Rom e romeni, attenti a non
generalizzare
"Occorre sfatare uno dei falsi miti che attanagliano il
mondo romanò. I Rom non sono nomadi per cultura, ma nel corso dei secoli degli
eterni emigranti coatti subendo la repressione dei persiani, dei turchi
ottomani e dei nazi-fascisti, la mobilità delle comunità romanès è sempre stata
la conseguenza di politiche persecutorie"
di Alexian Santino Spinelli
rom abruzzese, musicista e docente di Lingua e Cultura
Romaní
Dopo il terribile fatto di cronaca avvenuto a Roma, molti
giornali hanno parlato di un rom fermato per l’aggressione, di una romnì che ha
denunciato il fatto e di un campo rom. A quanto pare, invece, si tratta di
cittadini rumeni, e non di rom. Lo dico non per fare differenze, ma per
ribadire anche in questa occasione chi sono i rom, la loro storia e la loro
cultura.
Troppo spazio si dà alla cronaca e nulla agli eventi culturali che pur
esistono ma non sono divulgati.
La popolazione Romanì, costituita da cinque gruppi
principali: Rom, Sinti, Kalè, Manouches e Romanichals con le loro numerosissime
e diversissime comunità proviene dalle regioni nord-occidentali dell’India
(Punjab, Rajasthan, Pakisthan, Valle del Sind). Le comunità romanès sono
presenti in tutti i continenti con oltre 12 milioni di persone, sono presenti
in tutti gli Stati d’Europa con 8 milioni di individui e in Italia con oltre
120 mila persone. Ovviamente questi dati sono in costante aumento per l’arrivo
dei Rom romeni in Italia. I rom sono anche in Romania ma non devono essere
confusi con i romeni che ovviamente fan parte di un’altra popolazione. I Rom e
Sinti di antico insediamento, quasi 80% sono cittadini italiani artigiani,
commercianti, circensi e giostrai e vivono in condizioni più che dignitose.
Quasi tutti hanno le case. La popolazione romanì, pur vivendo sparsa in tutto
il globo si riconosce in una storia comune, una cultura basata sul concetto di
puro ed impuro di indiana reminiscenza regolata dalla morale del dare, avere e
ricambiare di una società semplice e precapitalistica, in una lingua comune che
è la lingua romanì (romanì chib o romanès) che deriva dal sànscrito e
arricchita via via dagli imprestiti linguistici dei popoli incontrati lungo il
viaggio verso occidente. La lingua romanì non ha nulla a che vedere con la
lingua romena, le lingue romanze né tantomeno con il romanesco. Ci accomuna la
maniera di intendere, di fare, e di vivere l’arte, soprattutto la musica (io
stesso, oltre che docente universitario, sono musicista e compositore).
Occorre sfatare uno dei falsi miti che attanagliano il
mondo romanò. I Rom non sono nomadi per cultura, ma nel corso dei secoli degli
eterni emigranti coatti subendo la repressione dei persiani, dei turchi
ottomani e dei nazi-fascisti, la mobilità delle comunità romanès è sempre stata
la conseguenza di politiche persecutorie. Molti operatori e amministratori
confusi e disinformati hanno accettato di creare i campi nomadi, che in realtà
rappresentano dei ghetti e una forma ripugnante di segregazione razziale, in
pratica apartheid di casa nostra, dove esseri umani privati dei più elementari
diritti civili, vivono in condizioni disumane con tutte le inevitabili
conseguenza che vediamo.
Si rilevano gli effetti e si condanna, ma nessuno si
preoccupa di rimuovere le cause che determinano la discriminazione. Gli stessi
intellettuali italiani, normalmente sensibili e solidali, non riescono a
indignarsi proprio perché ormai son tutti convinti che sono i Rom che per
cultura vogliono vivere in queste condizioni. Nulla di più falso. Purtroppo
questo favorisce le associazioni di pseudo volontariato che sui Rom fanno
progetti ben remunerati autoreferenziali che avvantaggiano solo sé stessi. E’
chiaro che queste organizzazioni che in Italia hanno creato Ziganopoli non
hanno nessun interesse a che la situazione cambi.
Fonte: Il Manifesto 04.11.07