abusi segnalati dai
rapporti di Human rights watch. Dal 2006 l’Oim ha partecipato al «rimpatrio
volontario assistito» di 1.300 migranti dalla Libia al Niger. Senza attribuire
alcun rilievo alla circostanza che nello stesso anno oltre 50 mila migranti
sono stati arrestati e deportati dalla Libia, secondo un rapporto dell’agenzia
Frontex. Ancora nel maggio 2007 i migranti irregolari rinchiusi nelle carceri
libiche erano 60 mila.

Come non si deve collaborare con il governo libico nelle
operazioni di deportazione camuffate come «reinsediamento» dei migranti
irregolari, occorre evitare che agenzie umanitarie vengano coinvolte nelle
operazioni di respingimento a mare dei migranti che riescono a lasciare
l’inferno libico. Se si riconducono le carrette del mare verso i porti di
partenza, oltre alla crescita delle vittime dei naufragi, si allunga la lista
delle persone a rischio di subire nelle carceri libiche abusi di ogni genere.

L’impegno delle grandi agenzie umanitarie come l’Acnur e
l’Oim dovrebbe essere invece rivolto all’apertura di canali di ingresso legale
e alla salvaguardia assoluta dei potenziali richiedenti asilo e dei soggetti
più vulnerabili come donne e minori. Occorre che queste organizzazioni, con il
supporto della politica estera dei paesi europei, riescano a liberare i migranti
trattenuti in carceri ignobili e a fare arrivare in Europa coloro che hanno
diritto a proporre un’istanza di asilo politico. Se questi obiettivi non
risulteranno perseguibili non si possono fornire alibi ai responsabili di gravi
soprusi ai danni dei migranti. Non si può ritenere sufficiente l’adesione alla
Convenzione di Ginevra se poi i singoli stati si comportano in modo da violare
i principi essenziali di quella convenzione, e neppure consentono il tempestivo
intervento dei funzionari dell’Acnur. In questo quadro, potrebbe costituire la
premessa per gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona il
coinvolgimento dell’Oim nei «rimpatri volontari» verso il Niger, il Chad e
l’Algeria, e il coinvolgimento della stessa organizzazione nelle operazioni di
pattugliamento congiunto a mare dell’Agenzia Frontex.

Gli accordi di riammissione con i paesi nordafricani sono
basati sul presupposto che questi paesi, ad eccezione della Libia, hanno
aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Quando poi si va a
considerare la dimensione effettiva del diritto di asilo in questi stati si
verifica come il diritto di asilo venga riconosciuti in poche centinaia di
casi. Devono anche essere evitate pratiche di polizia concretamente
riconducibili al divieto di espulsioni collettive, sancito nella Convenzione
europea dei diritti dell’uomo e nella Carta di Nizza, vanno altresì sospese le
operazioni di «rimpatrio volontario assistito» al fine di evitare che dietro
queste operazioni si celino respingimenti collettivi. La Libia deve sottoscrivere ed
applicare effettivamente la
Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

Occorre che l’Acnur sia
messo in condizione di operare anche in Libia, coerentemente con il suo mandato
e che l’Oim comunichi a questa organizzazione la presenza di potenziali
richiedenti asilo. Vanno interrotti immediatamente i finanziamenti concessi dai
governi europei ai paesi di transito o ad organizzazioni umanitarie per
operazioni di reinsediamento che, in assenza di una efficace procedura di
asilo, possono assumere il carattere di vere e proprie deportazioni.

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