Il vero sogno di M.L.King

Memorie americane – "I have a dream"
Il discorso di Washington
quarantaquattro anni fa

di Gordon Poole

Martin Lutther King

Il 28 agosto del 1963 il leader degli afro-americani
pronunciò il suo celebre discorso «I have a dream». King citò Lincoln, la Bibbia, Shakespeare. Ma si
riferì anche a Malcolm X e alle Pantere nere. «Non ci sarà riposo né
tranquillità in America finché al nero non saranno garantiti i suoi diritti di
cittadinanza». Il reverendo pacifista condivise anche il «sogno» di John Brown,
condannato a morte con l'accusa di aver tentato un'insurrezione armata

Il 28 agosto 1963 Martin Luther King, durante un comizio a
Washington di fronte al Lincoln Memorial, proclamò il proprio sogno di liberazione
per gli afro-americani: «Cento anni fa un grande americano, sotto la cui ombra
simbolica ci troviamo oggi, firmò il Proclama di Emancipazione». Luogo e data
erano stati scelti con cura dagli organizzatori, non solo per dare il massimo
risalto al discorso ma anche per sacralizzare la lotta di liberazione dei neri,
legandola all'opera di emancipazione di Lincoln. In ogni discorso politico è
anche questione di retorica: per indicare i «cento anni» passati
dall'Emancipazione, King usò una espressione piuttosto desueta: «five score»
(cinque ventine) che ricordava agli ascoltatori il breve ma famoso discorso
commemorativo di Lincoln pronunciato a Gettysburg il 19 novembre 1863 e
imparato a memoria da generazioni di scolaretti, che inizia: «Four score and
seven years ago, i nostri padri fondarono una nuova nazione, dedicata al
principio che tutti gli uomini sono creati uguali…». Il richiamo di Lincoln,
a sua volta, andava a documenti fondamentali della repubblica come la Dichiarazione di
Indipendenza, la Costituzione,
il Bill of Rights, ispirati all'illuminismo.

Quindi la retorica di King radicava la lotta dei
neri nella migliore tradizione libertaria del suo paese.

I riferimenti alla
Bibbia

Il suo discorso, oltre ai contenuti, si arricchiva di
abbellimenti retorici, metafore, ripetizioni, anafore. King attingeva frasi e
concetti alla Bibbia nonché al quotidiano dei suoi ascoltatori. Così
riferimenti al Vecchio e Nuovo Testamento o a Shakespeare si alternavano con
richiami al presidente Abraham Lincoln e al mondo della finanza. Espressioni
barocche come «bruciato nelle fiamme di devastanti ingiustizie» e «la solida
rocca della fratellanza» sono frammiste ad altre colloquiali come «blow off
steam» (sfogarsi), «cooling off» (darsi una calmata) o «il farmaco tranquillizzante
del gradualismo». È da notare però che, sebbene Lincoln fosse ricordato da King
come il grande Liberatore degli schiavi negli stati ribelli, come Presidente
egli non aveva mai avuto sogni di liberazione come quello di King, quando
questi auspicava che «un giorno proprio lì in Alabama ragazzini e ragazzine
nere potranno stare mano in mano con ragazzini e ragazzine bianche come sorelle
e fratelli» e frequentare le stesse scuole.

Emancipare gli schiavi era una cosa, integrarli nella
società americana era un'altra. In verità, Lincoln aveva inteso il Proclama di
Emancipazione, promulgato il 1 gennaio 1863, in piena guerra, principalmente come
un'arma per dare agli schiavi un motivo, se non per ribellarsi, comunque per
sperare in una vittoria del Nord e per agire in vari modi per favorirla, nonché
per incoraggiare neri liberi del Nord e quelli delle zone del Sud conquistate
dal Nord ad arruolarsi nell'esercito dell'Unione, che ne aveva un disperato
bisogno. Il Proclama serviva anche per suscitare preoccupazioni fra i sudisti
bianchi i quali, memori di sanguinose rivolte di schiavi, come quella del
gruppo capeggiato da Nat Turner nel 1831, potevano temere che qualcosa di
analogo succedesse mentre tutti gli uomini bianchi validi erano impegnati al
fronte. Tuttavia, Lincoln non poteva non intuire che quel proclama avrebbe dato
forza a una lotta per la libertà con conseguenze sconvolgenti per la società
degli Stati Uniti a guerra finita

Gli ideali
dell'Illuminismo

Neanche i padri fondatori della repubblica, che King cita,
insieme a Lincoln, a sostegno del suo programma di liberazione, concepirono mai
una società nella quale i neri sarebbero stati alla pari coi bianchi: per
farlo, avrebbero dovuto accettare fino in fondo gli ideali dell'Illuminismo a
cui si richiamavano. Eppure l'implicazione che le parole «All men are created
equal», non potessero essere limitate ai soli maschi bianchi ma,
potenzialmente, dovessero estendersi fino da comprendere tutti e tutte era, a
lungo andare, inevitabile. Questa possibilità si manifesta con forza nelle
parole di King, quando dice che «Tutti i figli di Dio» devono essere liberi. La
reinterpretazione forzata dei documenti storici della repubblica che King fece
quel giorno sotto il sole di agosto nella capitale, e che aveva e avrebbe
perseguito risolutamente durante la sua vita, non si sarebbe potuta imporre se
non grazie alle lotte di massa dei neri, con la solidarietà militante di
moltissimi bianchi.

King era per religione e ideologia rigorosamente avverso
alla violenza, ma ben sapeva che ci era voluta una guerra civile per ottenere
l'emancipazione degli schiavi e il XIII e XV emendamento della Costituzione.
Egli sapeva anche che le lotte risolute, talvolta violente contro il razzismo e
l'oppressione poliziesca, condotte da gruppi di liberazione neri, come gli
islamici di Malcolm X, gli attivisti di Potere nero di Stokely Carmichael e le
Pantere Nere, erano parte importante del movimento.

Un brusco risveglio

A un certo punto del suo discorso, Martin Luther King lo
fa capire, correndo il rischio di contraddirsi: «Coloro che speravano che il
nero avesse soltanto bisogno di sfogarsi un po', e che ora si sarebbe
accontentato, avranno un brusco risveglio se la nazione dovesse tornare al
solito andazzo. Non ci sarà riposo né tranquillità in America finché al nero
non siano garantiti i suoi diritti di cittadinanza. Le tempeste della rivolta
continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione finché non sorga il
luminoso giorno della giustizia». Subito dopo, però, si rivolge ai suoi:
«Dobbiamo sempre condurre la nostra lotta sul piano della dignità e della
disciplina. Non dobbiamo permettere che le nostre proteste creative degenerino
in violenza fisica. Di volta in volta dobbiamo elevarci alle maestose altezze
dove alla forza fisica si oppone la forza dell'animo». E con San Paolo li
invitava: «Continuate a lavorare nella fede che la sofferenza immeritata è
fonte di redenzione» (II Corinzi 12.10).

In verità, se mai vi fosse stata, all'epoca di Lincoln,
persona che condividesse il sogno del reverendo King, quella era John Brown
(1800-1859). Prima di ascoltare la sentenza di morte della corte di Virginia
per aver tentato un'insurrrezione armata, Brown fece un breve discorso in uno
stile tipicamente puritano, il cosiddetto plain style (sermo humilis), lontano
dall'oratoria altisonante e carismatica di King. In parole semplici Brown
affermò però sostanzialmente lo stesso ideale, ricavato da quella stessa Bibbia
che così importante era per l'idealismo politico di King. Nella sua breve perorazione,
Brown affermò due volte che il suo scopo era stato soltanto di liberare degli
schiavi, non di incitarli a una ribellione generale.

Il convincimento di Brown che gli schiavi avessero il
diritto, chiaramente per lui un diritto naturale conferito da Dio, di liberarsi
con ogni mezzo, era coerente con i suoi presupposti ideologici. Le sue idee
anticipano quelle di Malcolm X, espresse anche quelle in un contesto religioso:
«By any means necessary» (con ogni mezzo necessario).

Il sacrificio di John
Brown

Nel discorso di Brown alla corte mancano le metafore, ci
sono pochi aggettivi e mai usati per abbellire il discorso o intensificarne
l'effetto retorico. Anche quando egli qualifica le leggi schiavistiche come
«wicked, cruel, and unjust» (malvagie, crudeli e ingiuste), non si tratta di
iperbole: egli vuol dire precisamente che tali legge sono contro la legge
divina, il diritto naturale e – giustamente intesa – la legge umana. In cuor
suo deve aver capito che la schiavitù era destinata presto o tardi a finire. Capiva
anche che la propria morte avrebbe potuto accelerare quel processo, sebbene
forse non prevedesse la terribile guerra civile che di lì a poco, fra il
1861-1865, sarebbe stata combattuta in parte a causa della questione della
schiavitù, invocando il suo nome: «John Brown's body lies a-mouldering in the
grave, but his soul goes marching on. Glory, glory hallelujah!» (Il corpo di
John Brown marcisce sotto terra, ma l'anima sua continua a marciare). Dopo quel
discorso egli non fece altre dichiarazioni e un mese più tardi andò muto al
patibolo.

Lo stesso sogno

Nel discorso di Martin Luther King, ucciso con l'8
aprile 1968 all'età di trentanove anni, non si fa naturalmente alcun
riferimento a John Brown, sebbene King condividesse il sogno di liberazione
dell'arcigno predicatore ottocentesco, e questo perché King non accettava e non
poteva quindi assecondare i metodi con i quali Brown aveva cercato di
realizzare quel sogno. Però il sogno di King, piuttosto di Lincoln o dei Padri
Fondatori, era quello di Brown: «Quando faremo risuonare la Libertà – quando la faremo
risuonare da ogni villaggio e ogni paesino, da ogni stato e ogni città, potremo
accelerare la venuta di quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e
bianchi, ebrei e non ebrei, protestanti e cattolici, potranno prendersi per
mano e cantare le parole del vecchio spiritual: 'Finalmente liberi, finalmente
liberi! Grazie a Dio onnipotente, siamo finalmente liberi».

fonte Il Manifesto

L'eredità di Martin.
I suoi figli e qualche incubo

Martin Luther King III sta conducendo una battaglia contro
la povertà. Ma la nipote Alveda è una militante anti-gay e anti-abortista
di Andrea Rocco – Il Manifesto

«I have a
dream that my four little children will one day live in a nation where they
will not be judged by the color of their skin».
La speranza di Martin Luther King non si è ancora
realizzata per gli afro-americani. Ma cosa è successo ai suoi quattro figli,
per i quali sognava un giorno nel quale non sarebbero più stati giudicati dal
colore della loro pelle? Proprio in questi giorni, Martin Luther King III, il
figlio maggiore del Premio Nobel sta conducendo una campagna contro la povertà,
organizzata dalla sua organizzazione Realizing the Dream (Realizzare il Sogno)
che tocca 30 città statunitensi e che sta trovando grande attenzione presso le
comunità afro-americane ela altre minoranze. Martin Luther King III ha diretto
per breve tempo, alla fine degli anni '90, l'organizzazione Southern Christian
Leadership Conference (Sclc), creata dal padre e successivamente il King Center
for Nonviolent Social Change di cui era stato leader anche il fratello Dexter
Scott King. Dexter, filmmaker e documentarista è stato il più coinvolto nelle
questioni legate allo smascheramento della congiura di cui fu vittima il padre,
arrivando ad indicare per nome e cognome il vero killer: si sarebbe trattato di
Earl Clark, ufficiale del Memphis Police Department, coadiuvato e assistito
dalle Forze Speciali messe in campo dall'Fbi. Yolanda Denise King, la figlia
maggiore di Mlk, è morta improvvisamente il 15 maggio scorso a 52 anni. È stata
attrice (ha interpretato Rosa Parks, un'altra leggenda della lotta per i
diritti civili in una miniserie tv) e militante per i diritti civili. L'altra
figlia e la più giovane di Coretta e Martin ha raccolto più compiutamente
l'eredità paterna, diventando ministro protestante e assumendo posizioni di
rilievo nella Sclc e in altre organizzazioni. La famiglia King si è però
spaccata sul tema dei matrimoni gay. I diritti delle comunità omosessuali sono
stati una battaglia centrale della vedova Coretta Scott King (morta nel 2005) e
di Yolanda. Va ricordato (e Coretta non perdeva occasione per ricordarlo) che
la grande marcia di Washington, alla fine della quale venne pronunciato il
discorso «I Have a Dream» ha avuto tra i suoi organizzatori principali, se non
il più importante, il gay afro-americano Bayard Rustin, eccezionale figura
della lotta per i diritti civili, di cui ricorre quest'anno il 20 anniversario,
ignorato, della morte. Bernice ha invece manifestato ad Atlanta contro i
matrimoni gay. Una frattura importante, ma nulla di paragonabile con le
posizioni della nipote di Mlk, Alveda King, figlia di A.D. King, fratello di
Martin, morto in circostanze misteriose nel 1969 (per alcuni fu anch'egli
assassinato). Alveda è una militante anti-gay e anti-abortista ed esponente dei
Democrats for Life. Alveda ha detto più volte che l'alto tasso di aborti
riscontrabile nella comunità afro-americana equivale a un tentativo di
genocidio e che proibire l'aborto significa marciare nella stessa direzione di
conquista dei diritti civili voluta dal suo famoso zio. «Come afro-americani –
ha detto – dobbiamo superare molte prove per sopravvivere. Ma oggi c'è un
genocidio che minaccia di cancellare le nostre speranze e il nostro futuro. È
l'aborto. Come può sopravvivere il Sogno se uccidiamo i bambini?».
Coerentemente, Alveda King sostiene il più ferocemente conservatore tra i
candidati repubblicani alla presidenza 2008, il Senatore del Kansas Sam
Brownback. Per lo zio Martin Luther sarebbe stato un incubo, più che un sogno.

 

 

Questa voce è stata pubblicata in razzismo /cpt / migranti /società / movimenti / pace / diritti. Contrassegna il permalink.